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ISSUE 391

Al via oggi il quarto round di negoziati per il trattato globale sulla plastica

economiacircolare.com

Al via oggi il quarto round di negoziati per il trattato globale sulla plastica

Per arrivare entro l’anno, come previsto, all’approvazione del trattato globale sulla plastica, ad Ottawa si parte da una bozza che contiene centinaia di opzioni diverse. Due schieramenti si fronteggiano: quello dei Paesi che vogliono ridurre la produzione e quello dei Paesi produttori di petrolio che vogliono invece limitarsi a norme su gestione e riciclo.

 

Prende il via oggi a Ottawa, Canada, la quarta sessione del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC-4) per giungere all’approvazione di un trattato globale vincolante contro l’inquinamento da plastica. I lavori andranno avanti fino a lunedì 29, mentre la prossima sessione, la quinta (INC-5), si terrà dal 25 novembre al 1° dicembre 2024 a Busan, Repubblica di Corea. L’ambizione è completare i negoziati entro la fine del 2024.

 

Da dove partono i lavori per un trattato globale sulla plastica? Il mandato della risoluzione (5/14) approvata nel marzo 2022 dall’Assemblea delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEA-5.2) chiede al Direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) di convocare un Comitato intergovernativo di negoziazione (INC) per sviluppare lo “strumento”, che deve essere basato su un approccio globale che affronti l’intero ciclo di vita della plastica, compresa la produzione, la progettazione e lo smaltimento.

 

I lavori sono partiti novembre 2022 a Punta del Este, Uruguay, per proseguire a Parigi (maggio-giugno 2023) e Nairobi, Kenya (novembre 2023).

 

Perché c’è bisogno di un trattato globale sulla plastica

 

“Il rapido aumento dei livelli di inquinamento da plastica rappresenta un grave problema ambientale globale che incide negativamente sulle dimensioni ambientale, sociale, economica e sanitaria dello sviluppo sostenibile”, afferma il Programma delle nazioni unite per l’ambiente (UNEP). In uno scenario di business-as-usual e in assenza di interventi necessari, secondo l’UNEP, la quantità di rifiuti di plastica che entra negli ecosistemi acquatici “potrebbe quasi triplicare, passando da circa 9-14 milioni di tonnellate all’anno nel 2016 a 23-37 milioni di tonnellate all’anno entro il 2040”. Ogni giorno, l’equivalente di 2.000 camion della spazzatura pieni di plastica viene scaricato negli oceani, nei fiumi e nei laghi del mondo. E Inger Andersen, direttrice esecutiva del programma, afferma che “non riusciremo a uscire dalla crisi dell’inquinamento da plastica con il riciclo: abbiamo bisogno di una trasformazione sistemica per realizzare la transizione verso un’economia circolare”.

 

Il problema, come i lettori di EconomiaCircolare.com sanno, non è la plastica in sé. Ancora l’UNEP: “Nonostante la plastica abbia molti usi preziosi, siamo diventati dipendenti dai prodotti di plastica monouso, con gravi conseguenze ambientali, sociali, economiche e sanitarie”. I dati sono sconcertanti: nel mondo, ogni minuto vengono acquistate un milione di bottiglie di plastica, mentre ogni anno vengono utilizzati fino a cinquemila miliardi di sacchetti di plastica. In totale, la metà di tutta la plastica prodotta è destinata al monouso: viene usata una sola volta e poi gettata via.

 

Oggi produciamo circa 400 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno, e solo il 10% viene riciclato. Circa il 36% di tutta la plastica prodotta viene utilizzata per gli imballaggi, compresi i prodotti di plastica monouso per i contenitori di alimenti e bevande, di cui circa l’85%, se si considera l’intero pianeta, finisce in discarica o come rifiuto non regolamentato. Inoltre, circa il 98% dei prodotti in plastica monouso è prodotto a partire da combustibili fossili, o materie prime vergini.

 

Gli schieramenti nei lavori per il trattato sulla plastica

 

Fin dalle prime trattative è emersa una frattura tra le economie produttrici di petrolio e i Paesi che più autenticamente intendono contrastare l’inquinamento da plastica: questi ultimi che puntano a ridurre la produzione globale di polimeri, e quindi i rifiuti, i primi invece vorrebbero che il trattato di occupasse solo della corretta gestione e del riciclo dei rifiuti. Da una parta quella che si è battezzata come High Ambition Coalition (Coalizione della grande ambizione): oltre 60 Paesi, co-presieduti da Norvegia e Ruanda (grande assente l’Italia), che mira a porre un tetto alla produzione. Dall’altra la Coalizione Globale per la Sostenibilità della Plastica, composta principalmente da Paesi le cui economie dipendono dall’estrazione di quei carburanti fossili che servono proprio a produrre la stragrande maggioranza dei polimeri (Arabia Saudita, Russia, Iran, Cuba, Cina e Bahrein), che vuole invece un accordo focalizzato sulla gestione e sul dei rifiuti, coi singoli Paesi che stabiliscono i propri obiettivi.

 

Accanto a loro la Business Coalition for a Global Plastics Treaty, “convocata dalla Ellen MacArthur Foundation e dal WWF, in collaborazione con aziende allineate e con il sostegno di partner ONG strategici”, spiega la stessa Ellen MacArthur Foundation. Secondo cui la coalizione – di cui fanno parte a più di 200 tra istituzioni finanziarie, ONG e soprattutto imprese, come Coca Cola, Unilever, Ferrero, PepsiCo, Danone, L’Oreal, Nestlè, Lego – “considera il trattato come la più importante opportunità per accelerare i progressi verso un’economia circolare”. Tre i macro obiettivi della Business Coalition:

 

  1. RIDUZIONE della produzione e dell’uso della plastica attraverso un approccio di economia circolare, concentrandosi su quelle plastiche che hanno alti tassi di perdita, hanno una vita breve e/o sono prodotte utilizzando risorse vergini di origine fossile.

  2. CIRCOLAZIONE di tutti gli articoli in plastica che non possono essere eliminati, mantenendoli nell’economia al loro massimo valore.

  3. PREVENZIONE e RISANAMENTO delle micro e macro-perdite di plastica ancora presenti e difficili da eliminare nell’ambiente.

 

La bozza rivista, il lavoro dei lobbisti e il parere dei cittadini

 

Mentre il round tre (INC-3) si era aperto lavorando sulla cosiddetta bozza zero (Draft zero) a Ottawa si parte da una Revised draft text (RDT, bozza di testo rivista) redatta dal Segretariato sulla base delle discussioni di Nairobi che contempla numerosissime opzioni in cui le delegazioni dovranno progressivamente disboscare quelle meno gettonate (il Center for International Environmental Law-CIEL ne ha messo a disposizione una versione commentata). Secondo il WWF, la bozza di testo riveduta “mostra segni che le regole globali per porre fine all’inquinamento da plastica rischiano di essere diluite”. Una serie di opzioni più deboli “mostrano lo scenario peggiore di un trattato senza misure vincolanti e con sole azioni volontarie, incentrato principalmente sulla gestione dei rifiuti e sull’inquinamento esistente”. Tuttavia, afferma l’associazione, queste opzioni “non sono rappresentative della posizione della maggior parte degli Stati”.

 

Intanto sui lavori di Ottawa si proietta l’ombra delle macchinazioni delle lobby . Un’analisi del CIEL, supportata da Greenpeace, Beyond Petrochemicals, International Pollutants Elimination Network (IPEN), and Break Free From Plastic, ha fatto emergere che già a Nairobi (INC-3) i lobbisti accreditati erano oltre 140, il 36% in più di Parigi (INC-2). E con l’infittirsi delle trattative, afferma il CIEL, c’è da attendersi che quest’anno saranno ancora di più.

 

Per saggiare il polso della pubblica opinione, Greenpeace ha condotto un sondaggio in 19 Paesi con oltre 19.000 intervistati, che “mostra un forte sostegno alla riduzione della produzione di plastica, con oltre 8 persone su 10 (82%1)”. Inoltre “ben 9 persone su 10 sono a favore di una transizione dagli imballaggi di plastica monouso a quelli riutilizzabili e ricaricabili, mentre il 75% sostiene di un divieto della plastica monouso”.

 

Secondo un altro sondaggio realizzato dal WWF e Ipsos su un campione di 24 mila persone di 32 Paesi (tra cui anche l’Italia) l’87% degli intervistati a livello globale (l’83% degli italiani) ritiene necessaria una riduzione della produzione, mentre l’85% ritiene che la plastica monouso debba essere vietata.

 

 

Photo: Dorothe 

 

 

Photo: Merakist 

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