La Newsletter di ESO
ISSUE 411

Pfas, Greenpeace: nessun allarmismo, limiti del 2026 inadeguati a proteggere la salute umana

Greenpeace risponde ad Altroconsumo

nonsoloambiente.it

Pfas, Greenpeace: nessun allarmismo, limiti del 2026 inadeguati a proteggere la salute umana

Greenpeace risponde ad Altroconsumo. Negli ultimi mesi, il tema dei pfas presenti nelle acque italiane ha ripreso centralità. Il motivo è anche che nel 2026 entreranno in vigore nuovi limiti alla presenza di microplastiche nell'acqua potabile. E dunque iniziano a moltiplicarsi le ricerche. Prima è arrivata Altroconsumo all'inizio dell'autunno 2024, poi nelle scorse settimane Greenpeace Italia. Ai dati di quest'ultima ha però replicato proprio Altroconsumo che ha bollato come allarmismo i risultati di Greenpeace (insieme ad alcuni gestori dei servizi idrici come MM che hanno sollevato perplessità su quanto scritto dall'associazione ambientalista). A questo punto Nonsoloambiente ha chiesto a Greenpeace una precisazione che è prontamente arrivata e che potete leggere a seguire:

 

Pochi mesi fa Altroconsumo ha pubblicato una ricerca con risultati opposti ai vostri, trattandosi di un'associazione la cui terzietà non sembra in discussione vorremmo capire come è possibile avere risultati così diversi.

 

Come sostenuto già dalla stessa Altroconsumo, “campioni diversi, raccolti in momenti diversi, possono dare risultati diversi: questo avviene sempre nelle inchieste su parametri ambientali”. E sempre come già scritto da questa realtà, “la metodica di analisi utilizzata da Greenpeace arriva a quantificare valori molto bassi di Pfas” allineati alle linee guida della direttiva europea. Perché dunque cerchiamo anche valori molto bassi di PFAS? Non certo per fare allarmismo, come sostiene Altroconsumo, ma perché la comunità scientifica internazionale che si occupa di queste sostanze concorda nel ritenere che l’assunzione alcune di queste molecole anche in bassi quantitativi, ma per periodi prolungati, può portare a problemi a livello di salute. Del resto, in Paesi come Danimarca o Stati Uniti i limiti per la presenza di alcune di queste sostanze nell’acqua potabile sono circa venti/venticinque volte più bassi di quelli che entreranno in vigore nel 2026 in Italia. Secondo le nostre rilevazioni, in molte aree d’Italia è stata erogata acqua potabile che in altre nazioni non verrebbe considerata sicura per la salute umana. Il 41% dei campioni che abbiamo analizzato in Italia supera ad esempio i limiti vigenti in Danimarca sui PFAS nell’acqua, mentre il 22% supera le soglie introdotte negli Stati Uniti. Tornando ai limiti che entreranno in vigore il prossimo anno in Italia: si tratta di parametri che sono stati superati dalle più recenti evidenze scientifiche e dalle valutazioni di importanti enti (ad esempio EFSA) tant’è che recentemente l’Agenzia europea per l’ambiente (EEA) ha dichiarato i futuri limiti inadeguati a proteggere la salute umana. Per questo numerose nazioni europee (Danimarca, Paesi Bassi, Germania, Spagna, Svezia e la regione belga delle Fiandre) e gli Stati Uniti hanno già adottato limiti più bassi. Il nostro approccio cautelativo ricalca dunque quello di importanti istituzioni comunitarie, ma anche di realtà come la Federazione Europea delle Associazioni Nazionali di Servizi connessi all’acqua (EurEau), di cui fa parte anche Utilitalia, federazione italiana che, tra le altre, riunisce le aziende speciali operanti nei servizi pubblici dell'acqua. In un rapporto pubblicato pochi giorni prima della diffusione dei nostri dati, EurEau aveva chiesto alla Commissione Europea di agire subito per mettere al bando i PFAS, perché “l'inazione significa costi crescenti”. Secondo la federazione europea, “per eliminare queste sostanze chimiche dal ciclo dell'acqua sono necessarie ulteriori tecnologie di trattamento, ma sono costose e ad alta intensità energetica” mentre “la prevenzione è l'unica strada sostenibile. Ciò significa un divieto di vasta portata sui PFAS e una rigorosa applicazione del principio ‘chi inquina paga’”.

 

Allo stesso modo gestori del servizio come Metropolitana Milanese hanno ottenuto risultati molto diversi da quelli che avete diffuso. Parlando con un vostro responsabile, la prima risposta è stata che le vostre analisi sono più precise delle altre che pure vengono rese pubbliche a cadenze regolari, vorremmo dunque una conferma o una smentita di questa linea.

 

Come già precisato in precedenza, risultati differenti possono essere dovuti a diversi fattori. D’altra parte, anche gli stessi gestori rilevano differenti quantità di PFAS in campioni prelevati in date differenti. Riguardo le difformità dei nostri valori rispetto a quelli riscontrati da MM, oltre a quanto già spiegato, un ulteriore motivazione potrebbe essere riconducibile ai limiti di rilevabilità analitica delle strumentazioni. ll laboratorio certificato di cui ci siamo serviti riesce a individuare la presenza di PFAS a partire dalla concentrazione di 1 nanogrammo per litro, ovvero 0,0010 microgrammi litro. Le linee guida comunitarie (che condividiamo in totale trasparenza) richiedono un limite di quantificazione strumentale pari a 1,5 nanogrammi per litro (ovvero 0,0015 microgrammi litro) per ognuna delle 24 molecole che concorrono a determinare il parametro Somma di PFAS. MM sul proprio sito dichiara un "limite di quantificazione del laboratorio di analisi (cioè il valore minimo che la strumentazione è in grado di rilevare, pari a 0,01 μg/L" ovvero microgrammi per litro o 10 nanogrammi per litro). Pertanto, in base a queste evidenze, il laboratorio di MM non sembra in grado di individuare la presenza di singole molecole PFAS in concentrazioni inferiori a 10 nanogrammi per litro. Questi differenti limiti di quantificazione possono facilmente spiegare le differenze.

 

Michelangelo Bonessa

 

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