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ilsole24ore.com
Le alluvioni sono sempre più frequenti, anche in Italia, a causa dell’instabilità climatica in aumento. Talvolta, però, un evento estremo può essere all’origine di una svolta. Il 2 luglio 2011 una tempesta torrenziale si abbattè su Copenaghen, causando danni per oltre 2 miliardi di dollari. Il disastro fu il campanello d’allarme che ha spinto la capitale danese a trasformarsi in una “città spugna”, con un vasto programma di riassetto del paesaggio urbano per assorbire meglio i nubifragi. Alcune città, come Londra o Berlino, beneficiano di caratteristiche naturali, grandi parchi e spazi verdi che aiutano a drenare rapidamente l’acqua in eccesso. Altre, come Copenaghen, devono progettare attivamente soluzioni in risposta alle minacce climatiche, ampliando gli spazi verdi e le infrastrutture innovative.
Milano si fa avanti
Questa “spugnosità”, ovvero la capacità di assorbire l’acqua piovana senza danni per i propri abitanti, è ormai un indicatore chiave della resilienza climatica di un’area urbana, infatti anche nella città metropolitana di Milano sono in corso ben 90 interventi in 32 Comuni per prevenire le alluvioni. Il progetto, realizzato in collaborazione con il gruppo Cap, è finanziato con oltre 50 milioni di euro dal Pnrr e arriverà a conclusione a marzo 2026. A oggi sono 30 i cantieri conclusi e 19 quelli in corso d’opera, ma per adesso non hanno ancora risolto il problema delle esondazioni del Seveso e del Lambro, come si è visto la settimana scorsa.
Chi ha sviluppato il modello della città-spugna?
Il concetto di “città spugna” è attribuito all’architetto paesaggista cinese Kongjian Yu ed è entrato a far parte della politica urbanistica cinese nel 2014. Yu, fondatore dello studio Turenscape, ha vinto l’ultimo Oberlander Prize, uno dei più importanti premi di architettura, nato proprio con l’obiettivo di stimolare l’adattamento alle nuove condizioni climatiche, in onore della famosa paesaggista canadese Cornelia Hahn Oberlander. Cresciuto nella Cina rurale, Yu ha studiato l’ingrossamento stagionale dei corsi d’acqua e il ruolo della vegetazione nel rallentarne l’impeto. Ma, come ha spiegato ricevendo il premio, è stata l’esperienza in prima persona del devastante effetto delle “infrastrutture grigie” sul paesaggio urbano a spingerlo a sviluppare il concetto di città spugna. Per Yu, il punto di svolta è stato il disastro di Pechino del 2012: la peggiore alluvione nella storia della metropoli con 80 morti e oltre ottomila case distrutte. Le città, secondo Yu, devono lavorare in sintonia con la natura, anziché affidarsi esclusivamente a infrastrutture grigie come tubature e pompe. La sua idea è applicare sistemi di drenaggio naturale nei siti urbani per trattenere l’acqua e rallentare il deflusso delle piogge nei fiumi, riducendo così la probabilità di esondazioni e mitigando carenze idriche e isole di calore durante il periodo estivo.
Le soluzioni basate sulla natura sono più convenienti
La spugnosità di una città è influenzata dall’equilibrio tra infrastrutture blu (corsi d’acqua), verdi (erba, alberi) e grigie (edifici, superfici impermeabili). Il tipo di terreno e la vegetazione, così come il potenziale di deflusso dell’acqua, giocano un ruolo importante. I terreni sabbiosi sono generalmente più spugnosi di quelli argillosi, ma anche la profondità della falda freatica ha un impatto. Se la falda freatica è vicina alla superficie, come ad esempio a Milano dove continua a salire, questo riduce la capacità di assorbimento del terreno. Auckland è in cima alla lista delle città più “spugnose” del mondo, secondo una ricerca condotta su dieci grandi città dalla società di servizi ingegneristici Arup. Metà del territorio di Auckland è coperto da infrastrutture verdi o blu, contro il 39% di New York e il 31% di Londra. In questa ricerca, elaborata con il World Economic Forum, Arup ha dimostrato che le soluzioni basate sulla natura sono in media del 50% più convenienti rispetto alle alternative puramente artificiali e forniscono il 28% di benefici in più, sia diretti che ambientali.
Il caso di Copenaghen
Copenaghen offre un esempio di città che si sta trasformando proattivamente in una spugna. Spronata dal disastro del 2011, la capitale danese ha lanciato un “Piano di gestione dei nubifragi” per proteggersi dalle precipitazioni estreme e dall’innalzamento del livello del mare. Oggi, centinaia di progetti sono stati realizzati in città e dintorni, mentre altre centinaia sono in fase di sviluppo, a partire dai più piccoli - fossi erbosi che trattengono e filtrano l’acqua piovana (bioswale), giardini tascabili, tetti verdi, cortili e parcheggi permeabili, piante che assorbono l’acqua - fino ai grandi parchi e bacini. Il piano combina infrastrutture verdi - come il Parco Enghave, progettato per rallentare il deflusso dell’acqua, o la piazza permeabile intitolata a Karen Blixen - con infrastrutture grigie, come grandi tunnel sotterranei per immagazzinare e deviare il deflusso delle acque piovane. Questo approccio ibrido ha reso Copenaghen un modello globale per l’adattamento climatico.
Alluvioni più frequenti
«Abbiamo proiezioni su come sarà la città nel 2100 e su dove si abbatterà la crisi climatica», spiega Christian Nyerup Nielsen, direttore per l’adattamento climatico di Ramboll, la società di consulenza che ha firmato i nuovi progetti per diverse aree di Copenaghen. «Dobbiamo prevedere gli eventi meteorologici estremi che si verificheranno tra un secolo», aggiunge. In base a uno studio dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), uscito l’anno scorso su Nature, nei prossimi decenni i centri urbani nelle zone temperate saranno soggetti a piogge più intense e frequenti, con un raddoppio in frequenza delle alluvioni “secolari” nel 40 per cento del globo entro il 2050. Con 4 miliardi e mezzo di persone che ormai vivono in città, limitare l’impatto delle bombe d’acqua e delle inondazioni attraverso una pianificazione urbana innovativa sarà fondamentale.
Elena Comelli
Foto: ilsole24ore.com
Rassegna del 10 Ottobre, 2025 |
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