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Nulla di fatto sulla crisi del recupero di rifiuti
Nel decreto-legge “semplificazioni” non è stata inserita nessuna disposizione per superare la crisi dell’end of waste. Le associazioni del settore del recupero chiedono al ministro dell’Ambiente un tempestivo intervento
di Paolo Pipere, consulente giuridico ambientale
Aspettative deluse. Nel cosiddetto decreto-legge semplificazioni non v’è traccia dell’attesa misura per sbloccare il settore del recupero dei rifiuti. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato, utilizzata impropriamente per negare agli enti locali che rilasciano le autorizzazioni degli impianti la possibilità di definire se il trattamento di recupero è in grado di trasformare il rifiuto in prodotto, si attendeva un intervento del Governo per superare la situazione di pericoloso stallo dell’intero settore.
Una strategia discussa La soluzione prospettata non era certo delle migliori perché, secondo il documento congiunto di molte associazioni di recuperatori: «Subordina il rilascio delle autorizzazioni caso per caso da parte delle Regioni ad un ulteriore decreto sui criteri generali, in attesa di quelli per i flussi specifici dei rifiuti». Inoltre, sempre secondo le valutazioni degli operatori del recupero (ASSORIMAP - Associazione nazionale riciclatori e rigeneratori di materie plastiche, FISE Assoambiente, FISE Unicircular, Consorzio Italiano Compostatori, AMIS - Associazione Imprese Gestione Rifiuti): «le autorizzazioni esistenti dovranno essere tutte sottoposte a verifica sulla base del D.M. 5 febbraio 1998 o di linee guida ministeriali ancora da emanare». Un curioso doppio binario. Da un lato un decreto che avrebbe dovuto definire i criteri generali per la cessazione della qualifica di rifiuto, dall’altro una pluralità di decreti sull’end of waste della singola tipologia di rifiuto.
Le norme per i prodotti sono tutto ciò che serve Le condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto in realtà sono già compiutamente definiti dall’articolo 184-ter del D.Lgs. 152/2006 e i criteri, elementi di dettaglio per verificare se sono state rispettate le quattro condizioni, si risolvono tutti fondamentalmente in una sola verifica: il materiale ottenuto a seguito del trattamento di recupero avvenuto in un impianto autorizzato è in tutto e per tutto un prodotto? È qualcosa che si può immettere sul mercato nazionale perché rispetta tutti requisiti minimi fissati da norme cogenti per genere di bene? Se non lo è l’impianto non ha realizzato la cessazione della qualifica di rifiuto ma si è limitato ad effettuare un trattamento intermedio, se lo è, ovviamente, la trasformazione del rifiuto in prodotto è stata realizzata. In altri termini, non servono norme sull’end of waste per verificare se una scatola di cartone prodotta utilizzando da carta da macero possa essere immessa sul mercato perché ci sono già decine di norme che specificano quali requisiti deve soddisfare ogni scatola di cartone, prodotta a partire da pasta di cellulosa o da fibre secondarie, per poter essere commercializzata.
Evitare la paralisi definitiva L’ipotesi di soluzione della crisi del recupero prospettata dal Ministero non soddisfa gli operatori. “Questa previsione – spiegano le associazioni - rischia di burocratizzare ulteriormente e paralizzare definitivamente il riciclo e il recupero di rifiuti, con gravi conseguenze per imprese e cittadini. La situazione va risolta con urgenza, visto che è dalla sentenza di febbraio del Consiglio di Stato che è bloccata l’operatività del meccanismo caso per caso nonostante anche la nuova direttiva 851/2018/UE sull’economia circolare lo preveda». di Paolo Pipere, consulente giuridico ambientale
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