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ISSUE 423

Cammini bene comune? Sì se servono a rivitalizzare i territori che attraversano

Prestando attenzione ai fenomeni di massificazione degli itinerari a piedi più battuti, i cammini posso diventare strumento per sostenere dal punto di vista sociale ed economico le piccole comunità.

italiachecambia.org

Cammini bene comune? Sì se servono a rivitalizzare i territori che attraversano

In questa estate pazzerella in cui si alternano denunce di fenomeni di overtourism nelle più celebrate località alpine e lamentele su un calo del turismo balneare, qualche dato preoccupante arriva anche dal mondo dei Cammini. È notizia di questi giorni che anche nel settore del turismo lento, soprattutto a piedi, si stanno registrando dei vistosi cali rispetto alla stagione precedente. Le somme, in una forma di turismo fortemente destagionalizzato, conviene tirarle a fine anno, ma approfitto per riprendere e rafforzare qualche riflessione che vado condividendo da tempo. 

 

I Cammini – e in parte anche l’escursionismo classico – hanno attraversato negli ultimi anni una fase di crescita interessante anche sulla spinta di un turismo interno forzato dalla pandemia. Ricordiamo tutti le immagini della marea di turisti riversatasi nelle località montane durante l’estate del 2021, con il conseguente aumento della fruizione di sentieri e Cammini. Per gli itinerari storico culturali fin dal 2019, dopo le politiche di promozione statali e regionali, si era ottenuto il significativo risultato per cui gli italiani avevano camminato più nella Penisola che lungo il Cammino di Santiago. 

 

In poco tempo la rete dei Cammini ha avuto una crescita esponenziale in ogni angolo del Paese, con l’illusione che ogni itinerario potesse diventare un vero e proprio prodotto turistico. Purtroppo però non è così. Non è possibile pensare che basta realizzare un itinerario, promuoverlo mettendoci anche parecchi soldi, perché possano arrivare tanti fruitori e quindi ricchezza per i territori attraversati. 

 

Che la flessione di questa primavera-estate possa dipendere anche da questa bulimia di itinerari non è detto, ma che in parte abbia influito è sicuro. Ci sono senz’altro fattori climatici che hanno disincentivato una fruizione nel mese di giugno dovuta a un caldo eccezionale, come potrebbe avere influito un rincaro generalizzato delle strutture turistiche più altri fattori da esaminare con più attenzione. 

 

Un dato è certo e qui entro nel pieno delle mie riflessioni: i Cammini, se devono durare nel tempo, non possono essere pensati solo come prodotto turistico. Quindi nessun problema nel voler continuare a creare itinerari ad anello o di media/lunga percorrenza lineare se rappresentano un modo per tornare a conoscere meglio un singolo territorio e se sono in primis uno strumento a servizio della crescita culturale e sociale delle comunità. Il problema subentra quando si pensa che ogni itinerario possa avere i numeri e il successo della Via degli Dei, dei Borghi Silenti, del Cammino di San Benedetto o di alcuni itinerari francescani; solo per fare qualche esempio.

 

Si parla molto in quest’ultimo periodo di come far rinascere le aree interne, un dibattito rinvigorito dall’idea malsana di chi le vorrebbe considerare in un declino irreversibile. I Cammini in questa rinascita possono fare la loro parte se, come scrive la ricercatrice Mariella Stella in un suo contributo pubblicato su Vita.it, a essere coinvolto per la costruzione di un nuovo futuro delle aree interne deve essere  il terzo settore.  

 

Un passaggio del suo articolo mi sembra molto significativo: “ Al di là delle aspettative iniziali e della disillusione successiva, ancora una volta, in moltissimi casi, i fondi hanno costruito cattedrali nel deserto, spazi nuovi e bellissimi privi di gestione e di visione, strade non percorse da auto e piazze vuote. Non basta costruire o ristrutturare luoghi se mancano le visioni, se manca la capacità di abitarli. E l’unica strada possibile per farlo è considerare il Terzo settore un alleato fondamentale per costruire progettualità condivise”.

 

I Cammini, che ormai attraversano ogni angolo del Paese toccando nel 90% dei casi le aree interne dello Stivale, possono diventare lo spazio geografico dove sperimentare quei patti di collaborazione e di sussidiarietà in cui l’associazionismo locale può recitare un ruolo da protagonista. Gli itinerari che diventano strumenti di nuova conoscenza e gestione del territorio. Luoghi dove sperimentare una cura collettiva del paesaggio che possa aiutare la ricostruzione di un nuovo spirito comunitario.

 

Non bisogna dimenticare che anche il più piccolo villaggio montano ha subito frammentazioni e spaesamenti legati ai decenni di colonizzazione urbana e che oggi esistono, per fortuna, nuove fioriture sociali e culturali. Girando in lungo e largo il Paese si possono raccogliere queste nuove realtà che provano a creare comunità legate fortemente al territorio, esperienze nate dal basso ignorate spesso dalle istituzioni ma con eccezioni sulle quali costruire modelli a livello nazionale. 

 

Le mode passano mentre gli itinerari che diventano patrimonio di nuove comunità locali rimarranno nel tempo

 

I Cammini, nella mia visione di futuro, devono stare dentro questo processo virtuoso di costruzione di patti di collaborazione territoriale per fare in modo che il risvolto turistico sia solo una parte delle motivazioni che spingono alla costruzione dell’itinerario. Il concetto deve essere quello della gestione di un bene comune che si inserisce in una visione più generale di promozione sociale, culturale ed economica del territorio. D’altra parte la costruzione di un Cammino se gestito dalle comunità locali, ha bisogno di bassissimi investimenti e invece anche qui stiamo assistendo ad una preoccupante distorsione. 

 

Si investono molti soldi per alcuni Cammini senza nessun processo partecipativo e la completa mancanza di una pianificazione riguardo al tema della manutenzione nel tempo. La cura degli itinerari dovrebbe essere lo strumento fondamentale per mantenerli nel tempo e farli diventare patrimonio collettivo di conoscenza e gestione. Insomma turismo sì, ma non avulso dalle altre funzioni sociali e culturali che dovrebbero svolgere i Cammini per un futuro che ridisegni nuovi modi di abitare.

 

Un itinerario che punta solo a diventare un prodotto turistico è vincolato alle mode del momento e ne subisce le distorsioni legate a fruizioni non sempre consapevoli – sta già accadendo nei Cammini di maggiore successo. Le mode passano mentre gli itinerari che diventano patrimonio di nuove comunità locali rimarranno nel tempo; basta inserirli in una nuova visione di futuro. 

 

Paolo Piacentini

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