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ISSUE 386

Se la protesta dei trattori va contro l’ambiente diventa un corteo funebre per l’agricoltura

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Se la protesta dei trattori va contro l’ambiente diventa un corteo funebre per l’agricoltura

La protesta di molti agricoltori -in Italia soprattutto quelli delle piccole e medie aziende familiari- si basa su difficoltà economiche reali. Difficoltà segnalate anche dai dati dell’Istat del 2023: un calo del volume della produzione agricola (-1,4%), del valore aggiunto ai prezzi base (-2%) e delle unità di lavoro (-4,9%), con un calo più forte dei lavoratori indipendenti (- 6,1%). I prezzi dei principali prodotti impiegati in agricoltura sono aumenti, con punte di quelli delle sementi (+12,9%) e dei prodotti fitosanitari (+8,8%).

 

Le medie nazionali -come i dati sul valore corrente della produzione agricola, cresciuta per l’aumento dei prezzi, o quelli dell’andamento nominale del reddito agricolo- evidenziano solo alcune condizioni generali, non quelle delle piccole aziende familiari che sono le più colpite dalle perdite di produzione, sottovalutate nei grandi numeri di settore, che dispongono di minori risparmi, che hanno maggiori difficoltà di accesso al credito e spesso beneficiano meno dei fondi europei. Nel 2023, attenuati gli impatti degli aumenti dei costi dell’energia, la maggior parte delle difficoltà per l’agricoltura italiana sono state causate dalla crisi climatica che ha colpito diverse produzioni, con prolungate e ripetute ondate di calore durante l’estate, accompagnate da una forte carenza di precipitazioni e, in diverse zone, da un clima asciutto anche durante l’autunno e l’inverno. Ci sono stati inoltre diversi eventi alluvionali che hanno colpito diverse regioni, danneggiando i raccolti e compromettendo gran parte delle produzioni agricole. Il 2023 non è stata un’eccezione, ma solo l’ultimo di una serie, sempre peggiore, di ondate di calore e di eventi atmosferici estremi. Sia le valutazioni degli esperti, sia l’esperienza dei decenni passati, ci dicono che la situazione è destinata a peggiorare nei prossimi anni, e di molto se non interviene rapidamente un taglio drastico delle emissioni di gas serra.

 

Oggi sono rimasti in pochi a negare la crisi climatica. La consapevolezza della sua gravità è ormai ampiamente diffusa. Sono ancora tanti, tuttavia, che ricorrono ad alibi -non ci posso fare niente, noi inquiniamo poco, sono altri che devono fare di più- per rinviare l’impegno, per fare poco o nulla. Molti attendisti sono anche in prima fila sia nell’accusare di estremismo ecologista tutte le proposte che puntano ad accelerare il taglio delle emissioni di gas serra, sia nel sopravvalutare i costi e sottovalutare i benefici economici della transizione climatica. Se in Italia prevalesse l’attendismo, non faremmo la nostra parte e finiremmo sulla via di un declino non solo ecologico, ma industriale e tecnologico. Se l’attendismo prevalesse in Europa le misure globali per il clima subirebbero un rilevante rallentamento; se l’attendismo prevalesse a livello mondiale correremmo verso una catastrofica precipitazione della crisi climatica. Come ha scritto l’Agenzia internazionale dell’Energia, nel suo ultimo World Energy Outlook 2023 “Dobbiamo andare molto più lontano e più velocemente. Le azioni chiave necessarie per ridurre le emissioni fino al 2030 sono ampiamente conosciute e nella maggior parte dei casi molto  convenienti”.

 

L’atteggiamento attendista è diffuso anche nel mondo agricolo. Benché la crisi climatica crei rilevanti difficoltà economiche all’agricoltura, nelle proteste in corso non se ne parla. Anzi si notano frequenti attacchi all’impegno climatico e green dell’Europa. L’agricoltura ha la sua parte di responsabilità in questa crisi climatica: nel 2021 ha generato circa il 13% dei gas serra nella UE, ai quali vanno aggiunti quelli generati dai mezzi e dagli edifici agricoli. Il mondo agricolo, che è il più danneggiato, non può far mancare il suo impegno.

 

L’ideologia green non c’entra un bel cavolo: si tratta di giustizia e di efficacia. E anche di un po’ di chiarezza. Che prospettive ci sono per la nostra agricoltura se non si rallenta e non si ferma questa crisi climatica? Meglio affrontare con impegno una scomoda verità con la possibilità, insieme, di farcela, oppure è meglio fare gli struzzi di fronte al principale problema per il futuro della nostra agricoltura, la crisi climatica, e boicottare quel poco che stiamo cercando di fare per contrastarla?

 

La nuova Politica agricola comunitaria (PAC), giustamente, mantiene elevati finanziamenti all’agricoltura, oltre il 30% dell’intero bilancio: finanziamenti molto maggiori di qualunque altro settore economico. Se le procedure per accedere a questi fondi sono troppo complicate, giusto semplificarle, senza lasciare troppe possibilità di utilizzi truffaldini, più volte scoperti. Se qualche misura deve e può essere migliorata, ben venga. Ma basta con i proclami contro l’Europa e contro il Green Deal europeo. Sputare nel piatto comune non è mai buona educazione, sputare in quello dove si è mangiato per anni e dove si continua a mangiare, non va proprio fatto. Né si può stare in silenzio se viene fatto davanti a noi. I finanziamenti europei alla nostra agricoltura restano importanti, il nostro PNRR, un prodotto del Green Deal europeo, destina ben 6,5 miliardi all’agricoltura e sta alimentando in modo sostanziale l’economia italiana.

 

L’agricoltura di qualità ecologica genera prodotti di qualità e servizi per il territorio e l’ambiente e non fa danni al clima, ai terreni, alle acque e alla salute. Per questo è spesso più remunerativa. Per questo suo doppio valore, di prodotto e di servizio, può chiedere prezzi e condizioni migliori rispetto ai concorrenti, esteri o meno, che non adottino i medesimi standard. Un numero crescente di cittadini oggi è disposto a riconoscere prezzi ragionevolmente superiori per questa doppia qualità, vantaggiosa per ciascuno e per tutti. Molto si è fatto nei decenni passati per costruire e rafforzare un’alleanza fra agricoltura e ambiente: un’alleanza che ha fatto crescere una nuova generazione di agricoltori, migliorato e rilanciato la qualità dei nostri prodotti agroalimentari sui mercati. Mi pare che in questo periodo si facciano sentire di più quelli che vorrebbero tornare indietro. Succede. Ma almeno non si dica che quella contro l’ambiente possa essere una via migliore per l’agricoltura di oggi e di domani.

 

Edo Ronchi 

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