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Rassegna del 27 Dicembre 2018
    

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Ambiente, Trump investe nelle centrali a carbone e smantella le norme di Obama


L'amministrazione Trump sta smantellando le norme ambientali approvate durante i due mandati di Barack Obama. Le ultime riforme presentate in ordine di tempo sono: una proposta di legge che apre alla costruzione di centrali elettriche alimentate a carbone di nuova generazione; e un'altra che, invece, apre alle esplorazioni petrolifere nelle aree protette. Proposte di legge decise dalla Casa Bianca nelle settimane in cui in Polonia i leader mondiali discutevano dei cambiamenti climatici alla Conferenza Onu sul clima e sulle politiche possibili per combattere il riscaldamento globale.

Più combustibili fossili
Il Dipartimento agli Interni ha proposto un piano per sviluppare le ricerche petrolifere e minerarie nell'Ovest, aprendo di fatto le esplorazioni alle major energetiche in centinaia di migliaia di acri di verde protetto e incontaminato in stati come Colorado e Utah. Il disegno di legge mette da parte la normativa approvata dall'amministrazione Obama nel 2015 per la protezione degli habitat e delle specie animali. Trump dall'inizio della sua presidenza nel 2017 ha sempre detto che voleva superare le regole di protezione ambientale e di riduzione dell'inquinamento messe in atto nell'era Obama, con l'obiettivo di massimizzare la produzione di combustibili fossili. A partire dal petrolio di cui gli Stati Uniti, con Arabia Saudita e Russia, sono tra i principali produttori mondiali. La proposta di legge per consentire le ricerche di oil & gas nelle aree protette va in questa direzione.

Nuove centrali a carbone
Oltre a questo provvedimento, negli stessi giorni, l'Agenzia per la protezione ambientale americana Epa ha proposto un piano per lo sviluppo di nuove centrali a carbone. Il numero uno dell'Epa Andrew Wheeler, ex lobbista del settore, ha spiegato che il provvedimento vuole «incoraggiare gli investimenti nelle centrali pulite a carbone», ricordando che gli Usa sono grandi esportatori di carbone nel mondo. Uno sforzo, secondo lui, che potrebbe aiutare a ridurre le emissioni globali se i paesi emergenti, che hanno decine e decine di centrali elettriche alimentate a carbone, utilizzassero le nuove tecnologie made in Usa.

Un settore in declino
Negli Stati Uniti la produzione di elettricità da centrali a carbone è in declino da anni, dal massimo dei consumi del 2007. Il boom dello shale gas ha creato un'alternativa pulita per produrre elettricità dal gas naturale che - prima ancora delle considerazioni ambientali - rende meno competitive le centrali a combustibili fossili. Secondo le proiezioni dell'Us Energy information administration (Eia) il consumo di carbone è sceso nel 2018 di un ulteriore 4% rispetto all'anno precedente, ai più bassi livelli dal 1979, al di sotto del 44% dai livelli massimi del 2007. La domanda di carbone negli Stati Uniti quest'anno addirittura è scesa al livello più basso da 39 anni, con l'industria dell'energia che si muove ormai sempre più verso l'utilizzo di gas e di fonti rinnovabili come solare ed eolico, nel frattempo diventate più a buon mercato rispetto alle fonti energetiche fossili come il carbone, anche per i crescenti vincoli legislativi in termini di autorizzazioni e di emissioni.

630 centrali chiuse
Nonostante le politiche di Trump le centrali elettriche a carbone continuano inesorabilmente a chiudere. Dal 2010 negli Stati Uniti sono state chiuse 630 centrali elettriche alimentate a carbone in 43 stati, secondo I dati dell'American Coalition for Clean Coal Electricity, associazione che rappresenta gli interessi di alcune aziende del settore. La quota di mercato negli Stati Uniti delle centrali a carbone rispetto al totale di produzione elettrica continua a scendere da anni: nel 2019 secondo l'Epa scenderà al 26% dal 30% del 2017. «Il carbone a questo punto è l'opzione più costosa per produrre elettricità – conferma Rob Barnett di Bloomberg Intelligence – non ha alcun senso economico considerando l'abbondanza e la disponibilità di gas naturale a costi molto più bassi».

18 stati vanno ancora a carbone
L'industria dell'energia negli Stati Uniti dunque ha già modificato il mix di fonti preferendo, appunto, il gas naturale dallo shale gas e le rinnovabili con solare, eolico e idroelettrico. Gli ultimi dati: nel 2017 sono stati spenti 529 generatori di potenza alimentati a carbone, con una capacità di 55 gigawatts. Nel 2018 al conto delle dismissioni si aggiungono altri 14 gigawatts di generatori a carbone che escono dal sistema produttivo dell'energia. La strada sembra tracciata. E molti esperti del settore energia non credono che le riforme proposte ora dall'amministrazione Usa riusciranno a invertire questo trend: tra il 2019 e il 2024 altri 23,1 gigawatts di generatori a carbone verranno spenti, stando alle stime di S&P global market intelligence. «Gli incentivi alle rinnovabili – scrivono gli analisti di S&P - concessi dai singoli stati americani e a livello federale hanno spinto gli investimenti nelle nuove fonti energetiche. Grazie a questi incentivi il costo per realizzare impianti solari o eolici negli Stati Uniti è al di sotto di quello per mantenere l'operatività delle centrali a carbone o nucleari esistenti negli Stati Uniti», sostiene S&P. Insomma costa meno investire nelle fonti pulite che continuare a produrre energia alla vecchia maniera. Ma il carbone è ancora la principale fonte di energia in 18 stati americani: erano 28 gli stati a carbone dieci anni fa.

La proposta di Trump
Non riconoscendo l'accordo sul clima di Parigi l'amministrazione Trump può riscrivere e ridurre le norme ambientali che in questi ultimi anni hanno ostacolato il settore del carbone. La proposta dell'Environmental protection agency sulle nuove centrali a carbone prevede che le emissioni di anidride carbonica non superino i 1.900 pounds (pari a 862 kg) per ogni megawatt/ora di elettricità, rispetto al limite attuale che è di 1.400 pounds. Per ora si tratta di una proposta. Dopo il periodo di raccolta di commenti pubblici, la nuova normativa dovrà essere approvata dal Congresso che nel frattempo dal 2019, dopo le elezioni midterm, avrà una Camera a maggioranza democratica dove non sarà facile per Trump far passare il provvedimento. «Questa proposta è un altro tentativo illegale dell'Amministrazione Trump per sostenere un'industria che si sta già evolvendo sotto la forza del libero mercato» dice il democratico Sheldon Whitehouse che siede nella Commissione ambiente del Senato. Il governo federale nel suo crono-programma prevede al momento l'apertura di due sole grandi centrali alimentate a carbone nei prossimi anni, a fronte delle 77 centrali che nello stesso periodo chiuderanno perché o troppo inquinanti, o obsolete, o perché non più economicamente convenienti. Come ha confermato Matt Gray, analista del settore che lavora nel think tank Carbon tracker: «Ormai la battaglia è tra gas e rinnovabili». Tuttavia Trump dalla campagna elettorale continua a promettere di voler riportare i posti di lavoro all'industria estrattiva del carbone.

Grandi esportatori di carbone
Gli Stati Uniti sono grandi esportatori di carbone. Nel 2018 gli Stati Uniti hanno estratto carbone per 756 milioni di short tons (unità di misura americana che corrisponde a 907 kg). In diminuzione rispetto ai 774 milioni prodotti nel 2017, ma di più dei 728 milioni estratti nell'ultimo anno di Obama.
Nei mercati emergenti come Cina e India le centrali alimentate a carbone continuano a crescere: l'export Usa è aumentato del 61% a 97 milioni di short tons lo scorso anno (dati Eia). Il mese scorso il segretario all'Energia Usa, Rick Perry, ha visitato la Polonia per promuovere l'export di carbone e di shale gas americano anche nel paese dell'Est europa, tra i più vicini all'amministrazione Trump. La Polonia ha ancora centrali di carbone attive, molto inquinanti. Ha miniere «con 200 anni di riserve accertate», secondo il suo presidente Andrzej Duda, proprio nella Slesia. La regione mineraria che ha Katowice come capoluogo, città dove non a caso si è tenuta la Conferenza Onu sul clima. Le centrali a carbone rivestono un'importanza strategica per la Polonia perché le permettono di non essere dipendente dal gas russo.

I costi per il cambiamento climatico
L'agenda di Trump per incoraggiare l'uso di carburanti fossili si contrappone anche alla visione del Congresso – a maggioranza repubblicana - che lo scorso mese ha diffuso un report in cui si sostiene che senza un cambiamento nelle politiche energetiche che tenga conto dei problemi del riscaldamento globale, oltre alla perdita di opportunità di investimento nell'efficientamento energetico del sistema, in termini di inquinamento e di costi sanitari la mancata attuazione di queste politiche costerà all'economia americana centinaia di miliardi di dollari entro la fine del secolo. Studio smentito da Trump che ritiene non abbia fondamento scientifico.

Bloomberg scende in campo a difesa del clima
La questione delle centrali a carbone è già diventata un tema per la campagna elettorale delle prossime presidenziali 2020. Michael Bloomberg, 76 anni, che ha appena confermato la decisione di concorrere per la nomination democratica, ha già attaccato Trump sul tema energia in un tour pre-elettorale appena concluso nello Iowa, uno dei primi stati dove si voterà per la nomination Dem: «Se non credi nella scienza – ha detto Bloomberg riferendosi a Trump - non so davvero cosa dirti. Immagino allora che quando hai bisogno di un dottore, tu vai da uno stregone o da qualcosa del genere», ha ironizzato l'editore miliardario, che è stato sindaco di New York, è stato repubblicano, indipendente, e ora si propone come il volto moderato dei democratici per le prossime elezioni. Bloomberg nel suo giro nello Iowa ha donato 250mila dollari al partito democratico locale per finanziare la prossima campagna. E ha spiegato che le politiche energetiche per rinnovare e rendere meno inquinante il sistema americano saranno tra i temi al centro della sua campagna, così come l'impegno a rientrare negli accordi sul clima di Parigi. «Le fonti rinnovabili sono una enorme opportunità anche per la nostra industria. Peccato che nessuno lo abbia spiegato a Trump».

 

Fonte: Il Sole 24 ORE, 26 dicembre 2018




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