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ISSUE
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Il Po, grande malato, spera nelle cure che gli verranno dispensate nei prossimi anni da quelli che fino a qualche tempo fa erano nemici: Wwf e cavatori di Confindustria, autori di un programma di "Rinaturalizzazione del Po" da 357 milioni inserito nel Piano nazionale di ripresa e resilienza che coinvolgerà anche l'autorità di bacino e l'Aipo, l'agenzia interregionale. Quest'ultima ha stilato un progetto di contenimento delle emissioni di anidride carbonica per fare dell'asta del grande fiume e della rete idrica che lo circonda un enorme polmone in grado di assorbire una gran quantità del principale gas serra. Dunque, per una volta, gli interessi della salvaguardia ambientale e quelli economici marciano all'unisono.
Il Wwf otterrà il ripristino del Po "com'era dov'era", togliendo in parte le opere che ne hanno modificato il corso, mentre i cavatori potranno partecipare agli appalti per i lavori necessari a tale ripristino. Per quel che riguarda l'Emilia, sono 14 i Comuni rivieraschi interessati, tra Piacenza, Parma, Reggio e Ferrara. L'area è vastissima, pari a 32431 ettari tra la riva destra emiliana e quella sinistra tra Lombardia (si parte da Pavia) e Veneto (Rovigo). Le zone di intervento sono 37, di cui due Mab Unesco (Man and the Biosphere, ndr), a cui se ne aggiungono 7 nell'area del delta. Se tutto andrà secondo programma, entro la fine del prossimo anno saranno pronti i progetti esecutivi per poi partire coi lavori.
Si tratta del più grande intervento sul Po da decenni a questa parte grazie ai soldi che arriveranno dal Recovery fund. Gli interventi cambieranno la morfologia attuale del fiume oggi finalizzata alla navigazione, peraltro poco sfruttata. Il più importante sarà il ripristino dei rami laterali, oggi in secca, che comporterà un investimento di 185 milioni. Il ritorno dell'acqua farà sì che ritornino a vivere le zone umide che erano una delle caratteristiche del Po. Tutto questo sarà consentito dall'abbassamento dei cosiddetti "pennelli", piccoli argini necessari a incanalare la corrente ai fini della navigazione, ma tappi veri e propri dei rami laterali. Questa operazione costituirà il secondo costo più importante pari a 78 milioni. Il riassetto delle "lanche", espansioni laterali del fiume dove l'acqua ristagna, costerà 19 milioni, mentre l'intervento con rimboschimenti e sostituzione delle piante alloctone con quelle autoctone, ne costerà 16.
Sul piano dei benefici ambientali, l'aspetto che interessa più il Pnrr e la ragione per cui arrivano i fondi del Recovery, il programma prevede un buon contributo in un'area che è fra le più inquinate d'Europa. La riforestazione per 337 ettari assorbirà 260 chilogrammi di azoto per ettaro ogni anno equivalenti a 66820 chilogrammi annui complessivi. Non solo. Sempre tenendo per buona l'unità di misura dell'ettaro, l'assorbimento del carbonio sarà di 143 chilogrammi. Se consideriamo i 337 di cui sopra, il conto porta a 135 mila tonnellate di anidride carbonica assorbite in un anno. A questo si aggiunga il contributo delle zone umide ricreate. Anche in questo caso un ettaro di esse assorbirà 330 chilogrammi di azoto, che moltiplicato per l'intera superficie di 1559 ettari produrrà la fissazione di 496518 chilogrammi di elemento inquinante.
Degli interventi beneficerà anche l'erosione del suolo. Se quello agricolo subisce un'asportazione di 23 tonnellate per ettaro annui, una superficie boscata solo 4. A conti fatti, su 337 ettari di bosco il terreno trattenuto dagli alberi è pari a 4883 metri cubi. Parallelamente, l'Autorità di bacino (Aipo) ha predisposto un piano dal titolo programmatico "Non c'è più tempo", sottolineando l'urgenza di invertire la rotta sulle emissioni di anidride carbonica che stanno arrostendo il pianeta e compromettendo la stessa natura del grande fiume, con piene devastanti ed estati di siccità con portate ridotte al minimo.
Il progetto Aipo si sviluppa in tre direzioni. La prima è quella della riforestazione, in questo aggiungendosi all'operato di Wwf e cavatori, piantumando le sponde di buona parte della rete idrica prospicente il Po, vale a dire le centinaia di chilometri dei canali di scolo della Bassa. Gli alberi saranno installati su una sola sponda per lasciare libera l'altra ai mezzi della manutenzione. In aggiunta, le sponde saranno seminate con essenze arboree adatte alla fitodepurazione, in particolare per assorbire l'azoto che deriva dal massiccio spandimento di liquami.
La seconda direzione è quella del riuso delle cave abbandonate, grandi buchi che potrebbero essere utilizzati come casse di espansione e riserve di acqua, sulle quali verrebbero installate isole galleggianti coperte di pannelli solari. Aipo ha già individuato oltre trenta cave dismesse utilizzabili, ma molte altre potrebbero essere allestite in questo modo. L'ultimo intervento concerne un impianto di pirolisi che sfrutterebbe la potature e la massa organica di scarto. Con questo particolare processo di combustione si ricaverebbe energia pulita.
Valerio Varesi
Rassegna del 11 Giugno, 2021 |
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