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greenplanner.it
Il ritiro dei ghiacciai favorisce il greening, alterando ecosistemi e rilasciando gas serra: gli esperti denunciano la deforestazione, mentre la ricerca scientifica tiene sotto controllo gli alberi, per trasformare la sostenibilità in opportunità.
Paradossalmente abbiamo sempre maggior spazio per far crescere piante e alberi: sono i territori che il ritiro dei ghiacciai rendono fertili e pronti ad accogliere nuove radici. Territori che, un giorno o l’altro, qualcuno deciderà di accatastare (forse).
Ovviamente, questa non è una buona notizia. Prendiamo la tundra, vegetazione tipica delle zone polari artiche: a partire dall’inizio dello scorso secolo è in rapida espansione.
Un fenomeno che possiamo definire come greening e che ha determinato anche un cambiamento nella composizione delle comunità vegetali documentato attraverso le analisi geochimiche dei ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) in collaborazione con Alfred Wegener Institute, Helmholtz Center for Polar and Marine Research e Joint Research Center Eni Cnr.
Certo, da un lato l’aumento della copertura vegetale potrebbe favorire il sequestro di carbonio atmosferico, ma dall’altro un cambiamento così drastico delle aree precedentemente occupate dai ghiacciai rischia di portare a conseguenze significative sui cicli biogeochimici e sull’areale di distribuzione della fauna autoctona.
E poi c’è il problema del permafrost la cui fusione accelerata dall’aumento della temperatura, potrebbe rilasciare nell’atmosfera grandi quantità di gas serra, vanificando i benefici derivanti dall’incremento della biomassa vegetale.
I boschi, ecosistemi complessi e biodiversi, ci servono
Lasciamoli vivere i boschi è il monito di un esperto di biodiversità quale è Roberto Cazzolla Gatti dell’Università di Bologna: “un bosco (o una foresta) è un ecosistema complesso e biodiverso ricco di specie che interagiscono tra loro e con l’ambiente in cui vivono.
Quando questi ecosistemi vengono semplificati e rarefatti dagli interventi silvicolturali e dalla gestione forestale che vede solo alberi da vendere per farne legna da camino, biomasse, carta e parquet e non percepisce la diversità della vita in una rete biologica di relazioni ecologiche, ciò che resta è un disturbo talmente elevato che servirebbero secoli di protezione integrale per ripristinare questi ecosistemi, così profondamente danneggiati con il rischio che le specie localmente estinte non tornino più.
Dobbiamo smetterla di disturbare gli ecosistemi per produrre beni futili e lasciarli alle loro dinamiche naturali, senza l’uomo che li gestisce illudendosi di essere in grado di farlo“.
Il tema forestazione/deforestazione (ogni “due secondi la deforestazione fa scomparire aree grandi come un campo da calcio” è l’allarme lanciato da Greenpeace) si fa ogni giorno più complesso.
E, mentre la legge sulla deforestazione europea attende di entrare in azione (dicembre 2025) gli scienziati misurano in tempo reale le dinamiche di accrescimento, stabilità e vitalità degli alberi.
Gli stessi che Giorgio Vacchiano, docente di Gestione e Pianificazione Forestale presso l’Università degli Studi di Milano studia da sempre. E che da qualche mese a questa parte controlla, grazie a un progetto finanziato da Sorgenia, attraverso a dati raccolti dai tree-talker, sensori applicati agli alberi che monitoreranno per due anni in tempo reale lo stato di salute delle piante, la loro fisiologia, l’intensità della fotosintesi, la rapidità della loro crescita e il modo in cui reagiscono a eventi climatici intensi.
Piante, boschi e foreste diventano così indicatori di benessere economico e potrebbero essere la chiave per trasformare la sostenibilità da normativa a vantaggio competitivo.
In questo momento, nel quale le aziende italiane sono alle prese con le direttive Omnibus della Commissione europea, potrebbe essere una boccata di ossigeno.
M.Cristina Ceresa
Rassegna del 21 Marzo, 2025 |
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