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ISSUE
378
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jacobinitalia.it
Si è concluso da qualche giorno il World Congress for Climate Justice, l’evento milanese che ha riunito più di 60 sigle tra collettivi, associazioni e gruppi politici che compongono il folto arcipelago della giustizia climatica. Le attività – tra assemblee, laboratori, talk e serate – si sono principalmente svolte tra i chiostri e le aule dell’Università Statale e il centro sociale Leoncavallo.
L’idea di questo appuntamento nasce dal comitato promotore, composto da tante singole e singoli e dai gruppi di Offtopic, Ape (Associazione proletari escursionisti), Ecologia Politica e Zam, che negli scorsi mesi hanno lanciato un appello alla città e ai movimenti di tutto il mondo per organizzare il primo incontro internazionale tra realtà con un orientamento ecologista e anticapitalista.
Una delle particolarità di questo incontro, oltre a essere il primo in Italia di respiro globale e non solo europeo, è che non si è trattato di un contro-summit convocato per contrapporsi a qualche mega evento come Cop o Pre-Cop, le Conferenze intergovernative delle Nazioni unite sul cambiamento climatico, ma è stato autoconvocato dagli stessi movimenti con lo scopo di confrontare obiettivi, strategie e pratiche in un’ottica unitaria. È stata fatta una verifica del primo lustro del ciclo di lotte che, partito grazie alla spinta di Greta Thunberg e del movimento di Fridays For Future nel 2019, si è evoluto oggi in una pluralità di gruppi che lottano per la giustizia climatica su un piano globale. Lo sciopero globale del 15 marzo 2019 ha rappresentato una giornata storica, dove milioni di persone, perlopiù giovani, sono scese in piazza per il proprio futuro, per dire che non esiste un Pianeta B, per dare vita al primo e più grande movimento climatico su scala internazionale. In un primo momento la mobilitazione era stata trainata dallo spazio mediatico concesso a Greta da parte di chi ha provato a strumentalizzare la sua figura e lo stesso movimento Fridays for Future, quando poi i discorsi di Greta sono diventati più radicali e in aperta opposizione al modello di sviluppo capitalista – fino all’arresto londinese dello scorso 17 ottobre – anche lo spazio mediatico che veniva concesso alla ragazza svedese si è fortemente ridotto. Successivamente, la pandemia prima e la guerra poi hanno quasi fatto sparire non solo la sua figura dagli schermi, ma anche l’attenzione dedicata alle attiviste e attivisti del movimento.
Questa è stata, tra le altre, una delle cause della crisi che oggi attraversa il movimento dei movimenti (climatici) di Fridays for Future, come abbiamo potuto constatare nella minore partecipazione degli ultimi global strikes. Tuttavia, i giovanissimi che avevano preso parte ai cortei oceanici hanno nel tempo sedimentato narrazioni e discorsi che sono riemersi nella moltitudine di gruppi politici che attraverso strategie, forme e pratiche diverse, animano oggi le lotte per la giustizia climatica in tutto il mondo. Il dato non è solo quantitativo ma è soprattutto qualitativo: la nuova generazione del climattivismo si è connessa alle lotte territoriali, al mondo del lavoro, ai movimenti decoloniali e transfemministi. Quello che prima sembrava un problema insormontabile – rappresentato dall’iperoggetto del cambiamento climatico – oggi appare un piano di lotta che si può praticare in prossimità del proprio vissuto quotidiano, inquadrando nella cornice climatica tutte quelle battaglie che già da tempo si battono per un modello di società che guarda al dominio e allo sfruttamento come a degenerazioni sociali da relegare alla storia.
Ad aprire le danze del Congress è stato l’Institute of Radical Imagination, che ha promosso un’intera giornata di riflessione sul ruolo che l’arte può svolgere nella lotta ai cambiamenti climatici. Durante questa prima giornata, il chiostro Legnaia e l’auletta di Ecologia Politica si sono trasformati in un laboratorio d’arte dove tante e tanti artisti hanno dato vita alla propria creatività per realizzare disegni, striscioni e cartonati, accompagnati dalla musica di un’orchestra. Mike Bonanno, direttamente da New York, ha portato il suo progetto Barbie Liberation Front, presentando la famosa bambola nelle varie vesti di attivista per il clima.
Il punto di partenza della convergenza tra movimenti durante i quattro giorni di assemblee è il fallimento delle «soluzioni di mercato» alla crisi climatica, cioè delle proposte uscite dalle varie Cop negli ultimi 25 anni. Per questo motivo, ogni gruppo presente ha concordato sul posizionare la lotta ai cambiamenti climatici all’interno del campo anticapitalista, dal momento che le cause profonde e complessive della crisi ecologica vengono individuate nel modello socio-economico dominante. Del resto, come spiega il recente libro di Emanuele Leonardi e Paola Imperatore, la differenza principale tra i movimenti climatici che hanno animato il ciclo di mobilitazione degli anni Novanta e quelli attuali è che questi ultimi sono connessi alle lotte anti-austerità, sorte dal 2011 in poi.
Un altro elemento del Congress è stata la critica all’«ecologismo bianco», un tema introdotto dai movimenti Mapa (Most affected people and areas) presenti. Nei giorni che hanno preceduto l’appuntamento di Milano, una carovana con delegazioni dal continente americano (Futur@s Indigenas, Milpamerica Resiste, Sur/Resiste, Sos Cenotes, Defend Atlanta Forest) ha attraversato l’Italia da sud a nord passando per Taranto, Bari, Napoli, Roma e Bologna, proponendo un’analisi sulla lotta climatica che intreccia la questione ambientale con il punto di vista decoloniale, transfemminista e di classe. La critica mossa da questi movimenti è rivolta a obiettivi, pratiche e narrazioni di quella parte di climattivismo nord-europeo che non tiene conto delle contraddizioni a cui si va incontro se si parla, per esempio, di transizione ecologica senza criticare il modello estrattivista. Tale critica, infatti, non può essere limitata solamente al capitalismo fossile ma deve abbracciare ogni forma di accaparramento coatto e di spoliazione di risorse territoriali da parte delle aziende multinazionali. È stata avanzata una critica anche alle forme di lotta non-violente e massmediatiche sperimentate da vari gruppi in Europa, che possono esistere esclusivamente nei luoghi in cui lo Stato di diritto viene minimamente rispettato, ma non sono efficaci in quegli Stati del Sud globale dove i Governi e le forze di polizia perpetuano crimini di ogni genere sulla pelle di chi fa attivismo.
Sul piano europeo invece, i gruppi studenteschi si sono riuniti attorno alla campagna di End Fossil che, dallo scorso maggio, punta a «decarbonizzare scuole e università» attraverso l’interruzione degli accordi tra gli enti della formazione e l’industria fossile. È stata rilanciata la prossima data di mobilitazione internazionale a Novembre ed è emersa la proposta di fare la prossima assemblea internazionale a Roma nei prossimi mesi.
Svolgendosi a Milano, il Congress non poteva non prevedere un momento dedicato al tema delle Olimpiadi Milano-Cortina 2026, e si è scelto di farlo in modo dinamico. A conclusione di una decina di sessioni parallele e tavoli tematici circa 500 persone sono partite in corteo dall’Università Statale, insieme a un centinaio di biciclette che hanno composto una critical mass in grado di bloccare le principali arterie del centro. La mobilitazione si è conclusa con un’occupazione temporanea e un’assemblea sul tema, proprio nel cantiere del Villaggio Olimpico di Scalo di Porta Romana, l’ennesima colata di cemento che soffocherà uno spazio verde della città. L’assemblea è stata aperta dal Coordinamento milanese contro le Olimpiadi, che ha denunciato non solo le criticità ambientali, ma anche quelle sociali connesse a opere che avranno il solo scopo di speculare sul mercato immobiliare e di rendere Milano una città sempre più esclusiva per il costo della vita troppo elevato. Sono seguiti gli interventi del gruppo francese di Saccage 2024, che si oppone alle Olimpiadi previste a Parigi per quell’anno, e l’assemblea del Venice Climate Camp, che ha rilanciato l’appuntamento del prossimo settembre a Cortina d’Ampezzo per contestare le opere di devastazione previste sulle Alpi Venete. Su questo versante si sono mossi anche tanti gruppi e associazioni che proprio durante i giorni del Congress hanno organizzato passeggiate ed escursioni in decine di località montane «in difesa delle terre alte», rispondendo all’appello di Ape e TheOutDoorManifesto.
Il Congress ha costituito l’infrastruttura della «Prima Internazionale Climattivista» e, quindi, un coordinamento permanente di tutte le lotte climatiche della Terra, plurali ma che camminano su uno stesso orizzonte: antagonista rispetto al modello socio economico dominante e costituente una nuova forma ecologica di condividere lo spazio e le risorse tra esseri viventi. L’intenzione è quella di lanciare una mobilitazione diffusa sui vari territori nel mese di marzo del 2024 con uno stesso slogan e dei punti politici comuni che diano concretizza a questa nuova rete internazionale.
Federico Scirchio
*Federico Scirchio, laureato in filosofia e militante di ecologia politica, si occupa di temi legati all’ecologia e alle nuove tecnologie
Rassegna del 27 Ottobre, 2023 |
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