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ISSUE 389

Greenpeace: «PFAS nei corsi d’acqua anche in Toscana. Serve un divieto nazionale»

Greenpeace parla di una contaminazione da PFAS «largamente diffusa» nei corsi d’acqua vicini alle industrie toscane

valori.it

Greenpeace: «PFAS nei corsi d’acqua anche in Toscana. Serve un divieto nazionale»

A pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’acqua di venerdì 22 marzo, l’organizzazione ambientalista Greenpeace Italia rende noti i risultati di una nuova indagine sulla contaminazione da PFAS (composti poli e perfluoroalchilici) nei fiumi e torrenti italiani. Per la precisione, in Toscana. A seguito di campionamenti indipendenti effettuati nel gennaio scorso, Greenpeace parla di una contaminazione «largamente diffusa» nei corsi d’acqua vicini alle industrie conciarie, tessili, florovivaistiche, del cuoio e – fatto evidenziato per la prima volta – anche delle cartiere.

 

Cosa sono i PFAS e perché preoccupano

 

Con il termine PFAS ci si riferisce a migliaia di composti chimici fluorurati che per decenni sono stati largamente utilizzati dall’industria, in virtù delle loro proprietà idrorepellenti, oleorepellenti, antiscivolo e stabili alla temperatura. Tra i prodotti di largo consumo fabbricati con i PFAS ci sono, per esempio, padelle e pentole antiaderenti, tessuti antipioggia, schiume per estintori, carta da cucina.

 

I PFAS, tuttavia, non si degradano nel suolo e nell’acqua e tendono ad accumularsi nel corpo umano. Per questo sono stati ribattezzati “forever chemicals”, sostanze chimiche eterne. Il che desta forti preoccupazioni nella comunità scientifica. Numerosi studi pubblicati negli anni, infatti, hanno ricollegato l’esposizione a PFAS a vari disturbi che coinvolgono la tiroide, il fegato, il sistema immunitario, la fertilità e lo sviluppo fetale, oltre che a forme tumorali.

 

Cosa emerge dalle indagini di Greenpeace sui corsi d’acqua in Toscana

 

Greenpeace ha effettuato quasi tutti i campionamenti nei fiumi, a monte e a valle degli impianti di depurazione industriale. Nello specifico il consorzio Torrente Pescia e Aquapur (distretto carta), i depuratori del distretto conciario (depuratore Aquarno) e del cuoio (depuratore Cuoio-Depur, che scarica nel Rio Malucco), i fiumi Ombrone, Bisenzio e Fosso Calicino (distretto tessile) e il torrente Brana (distretto florovivaistico). Le concentrazioni più elevate sono state rilevate nel Rio Malucco, nel Fosso Calicino, nel fiume Ombrone e nel Rio Frizzone a Porcari a valle del depuratore Aquapur. Nel fiume Ombrone la concentrazione a valle del distretto tessile è risultata circa 20 volte superiore rispetto a monte. Mel Rio Frizzone, a valle del depuratore, la presenza di PFAS era di circa 9 volte rispetto a monte.

 

Oltre a rilevare alcune delle singole molecole di PFAS più utilizzate, le analisi di laboratorio hanno permesso di effettuare anche una stima della presenza di tutti i PAFS – un gruppo di oltre diecimila molecole differenti – rilevando il totale del fluoro organico adsorbibile (AOF). L’applicazione di questa tecnica analitica ha evidenziato le contaminazioni più preoccupanti a valle di uno dei depuratori del distretto tessile a Prato, quello di Calice (4.800 nanogrammi/litro). Seguito dal canale Usciana a valle del depuratore Aquarno (4.500 nanogrammi/litro) e nel Rio Frizzone a valle del depuratore Aquapur (3.900 nanogrammi/litro) a Porcari.

 

Immediata la replica dell’industria cartiera, rappresentata da Assocarta e Confindustria Toscana Nord. Per la lavorazione della carta a uso igienico e sanitario, si legge nella nota diffusa dalle associazioni di categoria, non si impiegano i PFAS. Questo perché «sono sostanze utilizzate per rendere impermeabili i materiali, pertanto fornirebbero una prestazione al prodotto del tutto opposta a quella che è invece richiesta a questo tipo di carte».

 

Come si spiegano, dunque, i valori rilevati da Greenpeace nei pressi degli stabilimenti? «Si tratta di generico inquinamento ambientale, in particolare dell’acqua, che non ha nulla a che vedere con l’immissione di queste sostanze nel ciclo produttivo del cartario: cosa che, ripeto, non avviene», afferma Tiziano Pieretti, presidente della sezione Carta e cartotecnica di Confindustria Toscana Nord e vicepresidente di Assocarta. «Come in altri casi, vi sono state progressive restrizioni, alle quali le imprese si sono immediatamente adeguate, per l’uso di questa classe di sostanze: restrizioni che è possibile si accentuino ancora, come è avvenuto in alcuni paesi, a seguito di studi e approfondimenti sul loro impatto sull’ambiente e la salute. È nel pieno interesse delle imprese che su questi temi ci sia una regolamentazione chiara e univoca, che consenta loro di operare in tranquillità, usando prodotti scientificamente riconosciuti come innocui».

 

«Serve una legge nazionale che vieti l’uso e la produzione di PFAS»

 

«Il quadro di contaminazione che emerge dalle nostre analisi è tutt’altro che rassicurante. Alcuni casi sono ben documentati da almeno dieci anni, ma la Regione Toscana non ha mai affrontato seriamente il problema: manca infatti un provvedimento sugli scarichi industriali». Lo dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace Italia. «La Regione deve individuare tutte le fonti inquinanti di PFAS e attivare le ASL per avviare al più presto indagini sulle acque potabili, soprattutto nelle aree in cui si registrano elevati livelli di contaminazione».

 

La Toscana, peraltro, è solo l’ultima regione in ordine di tempo in cui si rilevano diffuse contaminazioni. Il caso PFAS è scoppiato in Veneto, dove 350mila persone per anni hanno bevuto acqua di rubinetto proveniente da una falda inquinata dall’azienda Miteni. Ma Greenpeace ha rilevato dati preoccupanti anche in Lombardia e Piemonte. A tal punto che Ungherese parla di «un’emergenza nazionale fuori controllo. Per quanto tempo ancora il nostro governo continuerà a ignorare il problema condannando interi territori a subire gli effetti dell’inquinamento?», conclude. «Serve subito una legge nazionale che vieti l’uso e la produzione di queste pericolose molecole, non c’è più tempo da perdere».

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