La Newsletter di ESO
ISSUE 383

Allevamenti intensivi: urge la loro decarbonizzazione

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Allevamenti intensivi: urge la loro decarbonizzazione

Gli allevamenti intensivi di animali causa gravi problemi all’ambiente e, di conseguenza, alla salute umana per le emissioni che vengono generate. Non si tratta di trasformarsi in vegani o vegetariani, ma di pretendere un’industria alimentare sostenibile.

 

In zone come la Pianura Padana, ancora oggi, il numero di animali allevati supera quello degli abitanti. Ciò è dovuto alla presenza di allevamenti intensivi, comparto industriale che è definito come attività insalubre di prima classe, tanto da essere sottoposti a procedure di valutazione e monitoraggio.

 

Inoltre, nel caso di nuovi o allargamenti di insediamenti è necessaria una Valutazione di Impatto Ambientale (Via). Questo perché l’ammoniaca originata dagli allevamenti intensivi è la seconda causa di formazione delle polveri sottili, in particolare proprio del Pm2,5.

 

I Pm2,5 sono polveri altamente pericolose per la salute umana, data la capacità di penetrare più profondamente nell’organismo per le loro piccolissime dimensioni.

 

Dobbiamo ben tenere presente questi dati quando ci sediamo a tavola di fronte a una bella bistecca. Ma dagli allevamenti intensivi traiamo anche la materia prima per i formaggi.

 

Quindi dovremmo valutare bene cosa porteremo in tavola in questo nuovo 2024. Le domande da tenere sempre più in considerazione sono:

 

  • se costa così poco la carne di pollo, come vengono allevati gli animali?

  • da dove viene questa bistecca (anche i chilometri percorsi dalla macellazione alla rivendita fanno parte del calcolo dell’impronta ambientale dell’allevamento)?

 

Sia chiaro da subito che non si vuole trasformare la dieta di tutti in vegana o vegetariana, bensì intervenire al più presto sull’industria della carne e del formaggio affinché diventino davvero sostenibili e, soprattutto, non causino problemi alla salute umana.

 

L’industria alimentare va decarbonizzata

 

In tutto questo Robeco, asset manager attiva negli investimenti sostenibili, plaude all’iniziativa SbTi (Science based targets) che sta introducendo una guida in grado di fornire ai produttori di carne bovina gli strumenti per identificare, misurare e infine ridurre le principali fonti di emissioni nelle loro catene di approvvigionamento e nelle loro operazioni.

 

La quasi totalità (97%) delle emissioni dell’industria della carne bovina deriva dall’allevamento del bestiame prima della macellazione e dalla lavorazione della carne dopo la macellazione.

 

Le emissioni generate derivano principalmente da:

 

  • deforestazione, che distrugge alberi, piante e suolo e priva il Pianeta di pozzi di carbonio. Inoltre, rilascia nell’atmosfera lo stock di carbonio proveniente dalla materia organica bruciata/decomposta

  • fertilizzanti a base di combustibili fossili, che arricchiscono i pascoli e le colture necessarie per ottenere ulteriori scorte di mangime. I fertilizzanti sono prodotti utilizzando gas naturale. Sono inoltre ricchi di azoto che, quando viene depositato sul terreno, reagisce con l’ossigeno dell’aria per produrre protossido di azoto (N2O), un gas a effetto serra (GhG) 273 volte più potente della CO2

  • eccesso di letame animale applicato alle colture e ai terreni, nonché conservato o scartato in modo inappropriato. Anche il letame è ricco di azoto e, se immagazzinato all’aperto, genera metano (CH4), un gas serra 27-30 volte più potente della CO2 su un orizzonte di 100 anni

  • gas metano, che viene emesso dal tratto digestivo dei bovini. Questo processo, noto come fermentazione enterica, è la principale fonte di emissioni del bestiame

 

Secondo le indicazioni dell’SbTi, le aziende produttrici di carne bovina devono ridurre le proprie intensità di emissioni di carbonio del 2,4% all’anno fino al 2030 per raggiungere una riduzione complessiva del 24% richiesta all’industria della carne bovina.

 

La misurazione del divario tra gli impegni delle aziende e i requisiti di riduzione dell’SbTi segnala con forza agli investitori quali aziende sono seriamente intenzionate a ridurre le emissioni e a mitigare i rischi di transizione futuri.

 

Secondo Robeco, che sottolinea come il problema sia anche politico, finora le aziende agroalimentari hanno avuto pochi motivi per agire. Ma la decarbonizzazione del settore alimentare non può più attendere a iniziare dagli allevamenti intensivi.

 

M.Cristina Ceresa

 

 

Photo: afnewsagency

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