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ISSUE
425
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rgaonline.it

1. Premessa: la genesi del provvedimento
Il D.L. 8 agosto 2025 n. 116 ha ricevuto qualche notorietà sulla stampa principalmente per la introdotta possibilità di utilizzare strumenti di videosorveglianza per applicare sanzioni amministrative in caso di abbandono di rifiuti di modesta entità (qualitativa e quantitativa: rifiuti di prodotti da fumo ex art. 232 bis o rifiuti di piccolissime dimensioni ex art. 232 ter) in un contesto di decoro urbano.
L’accertamento di queste violazioni amministrative potrà, d’ora in avanti, “avvenire senza contestazione immediata attraverso le immagini riprese dagli impianti di videosorveglianza posti fuori o all’interno dei centri abitati”.
Ma questo provvedimento, in realtà, incide sull’intero spettro del diritto penale ambientale con novità molto rilevanti e inversamente proporzionali alla scarsa pubblicità ad esse riservata: il decreto infatti introduce nuove fattispecie di reato e opera una rimodulazione sanzionatoria di molte ipotesi di reato già esistenti (in parte, a loro volta, riformulate).
E’ utile riportare per esteso parte del preambolo al decreto per individuarne la causale di innesco: (…) “ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di assicurare il contrasto delle attività illecite in materia di rifiuti, che interessano l’intero territorio nazionale, con particolare riferimento alle aree della c.d. «Terra dei fuochi»; ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di contrastare il fenomeno dei roghi tossici di rifiuti urbani e speciali che mettono in pericolo la vita e l’incolumità delle persone, compromettendo altresì la salubrità dell’ambiente (…) Vista l’esigenza di dare esecuzione alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 30 gennaio 2025 (…)”.
È di tutta evidenza, quindi, che questo provvedimento trae origine dalla decisione CEDU esplicitamente citata nel decreto e della quale occorre dare sintetico conto.
Con la sentenza Cannavacciuolo e altri c. Italia (del 30 gennaio 2025)[i] la Corte, con voto unanime, ha condannato il nostro Paese per la mancanza di interventi preventivi e repressivi volti ad arginare l’inquinamento prodotto dalle organizzazioni criminali in alcune aree della Campania. La Corte ha affermato che queste carenze si riflettono non solo sul diritto a una vita privata sicura (art. 8) ma, addirittura, sul diritto alla vita stessa (art. 2).
Questa decisione (molto elaborata) invita l’Italia a porre in essere, entro due anni dal suo passaggio in giudicato, decise linee di intervento sia organizzative che strategiche.
Un primo intervento puramente organizzativo ha riguardato la nomina di un Commissario unico cui, successivamente, è stata affidata – fra l’altro – la bonifica dell’area denominata ‘Terra dei Fuochi’[ii].
Il Decreto legge in commento costituisce, evidentemente, un ulteriore tassello nella strategia del Governo per adempiere alle indicazioni della Corte.
Ne esaminiamo le principali linee di intervento.
2. L’abbandono di rifiuti (artt. 255, 255 bis e 255 ter TUA)
L’abbandono di rifiuti così come il c.d. deposito incontrollato, sono oggetto con questo decreto legge di una profonda rimodulazione sia in termini di sanzioni applicabili (tutte aumentate in maniera anche vertiginosa) che in termini di condotte sanzionabili.
Viene operata una moltiplicazione di condotte sanzionabili.
2.1 abbandono di rifiuti non pericolosi (art. 255 del Testo uni dell’ambiente)
L’abbandono o il deposito di rifiuti ovvero la loro immissione nelle acque superficiali o sotterranee, originariamente disciplinato dal solo art. 255 del TUA, viene ora declinato in misura quasi ossessiva con tre disposizioni di cui solo la prima (art. 255 primo comma), ora limitata ai soli rifiuti non pericolosi, mantiene una struttura contravvenzionale, tuttavia con l’ammenda innalzata sia nel minimo (da 1.000 a 1.500) che nel massimo (da 10.000 a 18.000).
Si introduce come pena accessoria la sospensione della patente da uno a quattro mesi qualora l’abbandono venga effettuato utilizzando un veicolo a motore.
L’art. 255 incorpora anche l’ipotesi di abbandono o deposito incontrollato di rifiuti non pericolosi posto in essere dai titolari di imprese e dai responsabili di enti: la condotta resta quella in precedenza descritta dall’art. 256, comma 2 TUA (ora abrogato) e la sanzione resta quella di una pena alternativa oblazionabile con un lieve aumento per la pena dell’ammenda.
Questa ipotesi di reato, a testimonianza di una mai sopita propensione al patchwork lessicale e normativo, è ora prevista da un comma 1.1 che si intromette come un ospite imprevisto fra il comma 1 e l’ 1 bis.
Quest’ultima norma, infine, vede aumentata la sanzione amministrativa per i rifiuti di prodotti da fumo e quelli di piccolissime dimensioni (art. 232 bis e ter TUA) portandola fra gli 80 e i 320 euro.
L’art. 7 del decreto, infine, introduce una sanzione amministrativa autonoma e più severa per il caso che l’abbandono venga posto in essere gettando i rifiuti di piccolissime dimensioni o di prodotti da fumo dai veicoli in sosta o in movimento (art. 15, lett. f bis del codice della strada).
Come anticipato in premessa questi illeciti amministrativi potranno essere accertati anche “senza contestazione immediata attraverso le immagini riprese dagli impianti di videosorveglianza posti fuori o all’interno dei centri abitati”.
2.2 L’abbandono di rifiuti non pericolosi in casi particolari: art. 255 bis
Viene inserito nel sistema un nuovo reato destinato a creare notevoli problemi di raccordo con altre norme e, anche, di equilibrata applicazione della norma.
Più in particolare, la medesima condotta descritta in precedenza per l’art. 255, primo comma, diviene ora un delitto assai grave (punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni) qualora “a) dal fatto deriva pericolo per la vita o l’incolumità delle persone ovvero pericolo di compromissione o deterioramento:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna; b) il fatto è commesso in siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze”.
Si tratta, evidentemente, di un reato di pericolo a forma libera che ricalca, in alcune sue parti, l’art. 452 bis c.p. (inquinamento ambientale) che, tuttavia, è un reato di danno ancorato nella descrizione della condotta a parametri oggettivi tali da limitare una eccessiva discrezionalità nell’applicazione della norma.
Come è noto, l’art. 452 bis c.p. presuppone che la compromissione o il deterioramento del bene ambientale concretamente colpito siano “significativi e misurabili” il che comporta, ovviamente, un indubbio onere probatorio a carico dell’accusa. Tale onere diviene, nella formulazione di questo reato di pericolo, abbastanza evanescente.
L’art. 255 bis ripropone, poi, la punibilità delle condotte di abbandono o deposito incontrollato poste in essere dai titolari di imprese o di enti che, per il caso di rifiuti non pericolosi rilasciati con le stesse condizioni di pericolo viste in precedenza, comportano la reclusione da 9 mesi a 5 anni e sei mesi (oltre alla pena accessoria della sospensione della patente in caso di utilizzo di veicolo per commettere l’illecito.
Tutte queste ipotesi appaiono disegnate come autonome fattispecie di reato e non, come anche si potrebbe pensare, come un’ipotesi aggravata del reato ‘base’ di cui all’art. 255.
Si tratta, naturalmente, di indagine cui riservare una riflessione e approfondimenti adeguati; tuttavia si possono qui elencare alcune ragioni che fanno propendere per la soluzione prospettata: il reato è descritto con un elemento costitutivo marcatamente specializzante (p.es. insorgenza del pericolo descritto) che ne trasforma totalmente la natura e tale differenza è sottolineata dalla differente qualità del reato (delitto e non contravvenzione), dalla manifesta diversità nella severità della sanzione nonché dalla scelta ‘logistica’ che incorpora le condotte in un contesto autonomo, con un’autonoma rubrica.
Infine (anche se il nostro legislatore non brilla per coerenza espositiva) da un punto di vista esegetico parrebbe naturale che, ove si fosse semplicemente voluto ‘aggravare’ un’ipotesi compiutamente descritta, sarebbe stato semplice dichiararlo, peraltro mantenendo una ragionevole progressione sanzionatoria e non un distacco così marcato.
Lo iato fra condotta descritta, tipologia di reato e sanzione prevista è di tale ampiezza da indirizzare con una certa sicurezza nel senso indicato (il che vale anche per quasi tutte le ipotesi che verranno descritte in prosieguo e che introducono medesima formula lessicale).
Tuttavia, a complicare la questione, vi sono anche indicazioni contraddittorie quale, ad esempio, l’introduzione nell’art. 452 sexies e 452 quaterdecies c.p. di un secondo comma in cui l’aumento sanzionatorio per queste medesime condotte descritte con medesime parole è introdotto dalla locuzione “le pene previste dai commi che precedono sono aumentate fino alla metà, quando…“.
Frase spesso utilizzata per descrivere aggravanti ad effetto speciale.
2.3 L’abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255 ter TUA)
Si tratta di norma speculare a quelle descritte in precedenza: per tutte le ipotesi di condotta previste l’unica differenza è costituita dalla qualità del rifiuto che, in questo caso, deve essere pericoloso.
Ciò comporta un trattamento sanzionatorio più severo (da 1 a 5 anni per la condotta di generico abbandono equivalente a quella del primo comma del nuovo art. 255 e da 1 anno e sei mesi a 6 anni per le ipotesi di abbandono o deposito che comportino l’insorgenza di quei rischi ora descritti nell’art. 255 bis).
L’abbandono o il deposito incontrollato di questa tipologia di rifiuti nell’ambito dell’esercizio di attività di impresa comportano, invece, la sanzione da un anno a 5 anni e sei mesi e da due anni a sei anni e sei mesi in presenza delle condizioni e dei pericoli già descritti.
L’ansia sanzionatoria del legislatore si rivela filo conduttore del provvedimento, quasi che le ferite anche di immagine inferte dalla CEDU con la decisione di gennaio possano cicatrizzarsi più rapidamente non in ragione dell’ottenimento di risultati concreti (in termini ambientali e di riduzione dei fenomeni criminali) ma grazie ad uno “stridor di denti” evocativo di un’inflessibile intransigenza che, in assenza della predisposizione di adeguati mezzi economici e di personale da impiegare nel contrasto al fenomeno, rischia invece di lasciare sul campo solo qualche vittima collaterale sanzionata con pene severissime per condotte – magari – di scarso rilievo.
3. La riformulazione dell’art. 256 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata)
L’art. 256 mantiene la propria funzione sanzionatoria riguardo a due tipologie di condotta contigue ma non sovrapponibili: la gestione di rifiuti non autorizzata (intesa, in linea di massima, come l’occasionale attività di raccolta, recupero, smaltimento o commercio senza autorizzazione) e la discarica non autorizzata. In entrambi i casi il reato da contravvenzionale si trasforma in delitto sanzionato con la reclusione.
La gestione illecita di rifiuti non pericolosi è ora punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni (da 1 a 5 anni per i rifiuti pericolosi).
La discarica non autorizzata, invece, è ora sanzionata con la reclusione da 1 a 5 anni (e da un anno e sei mesi a 5 anni e sei mesi laddove i rifiuti stoccati siano anche solo in parte pericolosi).
In presenza delle già ricordate condizioni di ‘pericolo’ per l’incolumità o di compromissione o deterioramento ambientali, nel caso di gestione non autorizzata di rifiuti la sanzione aumenta sia per i rifiuti non pericolosi (da 1 a 5 anni) che per quelli pericolosi (da 2 a 6 anni e sei mesi); nel caso di discarica ‘abusiva’ le sanzioni saranno, rispettivamente, da 2 a 6 anni e da 2 anni e sei mesi a sette anni.
Anche questa norma non va esente da perplessità.
Se pare condivisibile un aumento sanzionatorio per l’ipotesi di discarica non autorizzata, pare criticabile la dosimetria delle sanzioni. Per esempio nella distinzione fra una condotta occasionale come quella della gestione non autorizzata e quella, ben più strutturata, della discarica non autorizzata (per non parlare della relazione con l’art 452 quaterdecies c.p.).
Come è noto, infatti, per l’integrazione del reato di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256, comma 1 TUA) è sufficiente un’attività occasionale anche se non necessariamente unica[iii] tanto che la Cassazione ha precisato che questo reato è “un reato istantaneo e non abituale, il quale si realizza anche in caso di una sola condotta incriminatrice laddove la stessa sia indice di una certa organizzazione nello svolgimento di tale attività, organizzazione che può essere desunta sulla base di taluni indici rivelatori quali la provenienza del rifiuto da una attività imprenditoriale esercitata da chi effettua o dispone l’abusiva gestione, la eterogeneità dei rifiuti gestiti, la loro quantità, le caratteristiche del rifiuto indicative di precedenti attività preliminari di prelievo, raggruppamento, cernita, deposito”[iv].
Se così è, desta perplessità la scelta di sanzionare questa condotta in misura quasi sovrapponibile (per l’ipotesi di rifiuti pericolosi) a quella ben più rilevante di cui all’art 452 quaterdecies c.p.[v]
Senza contare il tema della inapplicabilità delle norme sul ravvedimento operoso di cui all’art. 452 decies c.p. (su cui infra).
4. Combustione illecita di rifiuti (art. 256 bis TUA)
Il decreto legge 116/2025 introduce modifiche sanzionatorie in aumento anche per questa tipologia di reato.
Proprio perché si tratta di norma direttamente correlata alle obiezioni contenute nella sentenza CEDU posta a fondamento della novella normativa, ci si sarebbe attesi una sua ridefinizione che tenesse conto delle (molte) critiche ricevute in passato.
Se possibile, invece, si va facendo peggio.
Permane la genericità di fondo che aveva sollevato perplessità in ordine alla adeguata tipizzazione del delitto sia rispetto al tema della ‘tossicità’ del rogo che rispetto alla quantità del rifiuto cui, in ipotesi, dovesse essere appiccato incendio[vi].
Tanto è vero che la Cassazione aveva chiaramente affermato che l’unico elemento specificante del reato dovesse essere considerato l’appiccare fuoco a dei rifiuti[vii] senza che rientrasse nel perimetro della norma il verificarsi o il pericolo di un danno ambientale o la messa in pericolo della incolumità delle persone.
In più, in una sorta di messa in opera della distopia cinematografica di Minority Report è introdotta una descrizione di condotta che, sul piano della concretezza processuale, ha del surreale: si dispone, cioè, che se i fatti di cui agli artt. 255 commi 1 e 1.1, 255-bis, 255-ter, 256 e 259 (quindi e ad es. l’abbandono di rifiuti) siano commessi “in funzione della successiva combustione illecita di rifiuti” si applicano le pene stabilite per quest’ultimo reato anziché quelle proprie della norma la cui condotta tipica sarebbe stata effettivamente integrata.
Forse il legislatore governativo era troppo preso dal tema ‘Terra dei Fuochi’ ove, sia pure con qualche salto logico, potrebbe pensarsi possibile questa correlazione probatoria di tipo intimistico, e tuttavia la norma si applica anche a Trieste o a Ragusa o a Potenza e lì, in assenza di correlazione territoriale col fenomeno, vi è da chiedersi quando e a che condizioni si integrerebbe l’illecito.
Quanto scritto circa dieci anni orsono può essere nuovamente ribadito: “nel novello art. 256 bis, dunque, ci pare di riconoscere un paradigma penalistico intriso di simbolismo efficientista, ma privo di una concreta prospettiva di efficienza. Ora come allora, infatti, la fattispecie di nuovo conio è salutata come l’estremo sforzo dell’ordinamento per porre rimedio ai disagi dei cittadini, dimenticando, però, come il diritto penale rappresenti l’extrema ratio delle politiche sociali, e come esso non possa avere alcuna prospettiva di successo, ove non assistito da altri strumenti di contenimento delle fonti del disagio sociale”[viii].
Resta da dire che anche questa ipotesi di reato è gratificata dalla introduzione delle ipotesi di pericolo alla incolumità delle persone o di pericolo di deterioramento o compromissione ambientale con conseguente aumento del livello sanzionatorio.
Con ciò, pertanto, rendendo ancora più evidente che la ‘tossicità’ dei roghi non è ritenuto elemento costitutivo del reato ‘base’, bensì lo diventerebbe solo nella sua forma più elaborata e arricchita dalla messa in pericolo di determinati beni tutelati (ora comma 3 bis).
5. Art. 259 (spedizione illegale di rifiuti) e 259 bis
L’art. 259 TUA viene rimodellato e la sua rubrica modificata in ‘spedizione illegale di rifiuti’.
Questa la nuova ipotesi di reato:
“Chiunque effettua una spedizione di rifiuti costituente spedizione illegale ai sensi degli articoli 2, punto 35 del regolamento (CE) n. 1013/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2006 e dell’articolo 3, punto 26 del regolamento (UE) n. 2024/1157 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è aumentata in caso di spedizione di rifiuti pericolosi”[ix].
Si tratta di violazioni che riguardano i presupposti per l’effettuazione di una spedizione regolare (p.es. Mancanza di determinate autorizzazioni, presenza di autorizzazioni ottenute fraudolentemente, ecc.).
L’art. 259 bis, invece, introduce una circostanza aggravante per i delitti di cui agli artt. 256, 256 bis e 259 (aumento di un terzo) laddove commessi in un contesto di tipo imprenditoriale.
Merita una menzione particolare, unita alla necessità di una meditata riflessione il secondo periodo dell’art. 259 bis secondo cui “il titolare dell’impresa o il responsabile dell’attività comunque organizzata è responsabile anche sotto l’autonomo profilo dell’omessa vigilanza sull’operato degli autori materiali del delitto comunque riconducibili all’impresa o all’attività stessa. Ai predetti titolari d’impresa o responsabili dell’attività si applicano altresì le sanzioni previste dall’articolo 9, comma 2, del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231”.
La norma sembra introdurre una specificazione di quanto previsto dall’art. 40 cpv. c.p. ma non si comprende a quale titolo: solo a titolo di dolo? Anche a titolo di colpa?
E con che sanzione?
Il profilo dell’omessa vigilanza come preordinata a non impedire un evento che si avrebbe avuto l’obbligo giuridico di contrastare non necessitava certo di essere specificato: sarebbe bastato l’art. 40 cpv. del codice penale.
Ma, allora, che cosa intende il legislatore con questa norma? Ciò anche in ragione del fatto che essendo prevista l’applicazione “ai predetti titolari” altresì delle sanzioni previste dall’art. 9 del D.Lgs. 231/2001 (tipicamente interdittive) se ne inferisce che si dovrebbero applicare anche le sanzioni ordinarie previste dai vari reati[x].
6. Delitti colposi in materia di rifiuti (art. 259 ter)
Questa la norma: “Se taluno dei fatti di cui agli articoli 255-bis, 255-ter, 256 e 259 è commesso per colpa, le pene previste dai medesimi articoli sono diminuite da un terzo a due terzi”.
Non si comprende, per la verità, l’esclusione dell’art. 256 bis (Combustione illecita di rifiuti) dal novero dei delitti cui estendere l’ipotesi colposa (ovviamente nelle parti in cui tale ipotesi sia concretamente applicabile).
7. Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale ed altro
L’art. 2 del decreto contiene marginali interventi sulle norme del codice penale.
Il più rilevante riguarda, a mio avviso, l’inclusione degli artt. 255 ter, 256 commi 1 bis, 3 e 3 bis, 256 bis e 259 nell’elenco dei delitti per cui non è possibile applicare l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
Abbiamo invece già fatto cenno alla introduzione nell’art. 452 quaterdecies (v. sub par. 2.2 e sub nota 5) dell’aumento sanzionatorio per l’ipotesi di messa in pericolo di determinati beni (incolumità, deterioramento o compromissione di beni ambientali).
Medesima clausola è introdotta nell’art. 452 sexies c.p.
Sul piano procedurale va segnalata l’introduzione di alcuni reati ambientali fra quelli per cui è prevista la possibilità di arresto in flagranza differito (art. 382 bis c.p.p.) e l’inclusione di buona parte dei delitti ambientali fra i reati per cui sono possibili operazioni sotto coperura con esclusione della punibilità per gli agenti operanti (art. 9 L.16.3.2006 n. 146).
Va infine considerato – e si tratta di conseguenza di non poco momento – che l’innalzamento sanzionatorio, da un lato, e il passaggio da contravvenzione a delitto per alcune fattispecie piuttosto diffuse (p.es. la discarica non autorizzata), dall’altro, comportano la possibilità di utilizzare strumenti investigativi di maggiore invasività, su tutti le intercettazioni telefoniche e ambientali che, come noto, possono essere disposte, ex art. 266 commi 1 e 2 c.p.p. in tutti i casi in cui la pena edittale sia superiore nel massimo a cinque anni. L’ intercettazione di comunicazioni fra presenti può essere eseguita anche mediante captatore informatico.
Ulteriore conseguenza automatica, in virtù degli aggravamenti sanzionatori, è la possibilità di procedere ad arresto in flagranza facoltativo in tutti i casi in cui la pena della reclusione non sia inferiore, nel massimo, a cinque anni.
Anche il fermo di indiziati di delitto (art 384 c.p.p.) è ora possibile in taluni casi: per esempio in caso di discarica non autorizzata con rifiuti pericolosi e messa in pericolo della incolumità individuale o creazione del rischio di deterioramento o compromissione di beni ambientali essendo la pena minima di due anni e quella massima superiore a sei.
Se si considera che, in precedenza, quest’ultimo reato era una contravvenzione che non avrebbe consentito alcun intervento cautelare (tantomeno la misura della custodia cautelare in carcere ora certamente applicabile ex art. 280 comma 2 c.p.p.) si ha la misura del balzo effettuato dal legislatore.
8. Misure di prevenzione e 231
Di notevole impatto pratico, infine, sia l’art. 5 che l’art. 6 del decreto legge.
Con la prima norma si prevede che il tribunale competente per l’applicazione delle misure di prevenzione (…) possa disporre l’amministrazione giudiziaria delle aziende o dei beni utilizzabili, direttamente o indirettamente da persone sottoposte a procedimento penale anche per i principali delitti ambientali previsti dal C.P. e dal TUA.
Con la seconda norma si aumentano le sanzioni pecuniarie in materia di responsabilità degli enti ex D.Lgs. 231/2001 e se ne estende l’applicabilità a taluni delitti ambientali in precedenza non inclusi (art. 25 undecies D.Lgs. 231).
9. Conclusioni
Questo intervento, anche ad una prima lettura, appare coerente con la politica giudiziaria adottata dal legislatore negli ultimi anni: l’aumento delle fattispecie penalmente rilevanti e/o l’incremento del loro trattamento sanzionatorio sembrano cioè rispondere ad una logica che privilegia il ‘messaggio’ (di tipo securitario) rispetto all’effettiva possibilità di conseguire risultati concreti.
Ciò si scrive nonostante alcune linee di tendenza possano anche risultare condivisibili rispetto alla precedente situazione certamente troppo lasca per alcune ipotesi di reato.
Ma la percezione che questo decreto legge abbia una funzione più ‘estetica’ che risolutiva è data dalla non particolare ampiezza delle ‘munizioni’ di cui si è inteso dotare il Commissario unico per il ripristino ambientale della Terra dei fuochi (art. 9 del decreto): al fine di consentirgli di realizzare gli interventi necessari, ivi compresi quelli di rimozione dei rifiuti abbandonati in superficie, è autorizzata la spesa di 15 milioni di euro per l’anno 2025.
Considerato che lo stesso Commissario, Gen. Vadalà, aveva prudenzialmente quantificato in alcune centinaia di milioni di euro la cifra necessaria a rimuovere parte delle criticità presenti (solo in quell’area, si noti bene), non pare vi siano i presupposti per una effettiva azione di bonifica del territorio. Senza contare l’incertezza sulla quantità e qualità del personale dispiegato in funzione di contrasto alla criminalità organizzata e non che ha nell’ambiente il bene giuridico maggiormente leso dal proprio agire criminale.
Ciò premesso, non resta che attendere ‘la prova sul campo’, con la speranza che i gravi problemi che assillano il paese in materia ambientale non trovino una soluzione solo a parole ma trovino risposte effettive in azioni efficaci e risolutive.
In sede di conversione, peraltro, dovranno essere affrontati e chiariti i non pochi nodi ermeneutici che questo provvedimento propone, alcuni dei quali anche di dubbia tenuta costituzionale.
Non si comprende, ad esempio, il mancato raccordo fra questa normativa e quanto previsto dall’art. 452 decies c.p. in tema di ravvedimento operoso: quale logica sottenda la scelta di prevedere un ravvedimento operoso per i delitti ambientali previsti dal codice penale e non per quelli del TUA resta un autentico mistero: ancora una volta si ha la sensazione che la “brusca accelerazione” data al varo della normativa “sia provenuta proprio dalla necessità di rispondere celermente alle ampie polemiche sollevate“ dalla decisione CEDU e dalla necessità di rispondere ad essa in qualche modo e purchessia [xi].
Ma a dimostrazione di una certa frettolosità nella strutturazione di questo corpo di norme va rilevato che, nonostante il legislatore stia intervenendo ad ampio spettro su tutto il settore dei reati ambientali, non si sia inteso correggere sbavature tanto evidenti quanto emblematiche: per esempio permane l’irritante richiamo all’art. 260 TUA (da anni abrogato) all’interno dell’art. 452 decies in tema di ravvedimento operoso nonostante tale richiamo sia stato dichiarato ‘irrilevante’ dalla Corte di Cassazione[xii].
Si confida, in sostanza, che in sede di conversione vengano operate robuste manovre correttive con l’obbiettivo di eliminare le asperità ermeneutiche e di operare un raccordo più puntuale fra le varie norme così da ridurre il più possibile le ragioni di incertezza e gli evidenti profili di criticità.
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NOTE:
[i] https://images.processopenaleegiustizia.it/f/sentenze/documento_lMGOM_ppg.pdf
[ii] Art. 10, comma 5 D.L. 14 marzo 2025 n. 25 convertito dalla L. 9 maggio 2025 n. 69 (sul punto senza modificazioni).
[iii] Per una riflessione sul punto v. Lo Monte, “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata (art. 256 D. Lgs. N.152/06) una riflessione su una, poco condivisibile, decisione dellaCorte di legittimità” in https://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2017/01/lo-monte_gp_2017_1.pdf
[iv] Cass. Pen., Sez. III, 07/06/2019, n.38753; Cass. Pen., Sez. III, 2 marzo 2015, n. 8979.
[v] Fermo restando che anche per quest’ultima norma è ora introdotto un aumento sanzionatorio (sino alla metà) quando “a) dal fatto deriva pericolo per la vita o per la incolumità delle persone ovvero pericolo di compromissione o deterioramento:
1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo;
2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna;
b) il fatto è commesso in siti contaminati o potenzialmente contaminati ai sensi dell’articolo 240 o comunque sulle strade di accesso ai predetti siti e relative pertinenze“.
[vi] Si rinvia per un approfondimento a Alberico, Il nuovo reato di combustione illecita di rifiuti, in https://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/upload/1392545278ALBERICO%202014a.pdf
[vii] Cass. Pen., Sez. III, 11/01/2021 n. 16346. Si veda anche: Cass. Sez. III, 18/12/2023 n. 50309.
[viii] Alberico, op.cit., pag. 7.
[ix] Il Regolamento n. 1013/2006 può essere rinvenuto qui: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX:32006R1013 ; mentre il Regolamento 2024/1157 può essere reperito qui: https://eur-lex.europa.eu/eli/reg/2024/1157/oj/ita
[x] L’avverbio ‘altresì’ pare avere univoco significato di ‘anche’, ‘inoltre’: il che induce a considerarlo nel senso di ‘in aggiunta a qualcos’altro’.
[xi]L’espressione sopra riportata è mutuata da Siracusa, La legge 22 maggio 2015, N. 68
sugli “ecodelitti”: una svolta “quasi” epocale per il delitto penale dell’ambiente, in
https://dpc-rivista-trimestrale.criminaljusticenetwork.eu/pdf/siracusa_2_15.pdf , pag. 198.
Si tratta di concetto che, valevole all’epoca, pare tanto più valevole ora.
[xii]Cass.Pen., Sez. III, 13/2/ 2025 n. 12514, punto 3 della motivazione in diritto.
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Rassegna del 26 Settembre, 2025 |
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