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ISSUE 375

Presentato il report moda sostenibile di Citis: l'Italia è indietro nel panorama internazionale

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Presentato il report moda sostenibile di Citis: l'Italia è indietro nel panorama internazionale

Attenzione alla sostenibilità dei materiali, energie rinnovabili ed economia circolare: tutti i settori in cui l’Italia potrebbe (e dovrebbe) fare meglio.

 

Quando si parla di sostenibilità, la moda italiana si trova ancora molto indietro rispetto al contesto internazionale. È quanto emerge dal Report Moda e Sostenibilità 2023 di Cikis, società italiana di ricerca e consulenza in sostenibilità per la moda, che ha raccolto insight qualitativi e dati strutturati di un campione costituito da 36 brand e 44 aziende della filiera, tutti italiani e con fatturato superiore a un milione. Oggi confrontare il livello di sostenibilità delle aziende italiane con quello delle aziende internazionali è possibile grazie ad alcuni criteri scientifici e condivisi che hanno due funzioni: da una parte rilevare l’efficacia delle misure intraprese dai brand, dall’altra definire le principali soluzioni per ridurre gli impatti ambientali nel settore della moda.

 

“In Italia c’è scarsa consapevolezza del fatto che i materiali naturali non siano necessariamente una scelta sostenibile. I temi rilevanti, però, non riguardano solo i tessuti: bisogna lavorare sull’efficienza energetica lungo l’intera catena del valore, così come sull’implementazione di pratiche di economia circolare, che permetterebbe di risparmiare 336 milioni di tonnellate di emissioni di gas entro il 2030: circa il 32% di quanto richiesto dall’Accordo di Parigi” spiega Serena Moro, Founder di Cikis.

 

Tessuti preferred L’utilizzo dei tessuti preferred da parte dei brand di moda internazionali è in crescita di anno in anno secondo il Material Change Insight 2022 di Textile Exchange, e l’Europa in particolare si distingue come leader mondiale nell’utilizzo di materiali sostenibili, rappresentando il 69% del totale in termini di distribuzione geografica [1]. Se considerata singolarmente, però, la situazione italiana non è altrettanto rosea: dall’indagine di Cikis emerge che, nonostante l’81,2% delle aziende di moda dichiari di utilizzare materiali a basso impatto ambientale (nel Report 2022 la percentuale era del 48%), solo il 61,5% ha davvero incluso materiali preferred nelle collezioni 2022. Il dato è positivo rispetto all’anno precedente, ma non deve ingannare: la quantità di materiale sostenibile utilizzato nelle collezioni 2021 e 2022 non è cambiata: se il report dell’anno scorso aveva evidenziato che solo il 16,8% delle aziende aveva integrato materiali sostenibili in una misura superiore al 75% del totale dei tessuti, quest’anno il dato è migliorato solo del 4%.

 

Naturale non significa sostenibile!

 

A conferma della scarsa consapevolezza che i materiali naturali non siano necessariamente una scelta sostenibile, l’84% delle aziende italiane che sostengono di utilizzare materiali a basso impatto ha classificato come preferred tutti i materiali naturali. I termini “naturale” e “preferred” (o “sostenibile”), tuttavia, non devono essere confusi: il processo di produzione di alcune fibre naturali, infatti, può presentare diversi problemi dal punto di vista dell’impatto ambientale. “Per produrre alcune fibre naturali, ad esempio, sono richiesti un eccessivo sfruttamento agricolo e un’elevata quantità di acqua, condizioni che non rispettano la definizione di materiale preferred, ovvero una materia prima che comporta impatti ridotti e benefici per il clima, la natura e le persone rispetto ai loro equivalenti convenzionali” commenta Serena Moro. Tra le fibre naturali, ad esempio, il cotone riciclato proveniente da agricoltura rigenerativa o biologico è da preferire al cotone convenzionale. Tra le fibre artificiali, sono da preferire quelle riciclate, ricavate dalla cellulosa proveniente da foreste gestite responsabilmente e per cui vengono utilizzati processi chimici controllati e a ciclo chiuso. Nel panorama delle fibre sintetiche, invece, le scelte da preferire alle alternative vergini sono poliestere riciclato, nylon riciclato e le alternative bio-based. Per quanto riguarda i tessuti di origine animale, come ad esempio la lana, si parla di fibra preferred nel caso della lana riciclata o della lana vergine certificata. Anche tra questi materiali elencati, comunque, alcuni performano molto meglio di altri dal punto di vista ambientale: le aziende dovrebbero quindi disporre di un ranking per ogni tipo di materiale, che li aiuti a scegliere l'opzione migliore anche nell'ampio spettro del preferred.

 

Energia rinnovabile

 

La metà delle aziende di moda italiane ha investito in impianti di energia rinnovabile nell’ultimo anno, con un incremento del 31,6% rispetto al 2022; un altro 23,7% ne parla come di una priorità futura. Sono dati incoraggianti, se decontestualizzati, ma molto meno positivi se comparati al benchmark internazionale: secondo UN Climate Change, i Paesi firmatari della carta dovrebbero utilizzare energia rinnovabile in tutte le aree di operatività aziendale, così da raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette entro il 2050. Inoltre, le aziende di moda dovrebbero incoraggiare l’utilizzo di energia rinnovabile in tutta la filiera, ma dai risultati del report di Cikis emerge che l’86,2% delle aziende si trova a uno stadio molto basso, se non nullo, di collaborazione con i fornitori ai fini di ridurre l’impatto energetico.

 

Economia circolare

 

Tra le pratiche di economia circolare, ovvero volte ad allungare il più possibile il ciclo di vita di un prodotto, ci sono modelli di business come il noleggio, la rivendita, la riparazione e la rifabbricazione degli indumenti. Il 73% delle aziende partecipanti al Material Change Insight 2022 di Textile Exchange ha già implementato almeno una di queste strategie [2], mentre in Italia, secondo il report di Cikis, la percentuale di brand che stanno adottando misure di economia circolare si attesta al 13,8%. Il dato è positivo rispetto allo scorso anno (7,4%), ma ancora troppo basso rispetto al contesto internazionale. “Secondo recenti studi, ogni secondo viene bruciato o sepolto in discarica l’equivalente di un camion della spazzatura carico di abbigliamento. [3] Il settore della moda, così come le istituzioni, stanno acquisendo una crescente consapevolezza sull’importanza di limitare l’impatto ambientale del settore e di misurare in modo oggettivo i dati rilasciati delle aziende – continua Serena Moro. “Le aziende italiane devono mettere in pratica azioni concrete e misurabili per ridurre il proprio impatto ambientale e per poterlo comunicare in modo corretto, anche per limitare il fenomeno del greenwashing. Dal nostro studio emerge che più del 36% delle aziende trova complesso implementare strategie di sostenibilità, ma allo stesso tempo risulta che le aziende che si affidano a consulenti sono state in grado di raggiungere un livello di sostenibilità avanzato facendosi accompagnare in progetti complessi. Un risultato, questo, che non è stato raggiunto da nessuna azienda di moda, fra quelle intervistate, che gestisce la questione internamente”.

 

Fabrizio Vallari

 

Note:

 [1] Material Change Insight 2022 di Textile Exchange

 [2] Material Change Insight 2022 di Textile Exchange 

 [3] https://ellenmacarthurfoundation.org/topics/fashion/overview

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