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ISSUE 411

Materasso, come sceglierlo e smaltirlo per ridurre l’impatto ambientale

Quando si seleziona quello nuovo è importante verificare la presenza dell’etichetta Ecolabel, mentre a fine vita occorre puntare su riutilizzo e riciclo

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Materasso, come sceglierlo e smaltirlo per ridurre l’impatto ambientale

Quando un materasso compie dieci anni, è ora di mandarlo in pensione. Trascorso questo periodo, è inevitabile che, nonostante l’accurata manutenzione, perda rigidità e altezza, non offrendo più un supporto ottimale durante il sonno. Per rimpiazzare quello che viene dismesso, di norma occorre acquistarne uno nuovo. Ma non è sempre facile orientarsi nella scelta, visto che i parametri da considerare sono numerosi e che si è spesso bombardati da massicce campagne di marketing che finiscono per confondere le idee.

 

Il marchio europeo

 

In negozio l’unico elemento che può garantire una scelta effettivamente attenta all’ambiente è la presenza del marchio Ecolabel, etichetta ecologica istituita dall'Unione europea nel 1992 e modificata nel 2013. La certificazione assicura che il prodotto sia stato realizzato con materiali sostenibili, che abbia un limitato livello di residui tossici e che non incrementi l’inquinamento dell’aria domestica.

 

Il nuovo regolamento

 

Nel frattempo, si stanno compiendo dei passi avanti per fare in modo che materassi e altri prodotti risultino sempre più ecologici. Tra i provvedimenti più recenti, il Regolamento 1781 del Parlamento e del Consiglio europei pubblicato il 13 giugno 2024, che introduce criteri di ecodesign più vincolanti, con l’obiettivo di risparmiare energia e ridurre i consumi nei processi produttivi. Per quanto concerne i dispositivi per il riposo, le nuove regole dovrebbero essere definite entro il 2025, lasciando poi ai fabbricanti uno o due anni di tempo per adeguarsi.

 

Alla larga dalla discarica

 

Oltre alla fase produttiva, anche lo smaltimento ha un rilevante impatto ambientale, soprattutto se il materasso arriva in discarica, dove si degrada lentamente. I prodotti della degradazione e gli additivi (come ritardanti di fiamma, metalli pesanti, colle, stabilizzanti, sbiancanti ottici) possono, infatti, infiltrarsi nel suolo o nelle acque sotterranee, danneggiando l'ambiente circostante. Senza contare che alcune sostanze potrebbero risultare pericolose anche per la nostra salute.

 

Dal paraspifferi al futon

 

Ecco perché è bene puntare sul riutilizzo. Chi ha messo da parte i materassi di lana di una volta può cominciare proprio da questi. La materia prima deve essere anzitutto estratta, lavata, cardata, in modo da renderla nuovamente pulita e soffice. Poi, come suggerisce Altroconsumo, si possono creare pouf, futon, cuscini, paraspifferi per finestre. Ci sono poi i materassi in poliuretano, più facili da tagliare: si possono rifoderare per trasformarli, per esempio, in una nuova cuccia per il cane. Non si possono, invece, tagliare i prodotti in lattice o a molle: un’idea è impiegarli per un letto utilizzato raramente o per un letto in una seconda casa. In alternativa, se il materasso dismesso è ancora in buone condizioni, dopo un’attenta pulizia può essere ceduto o donato a chi ne ha bisogno: una scelta sostenibile e anche etica.

 

I vantaggi del riciclo

 

Nel caso in cui il materasso fosse davvero giunto a fine vita, non può essere conferito insieme ai rifiuti solidi urbani o lasciato accanto ai cassonetti. Deve essere portato, magari usufruendo dei servizi di ritiro a domicilio, all’isola ecologica o in un centro di raccolta, che provvederà a inviarlo a impianti specializzati in grado di disassemblarlo per recuperare i materiali di cui è formato: secondo l’azienda Seco, le componenti riciclabili sono poliuretano e lattice (25%), acciaio (30%), lana e cotone (10%), feltro (10%), ovatta (10%), che possono essere riutilizzate nei settori tessile, arredamento, edilizia. In un report realizzato dai ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, si stima che il 90% delle materie prime utilizzate per i materassi possa essere riciclata, con un risparmio di 13.500 tonnellate di anidride carbonica ogni 10mila tonnellate di prodotti trattati.

 

 

Photo: congerdesign 

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