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ISSUE 378

Sos ghiacciai, l'allarme di Mercalli: «Nel 2050 sulle Alpi non si potrà più sciare»

Il meteorologo e divulgatore scientifico, spiega gli effetti in quota del riscaldamento globale

torino.corriere.it

Sos ghiacciai, l'allarme di Mercalli: «Nel 2050 sulle Alpi non si potrà più sciare»

«Con il riscaldamento globale le Alpi sono in serio pericolo. Il rischio è che in Piemonte si possa sciare solo fino al 2050, altri 25 anni, e solo perché, insieme alla Valle d’Aosta, dispone delle vette più alte. La crisi climatica sta accelerando sempre di più. Nell’ultimo secolo la temperatura media nelle Alpi è aumentata di due gradi, il doppio rispetto alla media dell’intero pianeta. A soffrire in primo luogo sono soprattutto i ghiacciai alpini, giganti bianchi sempre più fragili e ormai in forte ritirata. Nel 2023 hanno perso tre metri di spessore, il triplo rispetto agli anni precedenti». Così Luca Mercalli, noto meteorologo e divulgatore scientifico, spiega gli effetti in quota del riscaldamento globale in occasione dell'apertura della nuova stagione sciistica.

 

Dottor Mercalli, la data da cerchiare in rosso dunque è quella del 2050?

 

«Quando abbiamo queste estati africane, e l’ultima è stata una delle più calde di sempre, i nostri ghiacciai battono in ritirata così in fretta da farne ormai presagire la completa scomparsa entro il 2050. Si perderanno tutti i ghiacciai piccoli, resterà qualcosa soltanto sopra i 4 mila metri. E alla fine del secolo rimarrà veramente poco del patrimonio glaciale delle Alpi. Gli effetti sul patrimonio ambientale saranno drammatici».

 

Cosa si può dire sull’innevamento? Che inverno dobbiamo aspettarci?

 

«L’innevamento a sua volta si restringe, diventa più limitato come durata e spesso anche come quantità. Ci possono essere delle annate con delle nevicate abbondanti, magari anche questa, ma in ogni caso con le temperature così alte durano di meno. L’innevamento alpino fino a 50 anni fa era continuo, iniziava nei primi giorni di novembre e si concludeva a metà giugno. Oggi invece è mutato, è diventato come quello appenninico, ovvero un innevamento intermittente. Si possono anche registrare dei periodi con ottime nevicate, ma poi la temperatura sale e la neve si fonde. Questo vuol dire che da un lato gli sport invernali hanno difficoltà a pianificare un’attività continua e redditizia, e dall’altro abbiamo meno capitale idrico per l’estate».

 

L’innevamento programmato è una soluzione?

 

«Può essere una pezza per il turismo, assolutamente necessaria per mantenerlo. Il problema è che queste azioni registrano alti consumi di energia elettrica».

 

Lei ha appena concluso un progetto con la Via Lattea per una montagna sostenibile. Può spiegare in che cosa consiste?

 

«Tutto il comprensorio dell’Alta Val Susa, dalla Via Lattea a Bardonecchia, ha incaricato Meteo France, un’eccellenza mondiale nello studio della neve, con sede a Grenoble, di fare un report dettagliato sulle proprie piste. Alla ricerca ho partecipato anch’io, e presenta uno scenario preciso fino al 2050. In questo modo le attività turistiche possono orientare i propri investimenti. Ad esempio fra tre anni le società sapranno dove è più corretto collocare una seggiovia. Per l’Italia è un primato, è la prima volta che viene fatto uno studio simile. Si tratta di una scelta che mira a non nascondere la testa sotto la sabbia davanti ai problemi».

 

Nicolò Fagone La Zita

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