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ISSUE 406

COP29: come è andata a finire la Conferenza delle Parti sul Clima di Baku

Un accordo sulla finanza climatica che lascia tutti scontenti e non basta, ma è almeno un inizio: che cosa ci portiamo a casa (e cosa no) dalla COP29.

focus.it

COP29: come è andata a finire la Conferenza delle Parti sul Clima di Baku

La COP29, la Conferenza delle Parti sui Cambiamenti climatici terminata nelle prime ore di domenica 24 novembre 2024 a Baku, in Azerbaigian, si è chiusa con un accordo economico ritenuto insoddisfacente dai Paesi in via di Sviluppo, ma almeno non con un nulla di fatto.

 

I Paesi industrializzati dovranno destinare almeno 300 miliardi di dollari all'anno entro il 2035 a quelli in Via di Sviluppo, per supportare i loro tentativi di far fronte ai cambiamenti climatici. Una cifra tre volte superiore a quella di 100 miliardi l'anno entro 2025 contenuta nel vecchio obiettivo globale di finanza per il clima, ma nettamente inferiore ai 1.300 miliardi annui che secondo esperti indipendenti sarebbero necessari per far fronte alle più urgenti necessità imposte dalla crisi climatica.

 

L'accordo di finanza climatica alla COP29 di Baku, più nel dettaglio

 

Questi 300 miliardi l'anno in aiuti climatici (quello che in termini tecnici è il New Collective Quantified Goal, il Nuovo Obiettivo Quantitativo Globale 2025-2035) arriveranno in quota crescente entro 11 anni in forma di sovvenzioni a fondo perduto o in prestiti a basso tasso di interesse, in finanza pubblica e privata mobilitata, con i Paesi sviluppati nel ruolo di leader. I Paesi non ancora inseriti ufficialmente tra quelli sviluppati nella Convenzione ONU sul clima, ma che di fatto hanno ora un'elevata capacità contributiva e un peso rilevante nelle emissioni (Cina, Corea del Sud, Paesi OPEC del Golfo), sono incoraggiati a contribuire, ma senza alcun obbligo.

 

L'accordo auspica anche che, sempre entro il 2035, vengano mobilitati almeno 1.300 miliardi di dollari all'anno a livello globale da un'ampia varietà di fonti private e pubbliche ancora tutte da definire. Su questa seconda cifra, che è quella che secondo economisti indipendenti sarebbe più vicina ai bisogni del Sud globale, non c'è alcun vincolo giuridico. Rimane un'astratta aspirazione, un affronto per i Paesi più vulnerabili agli effetti della crisi climatica, che hanno bisogno di questi soldi subito, per opere di adattamento urgenti e che non prevedono alcun ritorno economico.

 

Ricordiamo che l'Articolo 9 degli Accordi di Parigi dice che: «Le Parti che sono paesi sviluppati forniscono risorse finanziarie per assistere le Parti che sono paesi in via di sviluppo per quanto riguarda sia la mitigazione che l'adattamento, continuando ad adempiere agli obblighi ad essi incombenti in virtù della convenzione». I fondi di cui si è deciso sono dunque dovuti, sono un obbligo finanziario per i Paesi che hanno costruito le loro economie sulle emissioni di combustibili fossili che hanno generato la crisi climatica.

 

Di questo diritto di accesso alla finanza climatica per le comunità più vulnerabili si fa un accenno molto vago, nei testi finali della COP29, e le cifre mobilitate danno la misura di quanto poco sul serio si prenda il problema.

 

Come ha scritto Ferdinando Cotugno su Areale, la newsletter del quotidiano Domani che ha seguito i lavori da Baku, «in politica i soldi sono sempre una misura esatta e credibile delle intenzioni».

 

COP29: il buco nell'acqua della mitigazione

 

Grandi delusioni sul tema della mitigazione, ossia delle misure necessarie a limitare il riscaldamento globale sotto quel +1,5 ° dall'era pre-industriale, nell'anno solare in cui quella soglia è stata per la prima volta ufficialmente superata. Non è stato raggiunto un accordo su come implementare il cosiddetto Global Stocktake, una sorta di bilancio globale che tiene conto dei progressi delle politiche sul clima dei vari Paesi negli ultimi 5 anni e che serve a correggere la rotta nel caso quegli sforzi non fossero sufficienti.

 

Alcuni Paesi, primo fra tutti l'Arabia Saudita, hanno tentato di sminuire il lavoro degli scienziati dell'IPCC, il Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici, che dovrebbe guidare gli obiettivi del Global Stocktake, e di discostarsi dall'impegno di abbandonare gradualmente le fonti fossili - quel "transitioning away" - sancito a fatica alla COP28 di Dubai. Non sono state menzionate misure concrete sulla diminuzione dei combustibili fossili, causa principale della crisi climatica, complice la Presidenza del Paese ospitante, l'Azerbaigian, che fonda il 90% del suo export sulla vendita di gas naturale e petrolio.

 

COP29: se ne riparla alla COP30

 

La COP29 ha per lo meno raggiunto un accordo sugli ultimi punti dell'Articolo 6 degli Accordi di Parigi, che regolamenta il mercato di scambio dei crediti di carbonio (per approfondire vi rimandiamo al bollettino, da Baku, di Italian Climate Network). Se ne discuteva da 10 anni. Ma si tratta di un successo parziale rispetto alla delusione su quasi tutti gli altri fonti.

 

Molte promesse, inclusa la rivalutazione degli impegni economici e l'istituzione di un canale di accesso speciale per i Paesi meno sviluppati e le Nazioni insulari ai fondi di adattamento, sono state rimandate alla COP30 che si terrà a Belém, in Amazzonia a novembre 2025, nel Brasile di Lula e della Ministra per l'Ambiente e del Cambiamento climatico Marina Silva. Ma saremo nel primo anno della Presidenza di Donald Trump, che ha già promesso di ritirare gli Stati Uniti dagli Accordi sul clima.

 

Elisabetta Intini

 

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