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La norma che ha recepito le modifiche alla direttiva quadro sui rifiuti, il decreto legislativo 116/2020, ha modificato l’estensione della responsabilità del produttore del rifiuto sia in termini generali sia nel caso in cui i rifiuti siano conferiti ad alcune tipologie di impianti.
Il decreto entrato in vigore il 26 settembre stabilisce che la consegna dei rifiuti a un intermediario, a un commerciante, a un ente o impresa che effettua le operazioni di trattamento dei rifiuti o a un soggetto addetto alla raccolta o al trasporto dei rifiuti: «non costituisce esclusione automatica della responsabilità rispetto alle operazioni di effettivo recupero o smaltimento». Difficile comprendere che cosa significhi l’espressione “non costituisce esclusione automatica della responsabilità” se si considera che poche righe dopo la norma, contraddicendosi, sancisce che la responsabilità del produttore o del detentore per il recupero o smaltimento dei rifiuti è esclusa nei seguenti casi:
«a) conferimento dei rifiuti al servizio pubblico di raccolta;
b) conferimento dei rifiuti a soggetti autorizzati alle attività di recupero o di smaltimento a condizione che il detentore abbia ricevuto il formulario di cui all'articolo 193 controfirmato e datato in arrivo dal destinatario entro tre mesi dalla data di conferimento dei rifiuti al trasportatore […]».
Probabilmente si tratta di un tentativo, certamente non riuscito, di recepire con dodici anni di ritardo una prescrizione della Direttiva 2008/98/CE. L’articolo 15, paragrafo 2, della norma europea dispone, infatti, che: «Quando i rifiuti sono trasferiti per il trattamento preliminare dal produttore iniziale o dal detentore a una delle persone fisiche o giuridiche di cui al paragrafo 1, la responsabilità dell’esecuzione di un’operazione completa di recupero o smaltimento di regola non è assolta».
La Direttiva precisa che il conferimento ad un impianto che effettua il trattamento preliminare non consente di adempiere agli obblighi di corretta gestione attribuiti al produttore o al detentore del rifiuto, mentre la norma nazionale afferma, all’articolo 188 comma 4, che anche il conferimento ad un impianto autorizzato al trattamento, e quindi non solo a quelli preliminari, non costituisce esclusione automatica della responsabilità, salvo poi affermare apoditticamente che la ricezione della quarta copia del formulario la esclude in ogni caso.
Attestato di avvenuto smaltimento
Il comma successivo introduce un caso in cui la ricezione della quarta copia del formulario non consente al produttore o al detentore del rifiuto di dimostrare l’assolvimento degli obblighi di corretta gestione: il conferimento del rifiuto ad un impianto preliminare allo smaltimento.
In sintesi, è stato riesumato il vecchio certificato di avvenuto smaltimento, mai divenuto efficace perché dal 2006 ad oggi il Ministero dell’ambiente non ha mai emanato il decreto che avrebbe dovuto disciplinarlo.
Ora la norma, dopo le modifiche di settembre, afferma che: «Nel caso di conferimento di rifiuti a soggetti autorizzati alle operazioni di raggruppamento, ricondizionamento e deposito preliminare di cui ai punti D13, D14, D15 dell'allegato B alla Parte IV del presente decreto, la responsabilità dei produttori dei rifiuti per il corretto smaltimento è esclusa a condizione che questi ultimi, oltre al formulario di identificazione abbiano ricevuto un'attestazione di avvenuto smaltimento».
La disposizione è transitoria, perché si applicherà fino a quando sarà emanato un decreto attuativo, ma immediatamente efficace dal 26 settembre.
Che cosa deve essere attestato?
Ciò che preoccupa i produttori di rifiuti e i gestori di impianti che effettuano le operazioni preliminari allo smaltimento è la vaghezza della disposizione.
Il gestore deve predisporre un’attestazione: «sottoscritta dal titolare dell'impianto da cui risultino, almeno, i dati dell'impianto e del titolare, la quantità dei rifiuti trattati e la tipologia di operazione di smaltimento effettuata».
È chiaro che deve essere il gestore dell’impianto autorizzato a svolgere le operazioni preliminari allo smaltimento a rilasciare l’attestato, ma non è per nulla comprensibile che cosa deve attestare. Se le informazioni minime contenute nel documento dovessero essere riferite all’impianto che svolge le operazioni preliminari allo smaltimento, allora si tratterebbe di una mera duplicazione di ciò che il gestore ha già dichiarato compilando e sottoscrivendo le tre copie del formulario. Se, invece, il titolare dell’impianto che effettua le operazioni preliminari dovesse indicare nell’attestato i dati dell’impianto di smaltimento successivo, opzione che sembrerebbe più logica pur non essendo supportata dalla lettera della norma, allora si verificherebbero altri problemi.
In primo luogo, l’attestato dovrebbe essere rilasciato solo dopo l’avvenuto conferimento all’impianto di smaltimento definitivo, pertanto il produttore riceverebbe entro tre mesi la quarta copia del formulario ma, in assenza dell’attestazione, continuerebbe a non poter dimostrare di avere correttamente gestito il rifiuto.
In secondo luogo, sia in caso di raggruppamento o ricondizionamento sia in caso di deposito preliminare in serbatoi, silos o cumuli dei rifiuti di una pluralità di soggetti sarebbe comunque impossibile dichiarare che il rifiuto giunto all’impianto di smaltimento definitivo è proprio quello di un determinato produttore.
È necessario un diverso sistema di tracciabilità
In altri termini, l’attuale sistema di tracciabilità dei rifiuti, così come quello che in futuro sarà costituito dal Registro Elettronico per la Tracciabilità dei Rifiuti (RENTRI), non è in alcun modo di assicurare che il singolo lotto di rifiuti di un produttore sia effettivamente quello giunto, dopo il trattamento o lo stoccaggio intermedio, all’impianto di smaltimento finale. Sfugge, quindi, quale garanzia possa fornire l’attestato, o il certificato, di avvenuto smaltimento.
Deve essere notato, infine, che la recente modifica della norma introduce anche un’altra contraddizione. L’attestato, e in futuro il certificato, sono previsti esclusivamente nel caso in cui i rifiuti siano stati conferiti a impianti che svolgono operazioni di trattamento propedeutiche allo smaltimento, ma l’articolo 188-bis prevede che con decreto siano definite: «le modalità per la verifica e l'invio della comunicazione dell'avvenuto recupero o smaltimento dei rifiuti, di cui all'articolo 188, comma 5 […]». Resta da capire come il decreto possa definire una comunicazione di avvenuto recupero che non è in alcun modo prevista né dall’articolo 188, comma 5, né da alcun altro articolo del decreto legislativo 152/2006.
Paolo Pipere
Consulente giuridico ambientale
Rassegna del 16 Ottobre 2020 |
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