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ISSUE 400

La ricerca scientifica ha un forte impatto impatto sull’ambiente, nel bene e nel male

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La ricerca scientifica ha un forte impatto impatto sull’ambiente, nel bene e nel male

Sebbene rappresenti lo strumento più potente di cui disponiamo per delineare un futuro più avanzato e sostenibile, non sempre la ricerca scientifica si comporta in maniera virtuosa sul piano delle emissioni e del suo impatto ambientale. Un paradosso che passa spesso inosservato e che, però, mette in luce la necessità di ripensare le pratiche quotidiane nei laboratori di ricerca.

 

Mentre lavora senza sosta per costruire un futuro più verde, la ricerca scientifica non può ignorare l’impatto ambientale che nel frattempo essa stessa esercita nel presente: per quanto nobili siano le intenzioni, i luoghi dove si produce il progresso scientifico – i laboratori di ricerca – sono responsabili di consumi di energia e di risorse notevoli e spesso le pratiche quotidiane delle sue indagini trattano con qualche superficialità di troppo la propria responsabilità sul problema ambientale.

 

È questo l’oscuro segreto della scienza di oggi, che poi in realtà segreto non è affatto: la ricerca ha un problema di sostenibilità. E chiunque, a qualsiasi livello, si sia trovato a lavorare in un laboratorio (di biotecnologie, per esempio) è testimone del grande impatto che i ricercatori generano quotidianamente in termini ambientali.

 

Su tutti, vi è il problema della dipendenza dalla plastica: uno studio del 2021 ha stimato che la comunità scientifica arriva a consumare quasi 5 miliardi e mezzo di rifiuti in plastica in un anno.

 

Numero dovuto anche al fatto che, contrariamente a quanto finalmente avviene in tutti gli altri ambienti di lavoro, nei laboratori di tutto il mondo il concetto di plastica monouso è ancora purtroppo il grande protagonista.

 

Per quanto un uso così massiccio del materiale porti con sé un grande peso in termini di sostenibilità e di gestione dei rifiuti, la plastica continua a essere il materiale di elezione per tutta una serie di strumenti indispensabili nei laboratori, complici i vantaggi che offre dal punto di vista di sterilità, versatilità, efficienza e costi.

 

E se è vero che eliminare la plastica dai laboratori scientifici sembra a oggi un obiettivo irraggiungibile più che difficile, è altrettanto vero che il suo abuso potrebbe essere almeno contenuto: pianificando con cura i protocolli da seguire affinché siano necessari il numero minimo di materiali monouso, per esempio, o limitando la quantità di involucri in plastica nelle confezioni entro cui gli utensili vengono continuamente spediti ai laboratori che li ordinano.

 

Il cammino verso la sostenibilità: l’impronta della ricerca

 

La gestione dei rifiuti e dei materiali di utilizzo non è, d’altra parte, l’unico collo di bottiglia sulla strada verso una ricerca più sostenibile: il consumo di energia e risorse da parte degli strumenti sempre più avanzati e performanti, ma anche quello derivato dalle conferenze che permettono l’incontro di ricercatori provenienti da ogni angolo del mondo pesa sul bilancio delle emissioni di cui la scienza moderna si rende responsabile.

 

Misurare complessivamente i numeri di questi impatti, tenendo il conto di tutti i contributi che nell’insieme danno vita al quadro di responsabilità della ricerca scientifica sul piano ambientale, è ovviamente impossibile.

 

Si può, però, delineare almeno un’idea delle dimensioni di questa impronta, osservando i consumi di energia dei diversi impianti o calcolando il carbon footprint di alcuni di questi viaggi cui gli scienziati prendono parte, per esempio. E se esaminiamo questi dati, a dire il vero, i numeri sono tutt’altro che incoraggianti.

 

La Sustainable Healthcare Coalition (Shc), un’organizzazione che si dedica alla promozione della sostenibilità all’interno del settore sanitario a livello globale, riunendo in sé un gruppo di partner provenienti da diverse aree del settore, calcola che soltanto la ricerca in ambito clinico su scala mondiale contribuisca a generare intorno alle 100 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica equivalente (CO2e) all’anno.

 

Per dare un’idea più concreta, si tratta più o meno dello stesso quantitativo di emissioni di gas serra generate dal Belgio; dunque un contributo tutt’altro che irrilevante.

 

Tanto più perché, nel computo degli impatti attribuibili alla ricerca, non compaiono soltanto le life science e, anzi, nessun campo del sapere è immune ai dispendiosi consumi di risorse chiesti come tributo all’avanzamento scientifico: a titolo esemplificativo, uno studio pubblicato su Nature nel 2020 ha rivelato che il Max Planck Institute di Heidelberg (Germania), un laboratorio di astronomia, ha registrato un’impronta ambientale di 18 tonnellate di CO2e all’anno per ciascun ricercatore impiegato nella struttura, che ne ospita ben 150.

 

Costruire dei laboratori green

 

Malgrado le dimensioni del fenomeno, una riflessione ordinata sulla responsabilità ambientale della ricerca e sui doveri di chi la conduce sembra a oggi ancora troppo timida per produrre risultati concreti e, soprattutto, diffusi.

 

Negli ultimi anni, va detto, si è cominciato a lavorare per affrontare gli aspetti di spreco e inefficienza della ricerca scientifica e sanitaria ed è grazie a questi sforzi se esistono oggi certificazioni e reti consolidate per incoraggiare pratiche di laboratorio sostenibili.

 

Nel 2018 la University College London (Ucl), una delle principali università del Regno Unito e una delle più prestigiose a livello mondiale, ha dato avvio a un programma per migliorare la sostenibilità ambientale dei laboratori di ricerca attraverso un sistema di valutazione e certificazione dell’efficienza.

 

Il Laboratory Efficiency Assessment Framework (Leaf), inizialmente adoperato come uno strumento interno per aiutare i laboratori dell’università a raggiungere obiettivi di sostenibilità, è oggi adottato da 85 istituzioni di ricerca in tutto il mondo e offre a chi decide di far parte della rete un approccio strutturato per migliorare l’efficienza e la sostenibilità nei laboratori.

 

A livello europeo, inoltre, è nato più recentemente il Sustainable European Laboratories (Sels) Network, una realtà di collaborazione che coinvolge laboratori di ricerca, università, istituti scientifici e altre organizzazioni sul continente nello sforzo di promuovere la sostenibilità ambientale tra i banconi dei laboratori scientifici.

 

Sostenere iniziative e reti di collaborazione come queste è un passo importante per tracciare un percorso verso una ricerca scientifica più sostenibile. Affinché si possa generare un reale cambiamento, tuttavia, è necessario che la riflessione sulla sostenibilità si radichi a tutti i livelli della ricerca, coinvolgendo scienziati, tecnici, istituzioni e aziende.

 

Per contrastare gli effetti del cambiamento climatico e per costruire alternative green per il futuro, avremo bisogno della scienza; allo stesso modo, però, la scienza sembra aver bisogno oggi di una riflessione su se stessa e sul proprio ruolo.

 

E serve forse, soprattutto, un piano condiviso che porti a diffondere buone pratiche e comportamenti responsabili già nelle attività quotidiane dei laboratori, così che si riescano a evitare sprechi e consumi smodati in tutti i luoghi e in tutti i campi della ricerca.

 

Loris Savino

 

 

Photo: Michal Jarmoluk

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