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ISSUE 430

L’allarme di Greenpeace: in Italia Pfas presenti anche nell’aria

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L’allarme di Greenpeace: in Italia Pfas presenti anche nell’aria

Respirare Pfas» è un titolo che può sembrare eccessivo. Eppure, a leggere il testo che segue questo stesso titolo, rispecchia la realtà. Nei mesi scorsi Greenpeace ha condotto una serie di analisi sulle acque potabili d’Italia, sulle acque minerali vendute in bottiglia, sempre nel nostro Paese, riscontrando in entrambi i casi la presenza di questi pericolosi composti. Ora l’ultima inchiesta dell’Unità investigativa di Greenpeace Italia mostra che tali sostanze sono presenti anche nell’aria che respiriamo lungo la Penisola. L’associazione ha fatto analizzare i dati del Registro europeo Pollutant release and transfer register (Prtr), in cui sono raccolti i valori delle emissioni di oltre 4 mila stabilimenti industriali italiani. Queste strutture sono soggette all’obbligo di dichiarazione in merito a diversi inquinanti, il che rende possibile fotografare il livello di emissioni per varie sostanze a livello nazionale.

 

L’indagine dal titolo “Respirare Pfas” si è focalizzata su un particolare tipo di inquinante dell’aria, i gas fluorurati (F-gas), dei quali la maggior parte sono proprio sostanze poli- e per- fluoroalchiliche (Pfas), anche note come «inquinanti eterni» a causa della loro pericolosità e persistenza nell’ambiente. Per avere un’idea dell’impatto generale dell’inquinamento generato dagli F-gas a livello europeo, spiega l’associazione ambientalista, basti pensare che queste sostanze sono responsabili del 60% di tutte le emissioni di Pfas nell’Unione europea.

 

Secondo i dati contenuti nel Registro europeo Prtr, tra il 2007 e il 2023 sono state rilasciate sul territorio italiano 3.766 tonnellate di F-gas, per la maggior parte Pfas. Seppur nessuna Regione risulti esclusa dalle rilevazioni (a parte la Calabria per la quale non sono disponibili dati), è il Piemonte l’epicentro di questo tipo di inquinamento ambientale, con il 76% delle emissioni italiane di F-gas (2.863 tonnellate nel periodo 2007-2023). E in Piemonte, il Comune di Alessandria – con ben 2.828 tonnellate emesse nello stesso periodo – è l’epicentro di questa contaminazione.

 

Il restante 24% delle emissioni è in larga parte attribuibile alle industrie localizzate in Veneto (in particolare nella zona di Venezia), Lombardia e Toscana. Da notare, spiega Greenpeace, che l’incidenza delle industrie che si trovano nelle altre Regioni è minima rispetto ai valori piemontesi, ma tutt’altro che trascurabile in termini assoluti.

 

I dati del registro mostrano negli ultimi anni una riduzione delle emissioni, in parte riconducibili agli effetti della pandemia da Covid-19 ma anche al processo di sostituzione degli F-gas con il C604, una sostanza che l’azienda produttrice, la ex Solvay, oggi Syensqo, definisce innocua ma che, sottolinea Greenpeace, secondo una pubblicazione scientifica dell’Università di Padova e dell’Istituto di ricerca sulle acque (Irsa/Cnr), avrebbe impatti negativi evidenti sui sistemi biologici.

 

«Per fortuna, per sostituire i gas fluorurati nei processi industriali esistono già diverse alternative disponibili e non pericolose, come segnala anche un approfondito studio di Ispra», dichiara Alessandro Giannì di Greenpeace Italia. «Sostituire rapidamente i Pfas in questi cicli produttivi è urgente per la sicurezza dei cittadini ed è nell’interesse delle aziende e dei lavoratori del settore».

 

Da questo punto di vista, altri Paesi europei hanno fatto importanti passi avanti. La Francia, ad esempio, ha vietato l’utilizzo di Pfas in tessuti e cosmetici già a partire dal prossimo gennaio. Anche la Danimarca ha legiferato per combattere davvero l’inquinamento da Pfas. Al contrario, il governo italiano ancora non ha messo in campo misure veramente decisive per combattere questo fenomeno.

 

Le emissioni di Pfas in atmosfera, sottolineano i ricercatori che hanno lavorato all’indagine di Greenpeace, potrebbero essere facilmente azzerate con uno sforzo congiunto di istituzioni e industria, anche sulla spinta del contrasto ai cambiamenti climatici. Oltre ai possibili rischi sanitari di cui abbiamo già parlato, infatti, gli F-gas sono gas a effetto serra, con un potenziale di riscaldamento globale (Gwp) migliaia di volte superiore a quello della CO2. Ad esempio, il gas fluorurato Hcfc-22 ha un potenziale di riscaldamento globale stimato pari a 5.280 volte quello dell’anidride carbonica.

 

 

Photo: greenreport.it

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