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ISSUE 381

In Colombia è iniziato il controvertice sul clima. I movimenti non credono alla Cop28

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In Colombia è iniziato il controvertice sul clima. I movimenti non credono alla Cop28

"Il mondo resterà sull’autostrada verso l’inferno climatico con i piedi ben saldi sull’acceleratore”: così Karim immagina l'esito della Cop28 di Dubai. Karim è tra le organizzatrici di Earth Social Conference, il controvertice che si sta tenendo in Colombia dal 5 al 10 dicembre. Per costruire una rete globale basata sulla solidarietà.

 

La Cop28 è ufficialmente iniziata il 30 novembre e fino a questo momento la lettura maggioritaria è quella di una Conferenza schiacciata sugli interessi fossili, come dimostrano le dichiarazioni del presidente Al Jaber per il quale “l’addio a carbone, greggio e gas riporterebbe il mondo delle caverne” e “nessuna scienza dice di eliminarli”. La vera domanda che aleggia è sin da ora è: come finirà la Cop28?. “Finirà con un accordo non vincolante, verrà stipulato dietro le quinte e si cercherà di uscire dal vertice con la percezione di non aver fallito completamente. L’accordo non comporterà alcuna deviazione significativa dal business as usual. A consolarci saranno le speranze della Cop29 del prossimo anno. E il mondo resterà sull’autostrada verso l’inferno climatico con i piedi ben saldi sull’acceleratore”.

 

Per Karim l’epilogo del summit sul clima a Dubai è già scritto. Immaginare un finale alternativo del vertice guidato da Sultan Al Jaber sembra impossibile. Karim è tra le organizzatrici di Earth Social Conference, il controvertice che si terrà in Colombia dal 5 al 10 dicembre nella zona di Casanare. Allontanarsi dai conflitti di interesse e dalle ipocrisie che abitano i padiglioni del summit sul clima è l’unico esercizio utile per attraversare questo negoziato. Karim ne è convinta. “Ogni anno migliaia di delegati partecipano a queste conferenze ma le emissioni continuano ad aumentare. Ecco perché ci rifiutiamo di partecipare a un processo di scambio di promesse vuote. Sappiamo che dobbiamo applicare un freno di emergenza per prevenire il collasso climatico, farlo a Dubai non è realistico”, spiega a EconomiaCircolare.com.

 

Sono più di cinquanta le organizzazioni ecologiste e sociali che hanno scelto di boicottare l’appuntamento di Dubai per costruire qualcosa di diverso, ossia una settimana di confronto tra movimenti per il clima, tra attiviste e attivisti in lotta per la giustizia sociale. Ci saranno assemblee sul conflitto in Medio Oriente, sulle nuove forme di colonizzazione e sul ruolo dei movimenti nella crisi climatica. Parteciperanno molti gruppi di Fridays For Future, di Extinction Rebellion, tante anche le alleanze e le coalizioni per il clima, come Climate Action Now, African Climate Youth Time, la rete Endfossil, e molte altre sigle dell’attivismo climatico.

 

Un’alternativa speranzosa alla Cop28

 

Questa conferenza, più delle precedenti, sembra indicare in maniera evidente il contrasto tra le parole d’ordine della diplomazia climatica e le rivendicazioni dei movimenti. Chi parteciperà alla conferenza sociale in Colombia in passato è stato alle conferenze sul clima, le ha vissute spesso protestando dentro e fuori il negoziato, ha partecipato ai panel dedicati alle giovani generazioni e a quelli delle società civile, ma questa volta raggiungere Dubai per seguire il lavoro di 70mila delegati coordinati dall’amministratore delegato di una delle compagnie petrolifere più grandi del mondo avrebbe significato perdere tempo prezioso per organizzarsi.

 

“Abbiamo deciso di proporre un’alternativa speranzosa. Ecco perché stiamo organizzando una conferenza dove discutere con urgenza e in maniera concreta come garantire un futuro giusto e sicuro per tutti. Durante questa settimana di incontri utilizzeremo ogni momento per sviluppare strategie collettive e costruire una solida rete globale basata sulla solidarietà”, continua Karim di Earth Social Conference. “Tutti i gruppi di End Fossil stanno boicottando la Cop28 perché è il vertice sul clima più corrotto che ci sia mai stato, per questo alcuni di noi parteciperanno agli eventi della conferenza sociale in Colombia”, raccontano le attiviste e gli attivisti di End Fossil, una rete internazionale nata nel 2022 che ha promosso l’occupazione di più di 90 università in 13 Stati diversi per spezzare il legame tra le aziende del fossile e i luoghi del sapere.

 

“Le temperature estreme, la siccità, i sempre più frequenti eventi meteorologici disastrosi sono accompagnati dalla certezza che sarà sempre peggio. Nel frattempo, l’acuirsi di conflitti determina un’escalation bellica che non sembra volersi fermare. Ultima linea di faglia si apre in Medio Oriente, dove la sordità occidentale a decenni di lento genocidio del popolo palestinese è stata bucata dal più grande sterminio di civili della storia recente, portato avanti da Israele. Vediamo le conseguenze di entrambi questi fenomeni abbattersi su fasce popolari e interi popoli determinando l’aumento delle disuguaglianze sia nel globo che dentro gli Stati. Identifichiamo la responsabilità in un modello di sviluppo dominato dalla continua ricerca del profitto a discapito delle classi oppresse. In Italia l’economia del fossile e della guerra è incarnata da soggetti come Leonardo e Thales, Eni e Snam che partecipano alla filiera della devastazione fondando il proprio business sulla produzione di energia fossile e armamenti. Le stesse aziende sono quelle che hanno più collaborazioni con le università italiane, inserendosi in modo capillare nel sistema universitario lo utilizzano a loro piacimento”, scrive End Fossil Italia.

 

Oltre lo scetticismo per la diplomazia climatica

 

I movimenti che parteciperanno al controvertice non vogliono soltanto resocontare le evidenze scientifiche del riscaldamento globale, gli stravolgimenti sui territori e sulle persone degli eventi estremi. C’è qualcosa in più: vogliono decarbonizzare l’immaginario collettivo, lottano per l’uscita delle aziende fossili dai luoghi dal sapere e dai luoghi di potere, vogliono pensare e pensarsi fuori da una società estrattiva capace di scartare e scartarti appena non c’è possibilità di profitto. “Visioni per un mondo post-capitalista”; “freno a mano per fermare il collasso climatico”, sono alcune delle suggestioni lanciate sui social.

 

A leggere il programma e le rivendicazioni della Earth Social Conference capiamo che oltre allo scetticismo per la Cop28 c’è il desiderio di non arrendersi al fatalismo climatico. Agli appelli per salvare il pianeta si intrecciano le richieste per tassare le ricchezze, le rendite e i patrimoni di chi mette in pericolo il mondo con i suoi privilegi e investimenti. “La crisi climatica sta colpendo il Sud del mondo, le periferie, e chi sta ai margini, territori e persone più fragili. A loro va data priorità e parola. Per avere una transizione giusta dobbiamo concretizzare politiche di ridistribuzione e di democratizzazione delle nostre economie”, scrivono le organizzatrici e gli organizzatori del controvertice in Colombia.

 

Nei discorsi di questi movimenti la questione di classe è centrale quanto quella geografica. I cartelli che popolano gli scioperi per il clima del venerdì e le azioni di protesta contro i jet privati degli ultimi anni parlano chiaro: bisogna tassare i ricchi.

 

La patrimoniale climatica come strumento di lotta al climate change

 

La patrimoniale climatica è una rivendicazione comune di molti movimenti ecologisti. Se è vero che a bruciare è l’unica casa che abbiamo, è anche inevitabile mostrare che non siamo tutti sullo stesso piano. Le responsabilità dell’aumento delle emissioni di gas climalteranti sono da rintracciare in una minoranza elitaria e agiata. A confermarlo sono ricerche accademiche e molti report indipendenti. L’ultima analisi sull’impatto ambientale dei super ricchi è stata pubblicata proprio in vista della Cop28 dall’ong Oxfam e dallo Stockholm Environment Institute.

 

Nel 2019 l’1% più ricco del pianeta è stato responsabile del 16% delle emissioni globali di CO2 derivanti dai consumi, una quota superiore a quella prodotta da tutte le automobili in circolazione e degli altri mezzi di trasporto su strada; a sua volta il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile della metà delle emissioni globali. In un anno chi fa parte dell’1% più ricco per reddito inquina in media quanto inquinerebbe in 1.500 anni una persona appartenente al restante 99% dell’umanità.

 

“Senza pretesa di rappresentare una panacea, un’imposta progressiva sui grandi patrimoni può generare risorse considerevoli per la decarbonizzazione dell’economia e per affrontare al contempo i crescenti bisogni sociali – salute, istruzione, contrasto all’esclusione sociale – che stentano a trovare oggi una risposta adeguata. Un tributo in grado di garantire maggiore equità del prelievo fiscale e una prospettiva di futuro dignitoso per chi ne è oggi privato”, spiega così Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia, la campagna #lagrandericchezza, un’iniziativa che punta a introdurre a livello europeo “un’imposta sui grandi patrimoni che andrebbe a costituire una fonte addizionale di finanziamento per le risorse proprie dell’UE. Il gettito dell’imposta verrebbe destinato ad investimenti per sostenere la transizione ecologica e l’inclusione sociale nei Paesi membri, nonché per integrare gli stanziamenti dell’UE per le politiche di cooperazione internazionale allo sviluppo e la finanza climatica”.

 

“Il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”

 

Sarebbe stato possibile portare a Dubai questa rivendicazione? Molti attiviste e attivisti del clima non se lo domandano più, preferiscono agire in uno spazio diverso, dove è possibile mantenere tutta la capacità trasformativa dei movimenti. Nel 2018 Greta Thunberg consegna alla Cop24 di Katowice il discorso che la renderà un’icona. “Non possiamo risolvere una crisi se non la trattiamo come tale: dobbiamo lasciare i combustibili fossili sottoterra e dobbiamo focalizzarci sull’uguaglianza. Siete rimasti senza scuse e noi siamo rimasti senza tempo. Noi siamo qui per farvi sapere che il cambiamento sta arrivando, che vi piaccia o no”.

 

Le parole di Thunberg sono state più importanti di tutto quel vertice terminato con una serie di compromessi al ribasso, soprattutto sul punto della revisione dei contributi determinati a livello nazionale. Nel mondo politico internazionale quelle parole segnano un prima e un dopo, visto che Thunberg verrà invitata al Word Economic Forum, all’Onu, al Parlamento europeo, in Vaticano e in tante altre sedi istituzionali. Ma il suo discorso resta soprattutto un passaggio importante per l’evoluzione dei movimenti per il clima, che da quel momento in poi vivranno una moltiplicazione di scioperi, di gruppi informali e di nuove pratiche di attivismo.

 

Con il mondo sconvolto da una pandemia, dalle guerre e da eventi climatici devastanti, oggi si possono rileggere o riascoltare quelle parole pensandole come un’anticipazione di una serie di pratiche e di discorsi meno pacificati e più conflittuali che non piacciono a nessun governo. Del resto, l’ammirazione incondizionata per l’impegno civile dell’attivista svedese ha lasciato presto il posto all’infatilizzazione o alla derisione della sua figura, e di riflesso dei movimenti ecologisti. Lo scherno si è trasformato in criminalizzazione, soprattutto quando l’attacco al capitalismo fossile è diventato reale e a volte organizzato. Occupare le università per denunciare gli accordi tra politica e industrie petrolifere, sgonfiare le ruote dei Suv, invadere le piste degli aeroporti per impedire la partenza dei jet privati, bloccare temporaneamente le autostrade, occupare miniere di carbone, allevamenti intensivi e campi da golf.

 

Disobbedienza civile, non violenza, performance e sabotaggio: queste sono state alcune delle azioni degli ultimi anni di attività dei movimenti del clima, soprattutto dei gruppi di Extinction Rebellion, molto presenti alla conferenza sociale in Colombia. Per chi parteciperà all’assemblee in Colombia custodire e preservare il pianeta significa contrastare le grandi compagnie fossili, la loro interferenza continua nei programmi di sviluppo, il loro contrasto alla transizione ecologica.  Le parole di chi parteciperà a questo controvertice conducono verso una riflessione sull’evento di Dubai. La fase terminale dei combustibili fossili – evocata da Simon Stiell, il segretario della Nazione Unite per il clima – verrà sancita alla fine di questo summit? Dopo un susseguirsi di fallimenti, stalli e ipocrisie perché questa Cop dovrebbe essere differente? È la domanda che si pone oggi chi è in Colombia.

 

Questa volta, portare un nuovo discorso dirompente davanti i grandi della terra non riuscirebbe a scalfire le retoriche dei tanti governi annodati all’industria fossile, compresi quelli europei. Lo sanno bene i movimenti tedeschi che a inizio anno hanno invaso il cantiere della miniera di lignite di Garzweiler, bloccando l’area della cava di estrazione. E anche a Londra, dove centinaia di manifestanti hanno lottato in strada contro le autorizzazioni del governo per le nuove estrazioni di petrolio e gas in un grande giacimento nel mare del Nord. Sempre a Londra, a metà ottobre, i movimenti ecologisti hanno bloccato temporaneamente una conferenza internazionale delle grandi compagnie fossili, denunciando i loro profitti da record e gridando uno slogan: “i magnati del petrolio devono pagare il conto”.

 

Nel 2023 i livelli di gas serra sono a livelli record, tra il 17 e il 18 novembre abbiamo superato i 2 gradi di aumento delle temperature medie globali. A gennaio di quest’anno, per le azioni contro l’espansione della miniera di lignite in Germania, Greta Thunberg è stata fermata e allontanata due volte dalla polizia. “Non era mai successo che la temperatura di un singolo giorno superasse la soglia dei due gradi”, commentano i social del programma di monitoraggio europeo Copernicus. A Londra, esattamente un mese prima di questo evento, dopo per aver protestato contro l’industria fossile Greta Thunberg è stata arrestata.

 

Alessandro Coltré

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