La Newsletter di ESO
ISSUE 305

Perché dobbiamo dotarci di un'ecologia digitale

Vanno promossi i comportamenti virtuosi anche online, premiando chi si sforza di preservare pulita e sicura la rete a discapito di chi la inquina

wired.it

Perché dobbiamo dotarci di un'ecologia digitale

All’improvviso calpesto un vetro rotto, mentre scendo dalla macchina per andare a un importante appuntamento di lavoro. Poco più in là ci sono altre bottiglie affiancate come birilli su un muretto lungo la strada. A terra fazzoletti, resti di sigarette, carta stropicciata e un paio di lattine ammaccate. È fine settembre e sono in una grande città italiana.

È evidente che qualcuno non ha a cuore la propria città e forse nemmeno coloro che la abitano. Anche se da un punto di vista pratico l’inquinamento generato in quel quartiere può essere trascurabile sull’inquinamento totale, da un punto di vista emotivo il disprezzo di quei gesti mi ha infastidito a tal punto da domandarmi: perché inquinare un posto che appartiene a tutti noi? Perché rovinare un sistema che – si spera – dovrebbe durare nel tempo per ospitare i nostri figli e i figli dei nostri figli?

La trasposizione di queste domande al digitale è stata immediata. Che cosa significa inquinare nel digitale? Mi risulta semplice immaginare che colui che scrive o che condivide fake news possa essere considerato un inquinatore del digitale, ma probabilmente lo è anche chi lascia sistemi informativi non aggiornati, non adeguatamente protetti, non diligentemente mantenuti lasciando così “spazzatura connessa” che contribuisce a innalzare l’inquinamento digitale del medesimo spazio che utilizziamo tutti i giorni come mediatore e come mezzo di trasporto delle nostre storie sociali e personali. Ed è lo stesso spazio che dovranno utilizzare i nostri figli affidandogli i propri dati e i pensieri più intimi.

 

Dalla raccolta differenziate alle multe

E se trattassimo gli inquinatori del digitale allo stesso modo di come viene trattato chi inquina l’ambiente fisico, cosa accadrebbe? Nell’ambiente fisico sono presenti incentivi per migliorare la classe energetica dei nostri edifici, ci sono incentivi sulla corretta diversificazione del residuo (raccolta differenziata), ci sono programmi di aiuto per la differenziazione (raccolta porta a porta), vengono rilasciati permessi speciali per chi è impossibilitato a differenziare (per esempio deroga per la raccolta indifferenziata di pannolini bimbi e/o pannoloni anziani). Non solo. Esistono anche strutture organizzate per accogliere e smaltire tali rifiuti, piani legislativi decennali per abbattere l’inquinamento (basti pensare ai piani di riduzione CO2 delle automobili e i piani anti inquinamento industriale) e piani sociali per migliorare l’ambiente e l’impatto ambientale attraverso grandi organizzazioni aderenti (B-Corp). Come si potrebbe declinare tutto questo nel digitale ?

Per arrivare a simile obiettivo da un lato è certamente necessario un piano, una visione a lungo termine: non è sufficiente una singola legge o una cultura spontanea del “riciclo digitale”; dall’altro, ci vorrebbe un‘implementazione di questa visione tramite campagne di sensibilizzazione, educazione alla cultura digitale e formazione tecnologica. Oggi esistono numerosi accordi, per esempio sulla gestione della cybersecurity: ci sono i “CyberCommand”, i Cert nazionali, i Csirt, leggi come quella sul Perimetro nazionale in Italia, mentre in Europa è stato siglato il Cybersecurity act che ha visto come principale organo costitutivo l’Enisa. Poi ci sono i protocolli legali tra gli Stati e la collaborazione tra Interpol, EuropolC3, ed Eurojust, solo per citarne alcuni. Nonostante tutto questo non esiste ancora un vero e proprio piano di sostenibilità digitale. Così, mentre esiste l’inquinatore digitale, c’è ancora chi non rispetta le regole minime di igiene cibernetica. Oggi ci si stupisce della “petroliera che sversa il carico in mare” ma non ci si indigna per l’ente pubblico o privato che lascia vulnerabile un suo sistema esposto su internet.

 

La strada è ancora lunga

L’assenza di territorialità che caratterizza l’esistenza dell’ambiente digitale è tra le cause della difficoltà nel regolamentarlo e nel trasferirgli un concetto di ecologia digitale. Confermata l’impossibilità di segmentare tale ambiente, per esempio limitando la sua connettività geograficamente (come il progetto russo Ru-net), è necessario osservare che il digitale è metaforicamente popolato da più popoli, da una vastissima pluralità di persone con usi e costumi differenti. Tale vastità rende difficile creare norme di comportamento valide per tutti in quanto la “cultura” di appartenenza risulta essere diversa. Sebbene vi siano interpretazioni differenti nel concetto di inquinamento globale, credo però che i rimedi ci siano.

Pensiamoci. In fondo se c’è un concetto che dovrebbe accomunare tutti gli abitanti di un luogo non è proprio quello di preservare il più a lungo possibile tale luogo? Preservare un ambiente significa avere la possibilità di viverlo più a lungo, significa avere più opportunità per utilizzarlo e quindi aumentare la probabilità di vivere esperienze positive e di arricchire il proprio bagaglio culturale. Se tutto questo ci sembra vero potrebbe non essere del tutto ingenuo immaginare una regolamentazione, prima locale, successivamente globale e culturale, che miri a preservare il digitale difendendolo da chi, anche inconsapevolmente, lo continua a inquinare ignorando o trascurando tematiche relative alla sicurezza, manutenzione e veridicità dell’informazione.

Per raggiungere questo scopo, si potrebbero effettuare alcuni interventi. Per esempio da un punto di vista imprenditoriale prevedere degli incentivi fiscali per tutti coloro che periodicamente effettuano dei test di sicurezza sulle proprie infrastrutture e per tutti coloro che adottano di un sistema di difesa digitale certificato. Da un punto di vista culturale potremmo pensare a eventi pubblici, spazi televisivi, spot pubblicitari e canali di comunicazione dedicati alla cultura del digitale; dal punto di vista della formazione, potremmo prevedere un’educazione all’ecologia digitale che includa privacy e cybersecurity; dal punto di vista dell’informazione offrendo a chi impara un’ampia gamma di esempi sui pericoli, cause e conseguenze digitali (e fisiche) di a intrusioni e attacchi, diffusione di fake news e indifferenza informativa. Personalmente credo che solo affrontando la tematica contemporaneamente da più angolazioni, impresa, educazione e cultura, si possa innalzare la consapevolezza dell’importanza dell’ecologia digitale per costruire e abitare un cyberspace più sicuro e e affidabile.

 

 

Foto di coombesy da Pixabay

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