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ISSUE 389

Dantedì. Acqua e riti di purificazione nella Divina Commedia di Dante

In occasione del giorno dedicato interamente a Dante, un percorso a ritroso sul significato dell’acqua nella Commedia.

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Dantedì. Acqua e riti di purificazione nella Divina Commedia di Dante

Il 25 marzo si celebra il DanteDì, un giorno interamente dedicato a Dante Alighieri. Il sommo poeta nella sua celebre opera, la Divida Commedia, ha voluto dare alla risorsa acqua un ruolo fondamentale nel corso del suo viaggio. Come? scopriamolo insieme.

 

La simbologia nell’opera di Dante

 

Dante, oltre a essere un uomo di lettere, è un uomo dalla cultura scientifica vastissima. La sua Commedia ha un valore inestimabile per un motivo fondamentale: è un compendio di poesia, ma anche un’esposizione organica di astronomia, aritmetica, geometria, scienze naturali, filosofia e teologia. Ogni parola è dosata alla perfezione e quasi tutte le parole portano con sé un significato altro, che può essere simbolico e/o allegorico. 

 

La Divina Commedia e i significati dell’acqua

 

L’acqua è uno dei termini con più sfumature in tutta la Commedia e ritorna spesso in canti diversi e sotto forme diverse (mare, pioggia, palude, fiume), sia perché è uno dei quattro elementi primordiali necessari alla costituzione del mondo, secondo il pensiero aristotelico-tolemaico, sia perché porta con sé una pluralità di significati che a seconda del contesto assumono una sfumatura diversa. 

 

L’acqua può essere perigliosa e guata (Inf. Can. I), come quella di una celebre similitudine tra il marinario che rifugge il mare e Dante che cerca una via di uscita dalla foresta oscura. Può essere acqua tinta (Inf. Can. VI), e cioè pioggia scura che tempesta il terzo cerchio dell’Inferno dove si trovano Cerbero e i peccatori di gola. O ancora acqua buia assai più che persa, (Inf. Can. VII), nel caso della palude dello Stige, in cui l’acqua è stagnante com’è stagnante l’anima dei peccatori che vi si trovano. 

 

Un’interpretazione dicotomica

 

Di solito, nel momento in cui ci si ritrova a trattare il tema dell’acqua nella Commedia, la prima distinzione che viene fatta è quella tra ‘acqua come simbolo di vita e di benedizione’ e ‘acqua come simbolo di peccato e di perdizione’. Nel primo caso vi si associa un significato religioso; nel secondo, una connotazione negativa e, in alcuni casi specifici, pagana. Partiamo da quest’ultima: 

 

Tre volte il fé girar con tutte l'acque;

a la quarta levar la poppa in suso

e la prora ire in giù, com'altrui piacque,

infin che 'l mar fu sovra noi richiuso. 

 

Quando Dante fa parlare Ulisse, che si trova nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno (Inf. Can. XXVI) tra i consiglieri fraudolenti, e cioè tra coloro che misero il loro ingegno a disposizione della frode e non della virtù, si sofferma su due momenti fondamentali: il racconto del viaggio di Ulisse per mare aperto e la morte per acqua dei suoi compagni. L’acqua del mare è intesa come infinità a cui cerca di attingere la sete di conoscenza di Ulisse, ma è allo stesso tempo simbolo di perdizione: essendo infinita non ha direzione né via di uscita, così come la curiosità di Ulisse è inestinguibile e male indirizzata (fatti non foste a viver come bruti / ma per seguir virtute e canoscenza).

 

In altri casi, però, l’acqua ha un significato simbolico positivo. Più ci avviciniamo al Paradiso e più tutta la simbologia legata all’acqua muta progressivamente forma. Prendiamo in considerazione i fiumi che connotano il paesaggio delle tre cantiche. 

 

Il primo che incontriamo è l’Acheronte, dalle acque scure come oscure sono le anime dei perduti che vengono traghettati da Caronte da una riva all’altra. Poi troviamo il Flegetonte e il Cocito: il primo dalle acque bollenti in cui bruciano le anime dei violenti, e il secondo è detto anche ‘fiume dei lamenti’, ripido e ombroso. Quindi lo Stige, già menzionato, e infine il fiume Lete (o Eunoè), dove si lavano le anime dei traghettati per dimenticare i loro peccati e poter salire in Paradiso. A questo punto il significato del lavacro di Dante nel fiume che connette il Purgatorio al Paradiso acquisisce una connotazione cristiana molto forte: è allegoria del rito battesimale. 

 

Una possibile terza interpretazione

 

Eppure, manca un terzo significato, quello figurativo, che in questo caso non ha alcuna connotazione morale o religiosa, quanto piuttosto terrena e visionaria.

 

L’acqua che Virgilio usa nel primo canto del Purgatorio per purificare Dante non è sacra, ma è rugiada notturna non ancora dissolta, mentre il giunco con cui cinge Dante non è un cordone, ma una pianta trovata sulla riva. Il rituale è naturale, spontaneo, ha a che fare con la semplicità dei gesti primordiali, tipici dei riti di passaggi delle prime civiltà (cfr. A. Van Gennep, I riti di passaggio). La natura di cui ci parla Dante nel Purgatorio, non è simbolo di peccato né di grazia divina. È natura terrena, e in questo caso originale, che noi conosciamo solo in piccolissima parte. 

 

Dante ci invita a vivere la natura in modo profondo e ancestrale, per riuscire a ristabilire un contatto con quell’età dell’oro ormai corrotta e andata persa. Ecco, quindi, che il legame con la figura di Ulisse si fa evidente: quivi mi cinse sì com’altrui piacque. Ulisse cinso dal mare e dalla necessità di progredire in modo inarrestabile e senza una giusta direzione va a fondo; mentre Dante, di fronte allo stesso mare, ma con una direzione e con attenzione nei confronti di quella stessa natura di cui Ulisse era stato manipolatore e vittima, è pronto per la sua iniziazione. 

 

Valentina Toschi

 

 

Photo:  Edoardo Botez 

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