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L’Europa rischia di arrivare alla Cop30 di Belém sul clima a mani vuote. Il problema sono i cosiddetti Ndc (national determined contributions). I Ventisette non si mettono d’accordo sugli obiettivi da darsi per la riduzione delle emissioni al 2035, che dovrebbero essere presentati entro fine mese.
La decisione avrebbe dovuto essere presa giovedì 18 settembre dal Consiglio dei ministri per l’Ambiente. Ma l’Unione è spaccata. Se Spagna, Danimarca e Finlandia sono favorevoli ad aumentare l’ambizione climatica, i contrari sono molti, a partire da Ungheria, Slovacchia e Polonia. Nel novero di chi rema contro c’è anche l’Italia. La segreteria del ministro Gilberto Pichetto Fratin, contattata da questo giornale, non ha risposto a una richiesta di chiarimenti circa la posizione di Roma e le sue motivazioni. Il ministero dell’Ambiente non ha rilasciato dichiarazioni.
Che cosa sono gli Ndc e perché contano
Ma vediamo perché gli Ndc sono importanti. Formalmente si tratta di un documento che racchiude gli obiettivi di riduzione delle emissioni di un Paese. Lungo solitamente una ventina di pagine, segue un canovaccio standard. Il testo include un’introduzione discorsiva e una sezione più tecnica.
Rappresenta, come indica il nome, il contributo nazionale di ogni Paese alla riduzione globale delle emissioni climalteranti. In questo contesto, ognuno fissa l’asticella da sé e per sé. Per dirla in soldoni: si può scrivere quello che si vuole. Il presupposto, però, è che sia basato su analisi tecniche dettagliate, perché rappresenta un impegno dalla marcata connotazione politica.
Sommando gli Ndc di tutti i Paesi è possibile calcolare la traiettoria del mondo nella lotta al riscaldamento globale.
La storia degli Ndc europei: dagli esordi a oggi
Perché parliamo di Ndc europeo e non italiano, francese o tedesco? Perché l’Unione europea ha firmato l’Accordo di Parigi in quanto organizzazione di integrazione economica regionale. Di conseguenza l’obiettivo comune viene deciso a Bruxelles. Da qui il problema: i meccanismi comunitari sono complicati, spesso prevedono l’unanimità. E il Vecchio continente viaggia a velocità diverse nella transizione, con il nord che è tendenzialmente più verde, la Spagna che ha investito moltissimo nelle rinnovabili e Paesi come la Polonia (tra gli altri) che sono invece ancora strettamente legati al carbone. Germania e Italia, invece, contano parecchio sul gas. Con queste differenze, è chiaro che arrivare a una quadra non è semplice.
Eppure è già stato fatto. Il primo Ndc continentale fu presentato nel 2016, l’anno dopo l’accordo di Parigi. Prevedeva la riduzione delle emissioni di gas serra domestiche di almeno il 40% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990, e senza far ricorso al mercato internazionale dei carbon credit. Un progresso evidente rispetto al precedente obiettivo, che si fermava al 20% e includeva l’uso di compensazioni.
Come faceva notare il testo, nel 2016 le emissioni erano già state ridotte del 19% nonostante una crescita del Pil (il prodotto interno lordo) del 44%. Insomma, crescita e decarbonizzazione non sarebbero antitetiche. Altro dettaglio presente nel documento: il picco delle emissioni della Ue si è registrato nel 1979. Da allora si è costantemente andati verso una riduzione.
Il secondo round: nuove sfide per gli obiettivi climatici dell’Unione europea
Il secondo round risale a dicembre 2020, piena epoca Covid. Un momento, peraltro, in cui i temi ambientali si erano imposti nel dibattito pubblico grazie alla pandemia. Nessuno ha potuto fare a meno di notare come la qualità dell’aria fosse migliorata, rendendo evidente quanto pesa la mano dell’uomo. L’inquinamento atmosferico da polveri non c’entra col clima, ma è un indicatore in grado di far riflettere. Non solo. Anche l’impatto di Greta Thunberg, che da qualche anno aveva cominciato i suoi scioperi, aveva contribuito non poco a creare consapevolezza e a mettere il tema in cima all’agenda. In poche parole, il momento politico era favorevole.
Nel dicembre 2019 – appena insediata la commissione von der Leyen – il Consiglio europeo (l’organo composto dai capi di Stato e di governo, quello che tecnicamente prende le decisioni) ha abbracciato l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. In linea con l’obiettivo dell’accordo di Parigi di mantenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi e ben al di sotto dei 2 gradi entro il 2100. Su anche l’asticella: l’obiettivo è diventato la riduzione delle emissioni di almeno il 55% entro il 2030.
Quando la transizione era vista come strategia di crescita
L’Ndc continentale riconosceva la necessità di «ingenti investimenti pubblici e privati a livello europeo per mettere l’Unione saldamente sulla strada di un recupero [dal Covid] sostenibile e resiliente». Era l’epoca del Next Generation Eu, che sarebbe stato (assieme al budget 2021-2027) lo strumento principale di questa manovra. Va notato come, anche in questo caso, si evidenziasse il rapporto tra economia e transizione, inquadrata (erano altri tempi) come leva per la competitività. Nel testo dell’Ndc si leggevano frasi come «un’azione climatica ambiziosa non è solo un modo di confrontarsi con la crisi del clima e della biodiversità, ma anche una strategia di crescita vincente, non solo per l’Europa in sé, ma per il mondo».
Per mitigare l’impatto socioeconomico della transizione sulle aree e le categorie svantaggiate sarebbero stati creati il Just transition mechanism e il Just transition fund. Si prevedevano, inoltre, audit regolari e si nominavano molti settori osservati speciali, come il trasporto aereo e su gomma. L’Ndc era stato presentato a dicembre 2020, ben prima della Cop26 che si sarebbe tenuta a Glasgow a novembre 2021. Il confronto con quanto accade oggi, senza un testo concordato a meno di due mesi dalla conferenza di Belém, rende l’idea.
L’aggiornamento del 2023 sugli Ndc europei
Poi la guerra in Ucraina, l’inflazione, il caro energia. Il mondo cominciava a cambiare, e in cima all’agenda, al posto del clima, finiva l’economia. Nonostante tutto, nell’aggiornamento dell’Ndc europeo del 2023 gli obiettivi restano sostanzialmente confermati e si dichiara l’introduzione del Social Climate Fund e dell’Innovation Fund.
Il 7 ottobre 2023, la guerra a Gaza e l’elezione di Donald Trump con il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo di Parigi hanno dato nuova forza ai teorici del business as usual. Il presidente repubblicano è un negazionista di vecchia data, fan del petrolio, e non si fa problemi a dirlo («drill, baby, drill» il suo slogan). La transizione energetica passa a essere inquadrata sotto la luce della perdita di competitività: tentazione forte con il declino dell’Occidente in corso da un lato, e una Cina che continua a crescere dall’altro.
Trump vuole mantenere il primato economico americano il più a lungo possibile, e farlo a qualunque costo. Così, si tiene le mani libere. Del resto, deve rispondere agli elettori, come i capi di Stato e di governo europei, ma anche alle lobby del petrolio – gli Stati Uniti sono il primo Paese produttore al mondo. Pechino, dal canto suo, non ha di questi problemi, e cresce con le rinnovabili, forte anche del possesso di materie prime e tecnologie per la transizione (che lo rendono un produttore imprescindibile) e di regole lasche sul lavoro.
Cosa succede ora: verso la Cop30 di Belém
E così si spiega l’oggi. Persino la Somalia – uno Stato fallito– ha già presentato il suo Ndc. Bruxelles, invece, è ancora a rischio. Nella riunione del Consiglio europeo dei ministri dell’Ambiente di giovedì 18 settembre si sarebbe dovuto decidere sia sull’Ndc che sull’innalzamento dell’obiettivo climatico al 90% entro il 2040. Prudenza ha consigliato di separare le questioni, per non rischiare di incassare una doppia sconfitta.
«Anche se la presidenza danese voleva fortemente legare i due temi, si è deciso di rimandare la discussione sull’obiettivo 2040 al Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre», spiega Francesca Bellisai, analista del think tank climatico Ecco. L’argomento richiede una trattazione approfondita, e non è aria. «Si tratta di un obiettivo non presente nella legge europea sul clima, e infatti per fissarlo bisognerebbe rivedere il testo. Ma, secondo l’impact assessment della Commissione dell’anno scorso, sarebbe alla portata».
Per quanto riguarda l’Ndc continentale in vista della Cop30, prosegue Bellisai, «quella di settembre in realtà è già una proroga: in origine il contributo nazionale doveva essere presentato all’Unfccc già a febbraio scorso, ma non l’aveva fatto quasi nessuno». Pretattica: troppo incerti i tempi per scoprire le carte.
Le incertezze che pesano sugli Ndc europei
L’Europa arriverà in Brasile senza aver fatto i compiti a casa? Secondo l’esperta, «pare che giovedì si possa approvare solo una dichiarazione di intenti – non un vero e proprio Ndc –, dichiarazione che annuncerebbe l’intenzione di darsi una finestra indicativa di riduzione delle emissioni al 2035 tra il 66,3% e il 72,5%». Il via libera potrebbe arrivare dal Consiglio dei capi di Stato e di governo di fine ottobre. «Ma in quel caso serve l’unanimità». Qual è il problema? «Il blocco è sull’obiettivo al 2040», giudicato da alcuni troppo alto. «Se si fissasse l’asticella lì, si sarebbe già sulla traiettoria teorica del 72,5%. In caso contrario, no».
Quanto agli schieramenti, conta il peso della Francia e della Germania, due Paesi in grado di spostare gli equilibri. «La situazione politica transalpina, con la crisi di governo in atto, consiglia a Parigi di posticipare il più possibile sul clima; settimana scorsa su questa posizione si è allineata anche Berlino», dice l’analista. Quanto all’Italia, prosegue, «il governo vuole il massimo della flessibilità possibile. La motivazione è che siamo rimasti indietro su diversi nodi della transizione, e quindi Roma ha un interesse immediato a rallentare il processo. Ma si tratta di una politica miope, perché rallentare la transizione ha costi maggiori alla lunga, e in definitiva non fa bene alla competitività del Paese». Il risultato è che l’Europa, la terra dei diritti e delle regole, si presenterà all’Assemblea Onu priva di leadership climatica. Sempre più vaso di coccio tra i vasi di ferro, e pronta a seguire il vento.
Antonio Piemontese
Foto: Antoine Schibler
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Rassegna del 26 Settembre, 2025 |
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