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ISSUE 363

Un Paese in guerra con le biciclette

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Un Paese in guerra con le biciclette

In Italia solo il 13 per cento della popolazione usa la bici quotidianamente. E ci sono appena 2,8 chilometri di ciclabili per 10mila abitanti. Per azzerare il gap col resto d’Europa ne servirebbero 21mila. Ma ora un Piano Ue spinge gli Stati a fare di più.

 

Sopra le teste degli automobilisti bloccati nel traffico in direzione Milano centro, per alcuni giorni ha campeggiato beffardo uno striscione contenente una provocazione che più che prendere in giro quei lavoratori che avrebbero certamente fatto ritardo, voleva suonare come un inno al cambiamento per l’intera città: «In bici saresti già arrivato». Un drappo di otto metri, esposto sul Cavalcavia “Bussa” che sorvola i binari della Stazione Garibaldi in direzione di Piazza Gae Aulenti: quella strada non è fiancheggiata da una corsia per le biciclette, lo sono però i 293 chilometri di vie cittadine del capoluogo lombardo, e altri 186 sono previsti dal Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (Pums) di Palazzo Marino. Se paragonata alle altre città capoluogo, tenendo conto della popolazione, Milano si colloca poco sopra la metà della classifica stilata dalle associazioni Clean Cities, Fiab, Kyoto Club e Legambiente, che nel dossier “L’Italia non è un paese per bici” fotografano lo stato delle nostre infrastrutture ciclabili. 

 

Il report mostra come gli investimenti fatti finora – e quelli previsti per l’immediato futuro – siano insufficienti per colmare il gap accumulato negli anni con il resto d’Europa: per azzerare la differenza, alle città italiane servono 16mila chilometri di ciclabili in più rispetto al 2020, per un totale di 21mila chilometri entro il 2030. Anche i dati Istat certificano questa penuria: nel nostro Paese la media è di 2,8 chilometri di ciclabili per 10mila abitanti, con disparità territoriali che è impossibile nascondere: si va dallo zero assoluto in molti capoluoghi del Centro-Sud Italia (tra questi Enna, Caltanissetta, Campobasso, Chieti, Trapani) alle più virtuose Modena, Ferrara, Reggio Emilia, il cui valore oscilla tra i 12 e i 15. Secondo il rapporto, in Emilia-Romagna ci sono tre volte i chilometri ciclabili di tutte le città del Sud e delle Isole. Le piste urbane sono effettivamente aumentate tra il 2015 e il 2020, ma esclusivamente nei centri che già avevano un livello infrastrutturale superiore alla media.

 

Una scelta sbagliata

 

I 58 Pums dei Comuni nei quali è stato possibile individuare una previsione chilometrica di sviluppo delle piste ciclabili prevedono 3.448 nuovi chilometri di ciclovie urbane rispetto ai 4.136 chilometri già esistenti nelle stesse città, con un incremento dell’83 per cento. A questi vanno aggiunti ulteriori 4.547 chilometri previsti nei piani delle città metropolitane, per un totale di circa 8mila chilometri di ciclabili da realizzare nell’arco dei prossimi 5-10 anni. Questo per andare incontro alle richieste del Piano Generale della Mobilità Ciclistica (Pgmc), messo a punto dal Ministero delle Infrastrutture nell’agosto 2022, che pone come obiettivo quello di aumentare la percentuale totale degli spostamenti in bicicletta del 20 per cento entro i prossimi tre anni: in Italia infatti “solo” il 13 per cento della popolazione adulta usa la bici quotidianamente. Per invertire la tendenza è però indispensabile passare anche per una rimodulazione degli stanziamenti a bilancio del governo, che per quanto riguarda gli spostamenti preferiscono sistematicamente l’auto a qualsiasi altra soluzione. A partire dalla Legge di Bilancio 2018 Palazzo Chigi ha infatti destinato complessivamente quasi 10 miliardi e mezzo di euro al rinnovo del parco veicolare privato, di cui 2 miliardi in ecobonus per l’acquisto di auto nel triennio 2022-2024. Il Ministero delle Infrastrutture ha finanziato per 63 miliardi interventi in infrastrutture stradali e autostradali nazionali, mentre 25 miliardi sono stati destinati a comuni, province e città metropolitane per la manutenzione stradale e altre opere infrastrutturali dal 2019 al 2036. Il totale è di oltre 98 miliardi di euro, cento volte in più del miliardo speso per lo sviluppo delle due ruote: 300 milioni per il sostegno diretto all’acquisto di biciclette (ma anche di altri veicoli elettrici leggeri e servizi di sharing mobility), 600 – provenienti dal Pnrr – per ciclovie turistiche e urbane, e 438 del fondo per la ciclabilità istituito con la legge di stabilità 2016.

 

Giustizia

 

Uno squilibrio a vantaggio dell’auto che si traduce anche in un danno al pianeta. L’Italia si è impegnata a ridurre le proprie emissioni del 55 per cento entro il 2030, con l’ambizione di azzerarle per metà secolo: in quest’ottica la decarbonizzazione dei trasporti dovrebbe essere una priorità dell’azione di governo, considerando che metà delle 30 città europee con la peggiore qualità dell’aria si trovano nel nostro Paese. Il cambiamento passa però anche per i cittadini, restii ad abbandonare le abitudini malsane: secondo i dati dell’Istituto superiore di ricerca e formazione per i trasporti (Isfort) il 60 per cento degli spostamenti nel nostro paese avvengono entro i 5 chilometri, in gran parte potrebbero quindi essere facilmente compiuti in maniera più sostenibile. Una “comfort zone” che porta a paradossi incredibili come quello di Roma, in cui ci sono più vetture (1,7 milioni) che persone con la patente (1,5). Muoversi in bicicletta, oltre che a ridurre l’inquinamento, restituirebbe anche giustizia sociale: è un’opzione economica che – se agevolata con le giuste politiche – consentirebbe a chi non può permettersi un’auto di raggiungere in sicurezza il lavoro o qualsiasi altro luogo per le commissioni quotidiane.

 

La mossa dell’Ue

 

Un’Italia più “ciclabile” è un’Italia che dà più spazio alle persone, che forza le aziende a non dare per scontato che i propri dipendenti si spostino soltanto in auto o con i mezzi pubblici. La città, per com’è pensata oggi, e cioè cucita attorno alle automobili, appare soffocata, inquinata, e con uno spazio ridotto per la socialità, divorato interamente dalle carreggiate. Anche per questo motivo il Parlamento europeo ha recentemente approvato un piano da sottoporre alla Commissione Ue per incentivare l’uso della bicicletta: diciotto punti che partono dal presupposto che la tendenza è aumentata in risposta alla pandemia di Covid-19 e all’impennata del prezzo dei combustibili fossili dalla guerra della Russia contro l’Ucraina, e che pongono come obiettivo raddoppiare il numero di chilometri percorsi in bicicletta in Europa entro il 2030. Tra le novità nell’approccio alla questione c’è l’idea di porre l’accento sulla cosiddetta “multimodalità”, cioè la possibilità di integrare in modo comodo ed efficace la bici con diversi mezzi di trasporto, ad esempio mettendo a disposizione più posti per le biciclette sui treni e predisponendo aree di parcheggio più sicure per le biciclette nelle stazioni. Altre idee comprendono l’incentivo alla produzione di bici e componenti “Made in Europe” e la riduzione dell’Iva sulle biciclette. Ma il progetto più ambizioso propone di uscire dagli schemi classici e ragionare al di là dei centri urbani, provando a guardare con maggiore attenzione anche alle periferie, con la creazione di piste ciclabili di collegamento sicuro senza la necessità di muoversi su strade trafficate o dove le auto vanno ad alta velocità, che il piano definisce “autostrade ciclabili”.

 

Massimiliano Cassano

 

 

Photo: Pexels

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