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ISSUE 351

Riusciremo a riciclare le batterie delle auto elettriche?

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Riusciremo a riciclare le batterie delle auto elettriche?

Le aziende stanno facendo grandi investimenti per prepararsi a rispettare i target di riciclo delle batterie. Ma l’evoluzione tecnologica e il distacco dal cobalto potrebbero modificare la domanda di metalli, mandando in crisi un settore non ancora davvero nato.

 

L’elettrificazione della mobilità e il riciclo delle batterie sono punti cruciali dei piani climatici di molte delle principali economie del pianeta. Nell’Unione europea, per esempio, la Commissione intende vietare la vendita di nuove automobili a benzina o gasolio dal 2035. Negli Stati Uniti, l’amministrazione di Joe Biden vuole che quelli elettrici rappresentino la metà dei veicoli venduti nel paese nel 2030. 

 

Per rendere la mobilità elettrica davvero sostenibile e limitare l’impatto socio-ambientale, i governi vorrebbero ridurre al minimo l’apertura di miniere per i metalli critici – cioè le materie prime per le batterie: litio, cobalto, nichel, grafite – e puntare piuttosto sul riciclo dei dispositivi esausti. La Commissione europea ha proposto che per l’inizio del 2030 almeno il 12% del cobalto e il 4% del litio e del nichel presenti nelle batterie provengano da riciclo; nel giro di cinque anni la quota minima obbligatoria salirà al 20% per il cobalto, al 10% per il litio e al 12% per il nichel.

 

A che punto siamo con gli impianti di riciclo

 

I tempi sono brevi e i target sfidanti. Aziende come Umicore, gruppo minerario con sede in Belgio, si sono dunque già mosse per anticipare la futura richiesta di materiali recuperati da parte della filiera automobilistica, investendo nell’apertura di impianti appositi. Secondo una stima della società di consulenza Circular energy storage, la capacità globale di riciclo delle batterie per i veicoli elettrici aumenterà di quasi dieci volte dal 2021 al 2025. Già quest’anno, però, tale capacità supererà la disponibilità di batterie a fine vita, e nel 2025 sarà tre volte tanto. La carenza di scarti con cui alimentare le fabbriche potrebbe facilmente durare fino agli anni 2030: solo a decennio prossimo inoltrato, infatti, le auto elettriche cominceranno a venire rottamate e demolite in quantità significative, con le officine a raccogliere le parti ancora valide.

 

Gli analisti si chiedono se l’industria del riciclo riuscirà a sopravvivere fino ad allora o se invece entrerà in crisi prima ancora di partire davvero. Per rientrare delle spese fatte, alcune aziende stanno addirittura pensando, nonostante il controsenso, di alimentare i loro impianti anche con minerali appena estratti dal sottosuolo, e non soltanto con materiali di recupero. Ad aggravare le prospettive per gli imprenditori del settore c’è anche il fatto che le fabbriche che producono le batterie stanno puntando molto sull’efficienza per limitare gli sprechi, in un’ottica di contenimento dei costi e di sostenibilità ambientale; così facendo, però, riducono la disponibilità di materie prime seconde da avviare a riciclo.

 

 

Investimenti sotto scacco

 

Ma è soprattutto l’evoluzione delle tecnologie delle batterie a minacciare gli affari delle società di riciclo. I dispositivi che alimentano i veicoli elettrici sono il componente che incide maggiormente sul prezzo del prodotto finito perché sono realizzate con metalli costosi: il cobalto, in particolare, è doppiamente problematico perché spesso viene estratto in Congo in condizioni lavorative disumane. Farne a meno, tuttavia, non è semplice, perché contribuisce a una maggiore autonomia di guida del mezzo. Ma la tendenza sembra comunque essere segnata, e pare che l’industria automobilistica voglia distanziarsi dal cobalto, limitandone l’uso o addirittura rinunciandovi del tutto.

 

Le batterie agli ioni di litio, la tecnologia più diffusa, contengono cobalto nel catodo (l’elettrodo positivo). Nel 2018 rappresentavano l’86% del totale delle batterie inserite nelle auto elettriche; nel 2020 sono scese all’83% e quest’anno – secondo le previsioni del centro studi BloombergNef – arriveranno al 60%. A rosicchiare le loro quote sono soprattutto le batterie al litio-ferro-fosfato, prive di cobalto e molto più economiche. Tesla le monta sulle versioni standard delle Model 3 e Model Y che assembla in Cina (e che poi esporta). Volkswagen ha detto che inizierà a impiegarle nei suoi modelli elettrici più economici e Ford farà altrettanto, in modo da poter vendere auto a prezzi contenuti.

 

Chi ricerca dispositivi più performanti, dalla maggiore densità energetica, tende a preferire le batterie al nichel-manganese-cobalto. Ma anche queste utilizzano meno cobalto di un tempo. Le prime versioni della tecnologia contenevano infatti parti uguali dei tre metalli (NMC-111, in gergo). Si è passati presto a proporzioni con meno cobalto, NMC-532 e NMC-622; lo standard attuale è NMC-811.

 

I dispositivi al litio-ferro-fosfato sono però presenti in quasi la metà dei veicoli prodotti da Tesla. E Catl, colosso cinese delle batterie, ne sta sviluppando una variante contenente manganese nel catodo, per renderle più dense.

 

Se le batterie al ferro dovessero diventare la nuova tecnologia dominante, modificando di conseguenza la domanda di metalli per l’automotive, l’industria del riciclo potrebbe subire un danno serio. Gli investimenti effettuati oggi potrebbero non restituire domani i rendimenti calcolati: il ferro e il fosfato non sono preziosi quanto il cobalto e il nichel, e il loro recupero non permetterà di generare gli stessi profitti. La circolarità della filiera è a rischio.

 

Marco Dell'Aguzzo

 

 

Photo: Markus Distelrath

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