La Newsletter di ESO
ISSUE 410

La Romania sta diventando la discarica europea dei rifiuti tessili

greenpeace.org

La Romania sta diventando la discarica europea dei rifiuti tessili

In un’epoca segnata dal fast fashion, dove i vestiti vengono acquistati e gettati via con una rapidità impressionante, spesso si tende a pensare che gli abiti dismessi possano avere una seconda vita. Tuttavia la realtà è ben diversa, come dimostra il caso della Romania che sta diventando la discarica d’Europa per i rifiuti tessili.

 

Ogni settimana, il Paese importa tra 50 e 100 camion carichi di abiti di seconda mano, principalmente provenienti dalla Germania. Tra il 2020 e il 2023, sono arrivate oltre 125.000 tonnellate di vestiti usati, con la Germania che ha contribuito per metà di questa cifra. Ma anche aziende italiane sembrano essere coinvolte. Numeri da capogiro che mettono in evidenza una tendenza inquietante: i Paesi più poveri stanno diventando vittime di un “colonialismo dei rifiuti” responsabile di una drammatica crisi sanitaria e ambientale.

 

La valle del Jiului soffoca sotto i rifiuti tessili

 

Un tempo centro dell’attività mineraria, oggi la valle del Jiului è un punto di arrivo per migliaia di tonnellate di scarti che – in teoria – dovrebbero essere abiti usati, ma che in realtà invece restano in gran parte inutilizzabili. Questi vestiti, troppo rovinati per essere venduti, vengono abbandonati illegalmente in corsi d’acqua e nei campi, dove vengono spesso bruciati, inquinando gravemente l’ambiente, l’acqua e il suolo. 

 

Le conseguenze sulla salute dei residenti sono devastanti. La maggior parte di questi abiti è fatta di fibre in plastica che rendono difficile il loro riciclo. Nel tempo, gli abiti depositati nei corsi d’acqua finiscono per scomporsi in piccole particelle di fibre di plastica che possono finire a loro volta nella catena alimentare, attraverso l’acqua o attraverso il cibo che le persone mangiano, come spiega Maddy Cobbing, ricercatrice per la campagna Overconsumption and Detox di Greenpeace Germania. 

 

Oggi la valle del Jiului è considerata la regione della Romania con i maggiori problemi a livello nazionale per quanto riguarda i rifiuti tessili. Almeno tre grandi aziende della Jiului Valley sono sotto inchiesta da parte dei procuratori per il ruolo chiave che rivestono nell’importazione illegale di rifiuti. 

 

Il colonialismo dei rifiuti tessili

 

Molti di questi rifiuti tessili provengono da aziende e negozi che si occupano di abiti di seconda mano in Europa. Ma come arrivano in Romania? La risposta sta nel meccanismo di smaltimento dei rifiuti di Paesi che inviano i propri rifiuti in altri stati perché, ad esempio, non hanno abbastanza spazio nelle discariche cittadine, non hanno le strutture necessarie per riciclare i rifiuti oppure perché, pur avendo le strutture, il trattamento dei rifiuti risulta molto costoso. Basti pensare che – secondo quanto riportato dagli ispettori ambientali – in Germania, lo smaltimento di una tonnellata di rifiuti tessili costa circa 500 euro, mentre in Romania, lo smaltimento della stessa quantità di rifiuti, nello stesso tipo di discarica, costa circa 40 euro.

 

La Romania è così diventata un punto di raccolta per gli scarti europei, spesso mascherati da abiti usati inutilizzabili. Secondo le indagini di Rise Project, le aziende che si occupano dell’importazione acquistano vestiti in sacchi neri, dove articoli di bassa o pessima qualità vengono mescolati con abiti indossabili. I contratti stipulati non permettono agli acquirenti di ispezionare la qualità dei vestiti né di restituirli. Questo meccanismo permette a questi rifiuti di finire, in gran parte, nelle mani di aziende che li bruciano o che li smaltiscono in discariche abusive o nei letti dei fiumi. Le rive del fiume Jiu, ad esempio, sono diventate vere e proprie discariche a cielo aperto dove spesso le comunità povere raccolgono vestiti e calzature da bruciare al posto della legna da ardere, troppo costosa da acquistare.

 

Ad alimentare il flusso di questi rifiuti è soprattutto la Germania, che tra il 2020 e il 2023 ha inviato in Romania oltre 125.000 tonnellate di vestiti, ovvero metà del volume totale importato. Ma non è tutto. Secondo l’inchiesta Rise Project, anche dei rivenditori collegati alla mafia italiana avrebbero firmato contratti per spedire rifiuti tessili illegali nei cementifici rumeni.

 

L’industria della moda deve essere ripensata in chiave sostenibile

 

La Romania sta vivendo un dramma ambientale e sanitario a causa dell’importazione massiva di rifiuti tessili mascherati da abiti di seconda mano. L’incapacità di gestire questi rifiuti, unita a un sistema che favorisce il loro smaltimento illegale, sta portando il Paese a diventare una discarica a cielo aperto. È urgente che l’Europa prenda misure per regolamentare il commercio di abiti usati, limitare le importazioni ai soli capi che possano davvero avere una seconda vita e garantire che il ciclo di vita dei vestiti sia davvero sostenibile, evitando che i Paesi più vulnerabili diventino il ricettacolo dei nostri scarti.

 

Il fenomeno del fast fashion gioca un ruolo cruciale in questa crisi: l’acquisto e il consumo sfrenato di abiti a basso costo, che rapidamente perdono valore, alimenta una spirale di spreco che non solo danneggia l’ambiente ma aggrava anche le disuguaglianze globali, costringendo i Paesi più poveri a sopportare il peso dei nostri rifiuti. È ora che le grandi aziende di moda si assumano la responsabilità dell’intero ciclo di vita dei loro prodotti, comprese le fasi di smaltimento e riciclo, tramite un sistema efficace di “Responsabilità estesa del produttore” (EPR) a livello globale. Non possiamo restare a guardare: la moda deve diventare un’industria virtuosa e a misura di pianeta.

 

Giuseppe Ungherese

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