La Newsletter di ESO
ISSUE 383

Gli alimenti che rischiamo di perdere con la crisi del clima

Siccità, caldo e condizioni climatiche estreme stanno portando le colture al limite, e in tutto il mondo gli agricoltori cercano strategie per adattarsi

wired.it

Gli alimenti che rischiamo di perdere con la crisi del clima

È innegabile: il 2023 è stato un anno difficile per l'agricoltura. Il clima estremo ha scatenato tempeste e inondazioni, gelate fuori stagione, ondate di calore e siccità prolungata. In alcune parti del mondo, le piante di pomodoro non sono fiorite, il raccolto delle pesche non è mai arrivato e il prezzo dell'olio d'oliva è salito alle stelle.

 

Essere un agricoltore in questo momento significa riconoscere quanto questi strani eventi meteorologici siano strettamente legati al cambiamento climatico, e nel corso della Cop28, il recente vertice delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici di Dubai, 134 paesi hanno addirittura siglato un patto per integrare l'agricoltura sostenibile nelle loro road map climatiche.

 

Mentre il settore agricolo guarda al 2024, gli scienziati che studiano le colture sono al lavoro per anticipare gli eventi di un clima sempre più instabile, immaginando possibili misure di adattamento sia per i sistemi di coltivazione che per le piante stesse. Ma il tempo non è dalla loro parte.

 

"La selezione delle piante è un processo lento – spiega James Schnable, genetista vegetale e professore di agronomia presso l'Università del Nebraska-Lincoln –. Ci vogliono dai sette ai dieci anni per sviluppare e rilasciare una nuova varietà di mais. Ma sappiamo che a causa dei cambiamenti climatici, dello svuotamento delle falde acquifere, dei cambiamenti nelle politiche e nei prezzi delle materie prime, l'ambiente tra sette o dieci anni sarà molto diverso. E non abbiamo davvero modo di prevedere quali siano le varietà da sviluppare oggi per affrontare le sfide del futuro".

 

Le colture a rischio

 

Il timore che l'innovazione agricola non riesca a tenere il passo dei cambiamenti climatici non è nuova. Nel 2019, la Global Commission on Adaptation – un gruppo di ricerca indipendente sostenuto dalle Nazioni Unite, dalla Banca Mondiale e dalla Bill & Melinda Gates Foundation – ha previsto che i cambiamenti climatici ridurranno i rendimenti agricoli fino al 30% entro il 2050 e che il loro impatto sarà più pesante per i 500 milioni di piccoli agricoltori sparsi in tutto il mondo. Nello stesso anno alcuni scienziati australiani e statunitensi hanno scoperto che gli shock nella produzione alimentare – ovvero i cali di produttività improvvisi e imprevisti – sono aumentati ogni anno a partire dagli anni Sessanta, mentre un team di ricerca di Zurigo ha dimostrato che le ondate di calore estremo che si estendono tra diverse alle nazioni alle stesse latitudini – un fenomeno raro prima del 2010 – stanno diventando comuni.

 

Il 2023 ha fornito diversi esempi a sostegno delle tesi degli scienziati. La scorsa primavera, il Regno Unito e l'Irlanda hanno attraversato una carenza di pomodori dopo che il freddo prolungato in Spagna e Marocco si è ripercosso sui raccolti, mentre in India il prezzo della frutta è aumentato del 400%. A giugno, i coltivatori di patate dell'Irlanda del Nord hanno dichiarato che il clima secco aveva ridotto il raccolto di circa 1,9 milioni di chilogrammi. In India, le piogge torrenziali hanno impedito agli agricoltori di raccogliere il mais necessario per il mangime del bestiame. A settembre, le autorità agricole spagnole hanno dichiarato che il paese, leader mondiale nella produzione di olio d'oliva, avrebbe avuto un raccolto inferiore alla norma per il secondo anno consecutivo. In ottobre, le autorità del Perù, il principale esportatore mondiale di mirtilli, hanno dichiarato che il raccolto del frutto sarebbe stato la metà di quello normale. Nel frattempo, in Europa, Australia e Sud America, la produzione di vino è scesa ai livelli più bassi dal 1961.

 

Oltre che per questi eventi improvvisi, la produzione agricola ha sofferto anche il lento stress dovuto all'aumento delle temperature e alla riduzione delle riserve idriche. Se da una parte un' attenta selezione produce caratteristiche migliori nelle colture alimentari, il cambiamento climatico le elimina. Juan David Arbelaez, uno specialista di avena dell'Università dell'Illinois, afferma che la produzione di avena nel Midwest degli Stati Uniti – destinata al consumo umano, all'alimentazione degli animali e alla paglia – è passata da oltre 47 a 2 milioni milioni di acri, e la maggior parte dell'avena che gli americani consumano oggi è coltivata in Canada.

 

La perdita delle aree di coltivazione tradizionali – che secondo le previsioni è pari al 30% della produzione attuale in uno scenario di riscaldamento moderato – non riguarda solo le principali colture di base. Anche le colture speciali, come le olive e le arance, sono a rischio, così come quelle necessarie per prodotti come la birra. Nel 2018, un team di ricerca internazionale ha previsto che le future siccità potrebbero ridurre la produzione di orzo fino al 17% a livello globale. Oltre a essere un ingrediente base della birra, l'orzo è anche un importante mangime per il bestiame, e i ricercatori hanno previsto che un conflitto tra questi due usi potrebbe far aumentare i prezzi della birra di tre volte.

 

Strategie di adattamento

 

Una soluzione per evitare che le piante appassiscano per via del caldo e della siccità crescenti è quella di spostarle. Uno studio pubblicato nel 2020 ha confermato che il trasferimento delle colture sta già avvenendo. Tra il 1973 e il 2012, a livello globale le colture di mais, grano, riso e soia si sono spostate verso nord per sfuggire agli effetti più dannosi del riscaldamento climatico. Ma questa migrazione ha anche dei limiti, sottolinea Steven Davis, scienziato e professore all'UC Irvine che ha contribuito a guidare la ricerca. Per esempio, non è detto che una zona con temperature più basse abbia anche l'acqua di cui una coltura ha bisogno per crescere. Anche la qualità del suolo rappresenta un altro motivo di preoccupazione, aggiunge Davis.

 

Inoltre, spostando le colture in aree più fresche – e quindi lontano dall'equatore – le si allontana dalle regioni in cui vivono la maggior parte delle persone che praticano l'agricoltura di sussistenza. "Ci sarà sicuramente una sproporzione tra i paesi più ricchi che ottengono climi più favorevoli alla coltivazione e i paesi del Sud del mondo che dipendono fortemente dalle coltivazioni per il loro reddito", afferma Robert Fofrich, borsista post-dottorato dell'Institute of the Environment and Sustainability della Ucla –. Questo ha implicazioni non solo per la sicurezza alimentare regionale, ma anche per l'economia generale".

 

Se le colture non possono essere spostate, un'altra possibilità è chiedersi se siano ancora quelle giuste per una determinata area. Anche se gli agricoltori sono sempre al lavoro per migliorare le piante esistenti, ci sono molte varietà che non vengono sfruttate, che in alcuni casi potrebbero avere caratteristiche preziose, come la resistenza ai parassiti o la tolleranza alla siccità.

 

Prendiamo per esempio il vino. La maggior parte delle varietà dipende da una serie limitata vitigni, e in Francia le "ricette" dei vini prodotti in regioni specifiche sono rigorosamente controllate da appositi enti. Ciononostante, nel 2021 l'Institut National de l'Origine et de la Qualité francese ha dato il via libera all'aggiunta di sei nuove cultivar – ovvero varietà ottenute tramite miglioramento genetico, sviluppate per far fronte al riscaldamento globale – all'elenco approvato delle varietà incluse nella denominazione di Bordeaux. Gli Stati Uniti e altre regioni produttrici di vino come l'Australia non hanno obblighi di questo tipo e questo dovrebbe consentire un maggiore sfruttamento di varietà di uva in grado di adattarsi al clima, commenta Elisabeth Forrestel, ecologista evolutiva e assistente alla cattedra di viticoltura presso la UC Davis.

 

Un'ulteriore possibilità è quella di trovare colture capaci di adattarsi meglio alle nuove condizioni climatiche. In esempio sarebbe quello del miglio negli Stati Uniti. Poiché ha un periodo di crescita breve, il miglio può essere inserito nella rotazione delle colture con frumento o soia, oltre a poter essere raccolto adattando le attrezzature per la soia, che gli agricoltori probabilmente già possiedono.

 

Quasi 10 anni fa Schnable e suo padre hanno fondato una startup che produce miglio, Dryland Genetics. La consideravano una risposta al continuo calo di precipitazioni e alla perdita di falde nel Midwest americano. In condizioni ideali, il miglio ha una rendita inferiore a quella del mais o del sorgo, ma in condizioni di siccità produce il doppio dei cereali per unità d'acqua.

Ma il miglio non è l'unica coltura che potrebbe rivelarsi più adatta alle nuove condizioni climatiche; i ricercatori e gli agricoltori del Midwest hanno anche sperimentato la coltivazione di semi oleosi come la colza e i girasoli, di piante come la canapa, di altri componenti del becchime e persino di un altro tipo di miglio, il perlato, che prospera a temperature che uccidono il polline di mais. Sono tutti esempi di come le aree di coltivazione si stiano trasformando, non solo a causa del cambiamento climatico, ma anche grazie agli sforzi di adattamento da parte dell'uomo.

 

Maryn McKenna

 

 

Photo: Nicole Pankalla

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