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ISSUE
406
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ilsole24ore.com
La rendicontazione della sostenibilità è ormai prassi consolidata per le imprese internazionali di grandi dimensioni. È quanto emerge dall’ultima edizione del report biennale “Sustainability Report” di Kpmg, che analizza la documentazione relativa alla sostenibilità di 5.800 aziende in 58 Paesi e giurisdizioni. La ricerca offre un’analisi completa dei progressi attuali in ambito di reporting di sostenibilità delle più grandi aziende del mondo e include dati sulle 100 principali aziende mondiali (N100) per i singoli Paesi analizzati e sulle 250 maggiori aziende mondiali per fatturato (G250). Per queste ultime, il reporting su Esg e sostenibilità è una attività che vede impegnato il 96% del campione, lo stesso dato registrato nel 2020 e nel 2022. Nove degli 11 casi in cui non si effettua la rendicontazione interessano aziende cinesi, le altre due Indonesia e Russia. Tra le N100, invece, il 79% riferisce sulla sostenibilità, come due anni fa. Il settore della silvicoltura e carta è quello più attivo sul fronte della rendicontazione per le N100 (89%), seguito da automobilistico (86%) e servizi pubblici (85%). Le aziende sanitarie sono le meno propense, con il 67% dei gruppi N100 che effettua questo tipo di reporting.
Obiettivi e remunerazioni dei manager
«La rendicontazione della sostenibilità – commenta Lorenzo Solimene, partner Kpmg Advisory Sustainable Trasformation – interessa un numero crescente di imprese anche nei Paesi emergenti. Nell’ultimo biennio i dati non presentano cambiamenti significativi perché le aziende sono ormai consapevoli che il bilancio e il report di sostenibilità non rappresentano più solo elementi distintivi ma sono passaggi richiesti dal mercato, sulla spinta delle normative, anche locali, e delle nuove esigenze dei clienti e della catena di fornitura, che sempre più richiedono trasparenza e responsabilità da parte dei fornitori. Rilevante la crescita del numero di aziende che ha scelto di collegare la remunerazione del top management a obiettivi di sostenibilità, il 41% delle aziende Global Fortune 250. Aumentano anche la disclosure sugli indicatori legati all’emissione di CO2 e la definizione di obiettivi di decarbonizzazione, sia nelle aziende più grandi sia nelle N100».
Il 95% delle 250 principali aziende mondiali per fatturato, secondo l’analisi, pubblica già obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio, mentre il 56% ha un responsabile della sostenibilità. Quasi un terzo delle 100 principali aziende considera la sostenibilità nei sistemi di remunerazione del management.
Le sei tendenze in atto
L’indagine Kpmg evidenzia sei principali tendenze in tema di rendicontazione della sostenibilità che si stanno affermando a livello internazionale.
La prima interessa le attività di reporting stesse e la definizione di obiettivi di riduzione delle emissioni di carbonio, che si affermano come parte integrante delle attività aziendali. Alcune aziende, inoltre, hanno già modificato le loro prassi di reporting in vista del passaggio alla rendicontazione obbligatoria sulla sostenibilità ai sensi della Csrd - Corporate sustainability reporting dell’Ue. La direttiva, per il primo anno, sarà applicata a un gruppo iniziale di aziende per la rendicontazione sugli esercizi finanziari che terminano il 31 dicembre 2024, ma sarà ampliata ad altre realtà che rientrano nel campo di applicazione della direttiva fino ad arrivare al 2029. Quasi la metà delle aziende europee nella ricerca ha già rendicontato gli indicatori previsti dalla Tassonomia Ue. L’Italia è tra i Paesi con i più alti livelli di aziende N100 che fanno riferimento a questo strumento (61 per cento). Il terzo trend interessa la doppia rilevanza (società e ambiente), richiesta dalla Csrd, utilizzata già dalla metà delle maggiori aziende G250.
Ancora: le linee guida e gli standard volontari rimangono ampiamente utilizzati. Il Gri rimane lo standard più diffuso, con tre quarti delle aziende G250 che lo utilizzano e una proporzione quasi altrettanto alta dei gruppi N100. Un’altra tendenza interessa l’adozione delle raccomandazioni della Task Force on Climate-Related Financial Disclosures, in continua crescita. Infine, aumenta anche la rendicontazione sulla biodiversità: circa la metà sia dei gruppi G250 che N100 riporta su questo tema. Nota critica per l’Italia, che – con Estonia e Vietnam – registra i livelli più bassi di rendicontazione della biodiversità, con meno di un quinto delle aziende campionate che rendicontano questa tematica in modo approfondito e con indicatori dedicati. «La disclosure sulla biodiversità presenta margini di miglioramento – spiga Solimene -, sia in termini di rendicontazione che di gestione. Nelle prossime indagini prevediamo dati in aumento, non solo per le imprese italiane».
Sostenibilità, non solo ambiente
Nonostante alcuni chiari progressi negli ultimi anni nella rendicontazione climatica, c’è ancora molto da fare, in particolare sugli aspetti sociali e di governance. Le aziende continuano a trovare un difficile equilibrio nella rendicontazione della sostenibilità, tra una tendenza verso la rendicontazione positiva dei progressi e le descrizioni qualitative dell’impatto sull’ambiente, sulla società e sull’azienda stessa. «Gli aspetti ambientali restano prevalenti, anche in funzione di quanto richiesto dai diversi standard – conclude Solimene -. Se guardiamo agli standard della International Financial Reporting Standards Foundation, il primo creato è legato al climate change, la disclosure ambientale rimane preponderante. Le linee guida degli standard Gri, però, prevedono una serie di disclosure sui temi sociali, come la gestione dei diritti umani nella value chain».
Daniela Russo
Rassegna del 06 Dicembre, 2024 |
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