La Newsletter di ESO
ISSUE 403

Parliamo un po' di Prato - di Silvia Gambi

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Parliamo un po' di Prato - di Silvia Gambi

Nelle ultime settimane ho ricevuto tanti messaggi in cui mi si chiedevano maggiori informazioni su quello che sta succedendo a Prato. Numerosi articoli hanno acceso i riflettori sul distretto. Sapete quanto ci tengo a non mescolare il mio giudizio con i dati concreti: quando si parla della mia città temo però di non riuscire a essere obiettiva. Ma ormai tutti stanno parlando (male) di Prato e non posso fare a meno di prendere parte a questo dibattito. Perché temo che si stia facendo un po’ di confusione e vorrei fare un po’ di chiarezza.

Cosa possiamo dire del distretto pratese?

  • è il distretto tessile più grande d’Europa
  • è il distretto dell’abbigliamento più grande d’Europa
  • è la provincia con il più alto tasso di imprenditorialità in Italia
  • è la provincia italiana con il più alto tasso di imprenditoria straniera
  • circa 600 aziende hanno la certificazione GRS, Global Recycling Standard
  • è il distretto pioniere del riciclo tessile
  • è dotato del più grande impianto di riciclo delle acque industriali d'Europa

Questi sono i dati che è possibile misurare. Poi ci sono le imprese irregolari, ma non sappiamo il numero esatto. C’è una filiera dell’abbigliamento che impiega lavoratori in nero, ma non sappiamo quanti.

Come può il distretto di Prato essere tutto questo? Avere un lato virtuoso e un lato oscuro? Perché ci sono tantissime imprese che operano nel tessile/abbigliamento: sono 7 mila, con 42 mila addetti.

Potete citarmi un altro distretto, specializzato in qualsiasi settore, che ha questi numeri? Questo significa che qui c’è spazio per tutto, per le aziende virtuose e per quelle irregolari. Può non piacerci, ma è così. Per questo è impossibile generalizzare e se si fa, se si mette un’etichetta, si esclude una parte della realtà. Mi viene in mente la normativa sul greenwashing: prima di fare un claim, andrebbe dichiarato a cosa ci si sta riferendo, delimitare l’ambito di azione.

Il problema nasce infatti quando si cerca di mettere un’etichetta, di semplificare quello che è complesso cercando di ridurlo a un titolo o a uno slogan, perché per forza si diventa imprecisi.

La prima cosa su cui dobbiamo riflettere è che dietro quelle “etichette” ci sono le storie di tante persone: quelle che con passione e impegno cercano portare avanti il proprio lavoro, ma purtroppo anche coloro che basano il proprio profitto sullo sfruttamento. Però, definire un distretto “illegale”, generalizzando, non aiuta nessuno, serve solo a non cogliere l’essenza del problema. E lasciatemi dire che il fatto che a Prato ci siano ancora tante imprese che portano avanti orgogliosamente il proprio lavoro con correttezza, è segno delle loro capacità: nessun altro territorio avrebbe saputo sopravvivere dagli attacchi spietati e periodici che sono stati sferrati contro questo distretto.

Lo sfruttamento dei lavoratori è inaccettabile e dovremmo indignarci tutti, non solo a Prato. Questo accade soprattutto quando c’è il lavoro “povero”, pagato pochissimo, a cottimo, senza garanzie: dovremmo indignarci per il fatto che non si fa abbastanza per contrastare questo fenomeno, per il fatto che mancano le Forze dell’Ordine e controlli accurati. È una lotta impari: tante imprese da controllare da una parte, personale per i controlli ridotto all’osso dall’altra. I Governi che si sono succeduti negli anni, hanno sempre riprodotto lo stesso schema, indipendentemente dal colore: bagarre mediatica seguita da promesse, e poi il silenzio. Prato non è la priorità di nessuno.

Gli imprenditori dovrebbero isolare le imprese irregolari, questo è vero: ma c’è un vero e proprio distretto parallelo, che opera senza intrecciarsi mai con quello regolare. I due distretti hanno solo una cosa in comune: la bulimia del lavoro. Produrre capi e metri, spesso ad ogni costo, per non perdere i propri clienti.

Quando c’è stata l’alluvione a Prato, che ha messo in ginocchio tante imprese, in pochi hanno chiesto aiuto o si sono lamentati: non volevano che i brand capissero che erano in difficoltà. Le aziende si sono aiutate tra di loro per evadere gli ordini, perché qui non c’è solo un distretto, c’è anche una comunità. Mi direte che la comunità cinese non ne fa parte ed è sicuramente vero che le occasioni di scambio sono poche. Ma queste due comunità convivono: non ci sono mai stati episodi di violenza sociale o razzismo saliti all’onore delle cronache, perché alla fine Prato ha incluso questa comunità, che è alla quarta generazione.

Lo so, resta il problema del lavoro irregolare, che non c’è solo a Prato. Devono essere messi in campo gli strumenti per risolvere questo problema, perché anche le recenti indagini sulle filiere del Tribunale di Milano ci indicano che si può fare molto di più, che è inutile parlare di tracciabilità se non si è in grado di individuare le aziende scorrette ed isolarle.

E poi non possiamo dimenticare che ci sono anche imprese virtuose, creative, coraggiose, che vanno avanti con passione: questa narrazione disastrosa mette in difficoltà le aziende sane. Queste aziende hanno una naturale propensione all’innovazione che le rende resilienti anche quando le condizioni sembrano essere contro di loro. A Prato si fa con quello che si ha, come ci insegna la nostra lunga storia nel riciclo tessile. Questo vale anche nel campo dell’innovazione creativa: quella tecnologica è più complicata in momenti di crisi, gli investimenti sono troppo rischiosi.

Ma su questo dovremmo di nuovo indignarci, e dovrebbe farlo tutto il settore moda. Questi sono gli investimenti in innovazione ambientale che la Spagna ha fatto negli ultimi anni nel settore del tessile, della moda, delle calzature. Dietro questi numeri straordinari, che hanno permesso di rinnovare il parco macchine di interi distretti, c’è un intervento massiccio del Governo spagnolo che ha sostenuto l’acquisto di macchinari con contributi a fondo perduto anche dell’80%. Questo si traduce in maggiore competitività, perché non basta essere creativi, ci vogliono anche le infrastrutture adeguate.

Indignatevi, aziende della filiera moda che state facendo i conti con questa grave crisi: se quello della moda è un settore strategico (e lo è) deve essere supportato per essere competitivo. Non con misure spot, per sostenere il calo degli ordini, ma con investimenti concreti che aprano nuove prospettive per il settore.

E’ giusto continuare a parlare di Prato, però senza generalizzare, si deve avere voglia di andare più a fondo, di raccontare storie senza lasciare intendere che la realtà è tutta così. Una visione equilibrata, informata, che serve ad alimentare il dibattito e la riflessione, ma che non si basi solo sugli aspetti negativi: questo posto è un laboratorio straordinario dove i trend sociali e economici arrivano prima che altrove ed è normale che susciti curiosità.

Confindustria Toscana Nord ha preso posizione in questi giorni: “Confindustria, 'su distretto di Prato linciaggio indiscriminato', forse è giunto il momento dell’indignazione, finalmente

Spero che vi sia venuta un po’ di curiosità di conoscere questa città, di andare oltre gli stereotipi e capire meglio cosa sta accadendo. Se volete venire a trovarmi, non avete che da scrivermi.

Buon caffè,

Silvia Gambi
giornalista

Solomodasostenibile.it
 

 

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