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ISSUE 426

Campi senza contadini - Shanghai guida l’agricoltura del futuro

linkiesta.it

Campi senza contadini - Shanghai guida l’agricoltura del futuro

Dalla cooperativa Tushibao alla strategia nazionale per digitalizzare la filiera, la Cina sperimenta un’agricoltura in cui trattori e droni sostituiscono il lavoro manuale. L’innovazione non è solo tecnica ma anche sociale: rendere attraente l’agricoltura per le nuove generazioni.

 

C’è un dipartimento di Stato, in Cina, fatto di persone che vanno in giro per il mondo a capire quali sono le tecnologie più efficaci e produttive per migliorare le rese agricole. Incontrando uno di questi funzionari, è evidente la motivazione: se per noi della parte fortunata del mondo il tema è diventato nel tempo preservare il suolo e coltivare con attenzione, limitando interventi chimici, per chi ha milioni di persone da nutrire il tema è ampliare il più possibile le rese dei campi. E proprio per questo, quando la chimica non basta, nei terreni di Songjiang, alla periferia di Shanghai, il riso cresce sotto l’occhio vigile di sensori, droni e macchine autonome. La cooperativa Tushibao, guidata da He Yangyang, ha messo a sistema un centro di comando digitale che controlla operazioni – aratura, semina, irrigazione, raccolta – con un coinvolgimento umano minimo, soprattutto per supervisione tecnica. L’obiettivo dichiarato di Shanghai è ambizioso: portare entro l’anno oltre 6.666 ettari di agricoltura automatizzata, per rispondere all’esigenza di produttività in un contesto di scarsità di manodopera e giovani poco inclini al lavoro in campo.

 

Questa strategia si sposa con le performance già vistose nella resa cerealicola: l’anno scorso Shanghai ha raggiunto una produzione di 7,54 tonnellate per ettaro, cifra che la colloca fra le regioni più performanti del Paese nel settore riso, come racconta il South China Morning Post. Sebbene la superficie agricola sia relativamente modesta e la popolazione contadina limitata, la città punta quindi a trasformare i limiti strutturali in un laboratorio di innovazione.

 

La motivazione non è solo produttiva, ma profondamente generazionale: i giovani preferiscono evitare il lavoro manuale tradizionale. Una novità per la Cina, una certezza per l’Europa, che ci fa capire come lo sviluppo porti necessariamente all’allontanamento dai lavori pesanti e manuali. Come afferma lo stesso He Yangyang, «non vogliono lavorare con il viso nella terra e la schiena sotto il sole». Se l’agricoltura di domani vuole sopravvivere, deve offrire un’alternativa in cui si interagisce con software, dati e robot abbandonando zappa e fango.

 

Il progetto di Shanghai si inserisce in una più vasta strategia nazionale: dalle serre digitali dello Zhejiang ai cluster sperimentali come la Fuxi Farm, alla spinta sullo smart farming nel piano quinquennale 2024–2028, la Cina scommette sull’agricoltura tecnologica per garantire sicurezza alimentare, ridurre i costi di produzione e contenere i rischi climatici. Ma questa trasformazione non è neutra: chi non ha accesso alle tecnologie rischia di restare tagliato fuori. Resta la domanda su chi controllerà i dati, chi possiede le infrastrutture e come sarà distribuito il valore generato.

 

Il confronto internazionale aiuta a mettere in prospettiva il percorso cinese. Le rese del riso variano molto a seconda delle tecnologie impiegate, delle pratiche agronomiche e delle condizioni locali.

 

In Cina, le rese medie del riso oscillano attorno a 6,5 t/ha nei campi irrigati, fra le più alte in Asia. Nel 2024, la resa dei cereali è stata di 5,92 t/ha per l’intero comparto, con il “early rice” che ha registrato 5,93 t/ha (National Bureau of Statistics of China). In contesti sperimentali, varietà ibride hanno raggiunto picchi record di oltre 20 t/ha, ma in condizioni non riproducibili su larga scala. In Italia, la resa media del riso è intorno a 6–6,8 t/ha secondo USDA e EPPO, con variazioni legate a clima e condizioni idriche. La siccità del 2022 ha portato la produzione totale a 714.000 tonnellate di riso lavorato, in calo rispetto agli anni precedenti (dati World Grain). Nel mondo, molte aree del Sud-est asiatico e dell’Asia meridionale producono ancora tra 3 e 5 t/ha, segno che la differenza non è solo varietale o climatica, ma soprattutto tecnologica. L’esperimento di Shanghai, quindi, non è un episodio isolato: racconta una traiettoria globale che spinge l’agricoltura verso automazione, digitalizzazione e nuove forme di organizzazione sociale ed economica.

 

Se guardiamo allo scenario globale, molte regioni conservano valori inferiori alle medie cinesi: questi confronti mettono in evidenza come, per Shanghai e la Cina, i valori produttivi alti non siano frutto del caso, ma del combinato di genetica avanzata, irrigazione efficiente, fertilizzazione calibrata e – ora – automazione e digitalizzazione. Nel contesto italiano, l’innovazione può spingere verso l’ottimizzazione delle pratiche, la riduzione degli sprechi idrici e l’adozione di strategie di agricoltura di precisione, ma il margine di salto rispetto ai leader asiatici resta significativo.

 

Anna Prandoni

 

Foto: Quang Nguyen Vinh da Pexels

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