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ISSUE 374

I bicchieri di carta inquinano come i bicchieri di plastica

Carney Almroth: «Le bioplastiche non si decompongono efficacemente quando finiscono nell’ambiente e nell’acqua»

greenreport.it

I bicchieri di carta inquinano come i bicchieri di plastica

L’inquinamento da plastica che contamina ormai ogni habitat della Terra e tutti gli esseri viventi ha accelerato il passaggio a materiali alternativi: è nota da tempo la problematicità di sostituire i bicchieri di plastica monouso con quelli di carta altrettanto monouso, ma lo studio “Single-use take-away cups of paper are as toxic to aquatic midge larvae as plastic cups – ScienceDirect” pubblicato su Environmental Pollution da un team di ricercatori della Göteborgs universitet dimostra che «anche un bicchiere di carta che finisce in natura può causare danni poiché contiene anche sostanze chimiche tossiche».

 

I ricercatori svedesi evidenziano che anche i bicchieri e le tazze di carta, a volte anche con coperchio di carta, che hanno sostituito ovunque la plastica per le bevande da asporto, se finiscono dispersi in natura, possono danneggiare gli organismi viventi. Lo studio ha testato l’effetto di bicchieri usa e getta, realizzati con materiali diversi, sulle larve della mosca arlecchino (Chironomus riparius)  e la principale autrice dello studio, Bethanie Carney Almroth, professoressa al Dipartimento di biologia e scienze ambientali della  Göteborgs universitet, spiega: «“Abbiamo lasciato bicchieri di carta e bicchieri di plastica nel sedimento umido e nell’acqua per alcune settimane e abbiamo seguito l’effetto delle sostanze chimiche rilasciate sulle larve. Tutte le tazze hanno influenzato negativamente la crescita delle larve».

 

Il problema è che la carta utilizzata nel materiale per l’imballaggio degli alimenti non è né resistente né ai grassi né all’acqua, quindi deve essere trattata con un rivestimento di  plastica che protegge la carta delle tazze dal caffè, dal cappuccino e da altri liquidi. Questo film plastico è spesso costituito da polilattide, PLA, un tipo di bioplastica. I ricercatori svedesi sottolineano che «Le bioplastiche sono prodotte da risorse rinnovabili (il PLA è comunemente prodotto da mais, manioca o canna da zucchero) anziché da combustibili fossili, come nel caso del 99% delle materie plastiche oggi sul mercato. Il PLA è spesso considerato biodegradabile, il che significa che, nelle giuste condizioni, può degradarsi più velocemente della plastica a base di petrolio, ma lo studio dimostra che può comunque essere tossico».

 

Secondo la Carney Almroth, «Le bioplastiche non si decompongono efficacemente quando finiscono nell’ambiente, nell’acqua. Potrebbe esserci il rischio che la plastica rimanga in natura e che le microplastiche risultanti possano essere ingerite da animali ed esseri umani, proprio come accade con altre materie plastiche. Le bioplastiche contengono almeno lo stesso numero di sostanze chimiche della plastica convenzionale. Alcuni prodotti chimici presenti nella plastica sono noti per essere tossici, di altri non siamo a conoscenza. Anche gli imballaggi in carta presentano un potenziale pericolo per la salute rispetto ad altri materiali e stanno diventando sempre più comuni. Siamo esposti alla plastica e alle sostanze chimiche associate attraverso il contatto con gli alimenti».

 

Lo studio pubblicato su Environmental Pollution affronta anche il tema dei grandi cambiamenti necessari per mitigare i continui danni all’ambiente e la minaccia alla nostra salute causati dalla crisi dell’inquinamento da plastica e la Carney Almroth ricorda che «Quando, dopo la seconda guerra mondiale, arrivarono sul mercato i prodotti usa e getta, furono fatte grandi campagne per insegnare a buttarli via, per noi era innaturale! Ora dobbiamo tornare indietro e abbandonare gli stili di vita usa e getta. E’ meglio portare la propria tazza quando si acquista il caffè da asporto. Oppure prendetevi qualche minuto, sedetevi e bevete il vostro caffè da una tazza di porcellana».

 

L’Onu sta negoziando con i Paesi del mondo un accordo vincolante per porre fine alla diffusione della plastica nella società e alla sua dispersione in natura. La Carney Almroth fa parte della  Scientists Coalition for an Effective Plastics Treaty (SCEPT), che fornisce prove scientifiche ai negoziati, e chiede «Una rapida eliminazione della plastica non necessaria e problematica, nonché la vigilanza per evitare di sostituire un prodotto scadente con un altro. Noi di SCEPT chiediamo requisiti di trasparenza all’interno dell’industria della plastica che impongano una chiara segnalazione di quali sostanze chimiche contengono tutti i prodotti, proprio come nell’industria farmaceutica. Ma l’obiettivo principale del nostro lavoro è ridurre al minimo la produzione di plastica».

 

 

Photo: Artem Labunsky

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