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ISSUE
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Uno studio condotto dall’Università di Parma mostra come l’attività fisica sia in grado di riscrivere i rapporti tra le popolazioni di microrganismi che abitano il nostro intestino, con benefici importanti per la salute.
Non che si tratti di un tema ancora dibattuto: quella che nel corso dei secoli è stata tramandata più come espressione della saggezza popolare che come verità provata, negli ultimi decenni ha ricevuto a più riprese la validazione da studi e ricerche della medicina moderna.
Sostenuti dai risultati ottenuti nei diversi campi, si può quindi affermare ora con fiducia: una mente sana alberga spesso in un corpo altrettanto sano.
E ovviamente non si tratta soltanto dell’aspetto cognitivo e del benessere neuronale, a trarre benefici da uno stile di vita dinamico e attento sono tutti i diversi distretti del nostro organismo.
Non ultimo, il consorzio di microrganismi che popolano il nostro apparato digerente: il microbiota intestinale (questo il termine con cui vi si riferiscono gli addetti ai lavori).
È uno degli esiti riportati dal recente studio condotto dall’Università di Parma, pubblicato sulla rivista Microbiome, che ha messo in evidenza come il microbiota intestinale di atleti e atlete sia particolare, molto diverso per composizione batterica rispetto a quello di soggetti sedentari.
La ricerca, sviluppata e realizzata dal team del laboratorio di Probiogenomica con la partecipazione dei docenti Marco Ventura, Christian Milani, Francesca Turroni (Dipartimento di Scienze Chimiche, della Vita e della Sostenibilità Ambientale) e Leonardo Mancabelli (Dipartimento di Medicina e Chirurgia), ha seguito un approccio che si definisce metagenomico, ovvero si è mossa sul campo largo di un’analisi di tutti i microrganismi che albergano nel tratto intestinale mediante il sequenziamento del loro Dna, permettendone l’identificazione e la valutazione delle potenzialità genetiche.
Si è potuto in questo modo generare un vero e proprio database dai dati relativi alla composizione del microbiota intestinale degli atleti e di individui sedentari sani e da qui delineare per entrambe le categorie un profilo delle popolazioni batteriche presenti (profilo tassonomico) e, soprattutto, determinare il potenziale genetico del microbiota nell’intestino di atleti agonisti rispetto a soggetti sedentari.
I risultati ottenuti suggeriscono un’interpretazione molto chiara: l’attività fisica agonistica e il relativo stile di vita possono essere associati alla modulazione della composizione del microbiota intestinale, dal momento che favoriscono la crescita di determinate popolazioni microbiche rispetto ad altre, meno vantaggiose.
Di fatto, quella esercitata da uno stile di vita atletico si può definire una pressione ecologica multifattoriale, che nel tempo è in grado di modulare la composizione del microbiota intestinale, rimodellandolo a favore di specie batteriche produttrici di metaboliti che ricoprono un ruolo chiave nella salute umana, come per esempio gli acidi grassi a corta catena (scfas).
La teoria dei due cervelli
Mens sana in corpore sano, si diceva in apertura. E a dir la verità i due aspetti non sono poi così distanti, se non a livello anatomico.
Non è un caso che riscontri un forte seguito la teoria elaborata nel 1998 da Michael D. Gershon, esperto di anatomia e biologia cellulare della Columbia University di New York, secondo cui si potrebbe parlare dell’intestino come di un secondo cervello, dotato – quasi a riprova di questa tesi – di oltre cento milioni di neuroni.
Riportando la questione nella nostra dimensione quotidiana, immaginare un collegamento tra cervello e pancia non ci sembrerà forse nemmeno così assurdo: si pensi non solo all’effetto che sull’umore può avere mangiare un dolce o mettere qualcosa nello stomaco dopo un lungo digiuno, ma anche quanto sia facile che a somatizzare per primo le sensazioni di stress, ansia e tensione sia proprio il nostro intestino.
E prove di una connessione tra i due distretti, oltre che nella vita di tutti i giorni anche da un punto di vista prettamente scientifico, sono sempre più numerosi: non solo perché, come si è detto, l’intestino è dotato di un tessuto neuronale autonomo che lo rende capace di riprodurre sensazioni e fissare emozioni in modo indipendente, rilasciando serotonina (il cosiddetto ormone della felicità) e altri mediatori di risposte benefiche o dannose per la salute dell’organismo, ma anche perché arrivano dalla letteratura scientifica diverse evidenze di come patologie di appannaggio principalmente della componente psichica e cerebrale (come la depressione) o neurodegenerative (come il Parkinson e l’Alzheimer) lascino una firma evidente proprio sul microbiota intestinale oppure siano in parte sollecitate da un suo squilibrio.
Prendersi cura del proprio intestino significa quindi non soltanto occuparsi del proprio benessere fisico, ma anche di quello emotivo, psicologico.
E se l’alimentazione in questo può essere un grande alleato, da oggi sappiamo che anche uno stile di vita atletico e dinamico potrà forse regalarci una vita più sana (e felice).
Photo: Silvia
Rassegna del 17 Marzo, 2023 |
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