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ISSUE 395

Per la prima volta la concentrazione del gas che causa il buco dell’ozono sta diminuendo

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Per la prima volta la concentrazione del gas che causa il buco dell’ozono sta diminuendo

Dopo circa 30 anni che si cerca di eliminare gradualmente gli idroclorofluorocarburi, gas nocivi che riducono lo strato di ozono e riscaldano il pianeta, i ricercatori hanno rilevato per la prima volta un calo significativo dei livelli di tali sostanze nell’atmosfera e una conseguente riduzione del potenziale di riduzione dello strato di ozono: lo riporta una nuova ricerca condotta da scienziati dell’Università di Bristol e pubblicata sulla rivista scientifica Nature. Gli autori hanno spiegato che le concentrazioni globali di tali gas hanno a raggiunto il picco nel 2021 – cinque anni prima del previsto – e che da allora è stato registrato un declino che rappresenta una “pietra miliare” significativa per bloccare le pericolose radiazioni solari ultraviolette. «Questa è una notevole storia di successo che mostra come le politiche globali stiano proteggendo il pianeta», ha commentato Veerabhadran Ramanathan, uno scienziato del clima presso l’Università della California non coinvolto nello studio.

 

Fu più di 50 anni fa quando i ricercatori si accorsero che si stava formando uno buco nello strato di ozono sopra l’Antartide, consentendo a radiazioni pericolose e cancerogene di raggiungere la superficie terrestre. L’ozonosfera, infatti, è uno schermo fondamentale la cui formazione avviene principalmente alle latitudini tropicali e che ha permesso lo sviluppo ed il mantenimento della vita sulla Terra, in quanto assorbe del tutto la componente UV-C e per il 90% la UV-B delle radiazioni ultraviolette solari, le quali possiedono un effetto sterilizzante per moltissime forme di vita. La riduzione di tale strato si verifica principalmente per colpa di composti alogenati di fonte antropica, i quali raggiungono la stratosfera e strappano un atomo di ossigeno dalle molecole di ozono degradandole a normale ossigeno molecolare. Tra i principali colpevoli furono individuati i clorofluorocarburi (CFC), che con un singolo atomo di cloro potevano distruggere migliaia di molecole di ozono e rimanere in atmosfera per centinaia di anni.

 

Ciò portò i governi a firmare il Protocollo di Montreal nel 1987, ovvero il trattato ambientale internazionale che prevede di eliminare gradualmente la produzione di CFC. Ciò portò i paesi più ricchi a fermare la produzione e fornire assistenza alle nazioni a basso reddito, fino ad arrivare al divieto raggiunto nel 2010. Tuttavia, tali sostanze furono sostituite da altri composti – gli idroclorofluorocarburi (HCFC) – che hanno un decimo del potenziale di riduzione dell’ozono ma che potrebbero risultare responsabili di altri danni tutt’altro che indifferenti. Ciò portò alla decisione di abbandonare anche queste sostanze e questa transizione – alla luce dei nuovi dati inseriti nello studio Nature – ha avuto «un discreto successo» secondo Luke Western, ricercatore dell’Università di Bristol e coautore. Lo scienziato ha spiegato che ci vogliono decenni prima che i divieti di produzione si traducano in un minor numero di prodotti venduti e quindi in un minor numero di HCFC nell’atmosfera.

 

Tale fenomeno sembra essersi avverato proprio in questi anni, visto che analizzando i dati dei programmi globali di monitoraggio dell’aria si è scoperto che tali sostanze hanno raggiunto il picco nel 2021 e sono diminuite da allora. «Questa pietra miliare è una testimonianza del potere della cooperazione internazionale. Per me, questo segnala il potenziale per fare molto di più e mi dà speranza per il clima», ha commentato Avipsa Mahapatra, direttore della campagna per il clima dell’Environmental Investigation Agency, Ong fondata dal 1984 che mira a indagare e rendere noti i crimini contro l’ambiente e la fauna selvatica. Ha poi aggiunto che il successo del Protocollo di Montreal potrebbe ispirare gli sforzi per frenare altri tipi di inquinamento che riscaldano il pianeta visto che l’accordo avrebbe il merito di aver evitato milioni di casi di cancro alla pelle e fino ad un grado Celsius in più di riscaldamento. Infine però Mahapatra ha aggiunto che, nonostante la buona notizia, «il lavoro non è ancora finito» in quanto proprio come gli HCFC hanno sostituito i CFC, adesso sono in uso gli idrofluorocarburi (HFC) che sono comunque considerati “super inquinanti climatici”. In definitiva – ha aggiunto il coautore Luke Western – la transizione dai combustibili fossili sarà molto più complessa che frenare la produzione di sostanze che riducono lo strato di ozono visto che il Protocollo riguardava un’industria relativamente piccola e richiedeva alle aziende solo di cambiare i loro prodotti, non l’intera attività. Con il cambiamento climatico, «in un certo senso ci si trova di fronte a una bestia più grande», ha poi concluso.

 

Roberto Demaio

 

 

Photo: Daniel Páscoa

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