La Newsletter di ESO
ISSUE 350

Non salveremo il clima senza l’intervento degli Stati

L'appello del Fondo monetario internazionale: per il clima serve una nuova fase di interventismo pubblico, finanziario e di regolamentazione

valori.it

Non salveremo il clima senza l’intervento degli Stati

Consiglio per chi vincerà le elezioni. Di qualunque schieramento voi siate, quali che siano le vostre idee in economia e quale che sia la vostra storia politica, sappiate che non solo nel mondo accademico, ma anche nelle grandi organizzazioni internazionali notoriamente non invise ai mercati, la questione della necessità di un intervento pubblico è ormai sdoganata.

 

La storia recente e il ruolo dello Stato

 

Ce l’ha insegnato la crisi del 2008. Perché senza azioni immediate da parte dei governi il crollo della finanza avrebbe trascinato con sé le economie del mondo intero (e in parte lo ha comunque fatto). Ce l’ha ribadito la pandemia. Perché senza interventi immediati di sostegno a cittadini e imprese non ne saremmo mai usciti (e in parte ancora stiamo cercando di farlo). E infine lo conferma oggi la crisi energetica, con gli esecutivi di tutta Europa che si apprestano a massimi piani di aiuti.

 

Ma ancor di più ce lo dimostra la crisi climatica. Perché senza un massiccio, profondo e determinante intervento pubblico non sarà possibile stimolare i finanziamenti privati necessari per la transizione ecologica. A partire da quelli di banche e fondi d’investimento (ovvero di quel mondo nel quale ancora circolano immensi capitali).

 

«Crisi energetica e alimentare confermano la necessità di investire nelle fonti pulite»

 

Elezioni, crisi di vario genere, ruolo dello Stato, economia, cambiamenti climatici. Per unire i fili di tutti gli aspetti evocati è utile un’analisi pubblicata il 19 agosto dal Fondo monetario internazionale. Firmata dalla direttrice generale Kristalina Georgieva e dal direttore del dipartimento dei Mercati monetari Tobias Adrian. Secondo i quali «il settore pubblico deve rivestire un ruolo centrale nello stimolare i finanziamenti privati per la transizione».

 

«I cambiamenti climatici – hanno spiegato i due dirigenti – rappresentano una delle principali sfide in materia di politica macroeconomica e finanziaria che occorrerà affrontare nei prossimi decenni. Le recenti impennate dei prezzi dei combustibili e dei prodotti alimentari, con i rischi sociali ad esse connessi, evidenziano quando sia importante investire nelle energie verdi. E rafforzare la resilienza di fronte agli shock».

 

Secondo le stime dello stesso FMI, saranno necessari di qui al 2050 fino a 6mila miliardi di dollari, per attuare i cambiamenti di cui il mondo ha bisogno per scongiurare il peggio. Ad oggi ne sono stati stanziati 630, e solo una piccola parte è stata destinata ai Paesi in via di sviluppo. Che sono i meno responsabili della crisi climatica, pur patendone spesso le peggiori conseguenze.

 

Per salvare il clima dobbiamo mobilitare 6mila miliardi di dollari

 

«Abbiamo bisogno di una svolta per ottenere maggiori finanziamenti pubblici e ancor più privati. Con 210mila miliardi di dollari di asset finanziari nelle mani delle imprese, ovvero due volte il Prodotto interno lordo del Pianeta, la grande sfida dei responsabili politici e degli investitori sta nell’allocare la gran parte di questi fondi a progetti di mitigazione e di adattamento ai cambiamenti climatici».

 

Per riuscirci, Georgieva e Adrian sottolineano la necessità non solo di un rinnovato impegno dei governi, ma anche delle banche multilaterali per lo sviluppo e delle partnership tra pubblico e privato. Gli Stati, in particolare, secondo i due dirigenti «possono mostrare l’esempio, stabilendo regole per agevolare le decisioni dei privati, valutare i rischi ed evitare il greenwashing. L’esempio, chiede il FMI. Esattamente il contrario di quanto fatto finora dai governi di 51 Paesi ricchi, che hanno concesso al settore delle fonti fossili 700 miliardi di dollari nel 2021, raddoppiando la cifra rispetto all’anno precedente.

 

Andrea Barolini

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