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I più attenti l’avranno notato: anche a Milano Unica da alcune edizioni sono presenti tessuti realizzati con cotone ottenuto da colture rigenerative.
Così, mentre il cotone biologico si mantiene su volumi marginali, il cotone da colture rigenerative sembra essere uno dei nuovi protagonisti della moda sostenibile per quanto siano difficilmente quantificabili i volumi ad oggi prodotti non essendo ancora definito un quadro normativo in grado di rendicontarne le produzioni. E’ quanto evidenzia Textile Exchange secondo cui non è possibile parlare di una certificazione dell’agricoltura rigenerativa proprio per la particolarità di questo metodo di coltivazione. Come spiegato nel sito della fondazione ‘gli approcci sono plasmati dal luogo, dal contesto e dalle comunità, il che significa che non esiste una definizione univoca e adatta a ogni caso d’uso. Si tratta piuttosto di dare forma a soluzioni basate sul territorio, progettate in base alle persone e ai contesti ambientali’. La scelta di Textile Exchange è stata pertanto quella di sviluppare il Regenerative Agriculture Outcome Framework che contiene indicazioni di lavoro, indicatori per rendere misurabili i risultati sull’ambiente, sugli spetti sociali e sul welfare animale, il tutto incoraggiando la collaborazione tra gli attori della filiera coinvolti.
Ma perché se ne parla tanto?
Il grande vantaggio dell’agricoltura rigenerativa è che la lavorazione del terreno è ridotta al minimo necessario evitando al suolo lo stress di lavorazione meccaniche e chimiche aggressive ed ottenendo così uno strato di radici per la crescita di una popolazione microbica sana e un terreno più stabilizzato ed idratato. Queste pratiche, oltre agli ammendanti organici, possono quindi ridurre l’impatto degli eventi di siccità aumentando la salute del suolo. Il vantaggio non è però solo ambientale: l’agricoltura rigenerativa riduce l’uso di concimi, pesticidi e naturalmente diserbanti, e questo si traduce anche in un risparmio economico per gli agricoltori. Il secondo grande vantaggio è che il cotone rigenerativo non esclude che possa essere ottenuto da semi OGM. Che sia quindi destinato a crescere in volumi è facilmente prevedibile e questo trend è confermato dalle strategie adottate da colossi dell’agricoltura come Cargill negli USA e in Brasile.
Tracciare e monitorare
Ma come garantire al consumatore che l’articolo in cotone acquistato sia ottenuto da pratiche agricole più sostenibili in quanto appunto rigenerative? Anche in questo caso si assiste ad un cambiamento di approccio: non si parla infatti di certificazioni come nel caso del cotone biologico ma di sistemi di tracciamento del lotto dal campo al prodotto finito grazie all’uso di geolocalizzatori e sistemi di monitoraggio digitali. Un esempio è fornito da Cargill che nel 2024 ha siglato un accordo con l’azienda tecnologica tessile FibreTrace per tracciare in tempo reale l’origine del cotone sgranato. Alle fibre, una volta raccolte dal campo, viene infatti aggiunto un pigmento ceramico bioluminescente, più fine di un granello di polvere con un colore specifico per ogni lotto di cotone, praticamente come si usa fare per contrassegnare banconote e passaporti. Dopo aver scansionato il pigmento impresso nella fibra, questo può essere tracciato lungo tutta la filiera, identificato e verificato in loco. I dati vengono caricati su Blockchain e possono così essere condivisi sulla piattaforma dai soggetti della filiera raccontando la storia e l’autenticità del cotone fino al capo finito. L’obiettivo dell’azienda è quello di marchiare già nel prossimo raccolto oltre 50.000 tonnellate metriche di cotone grezzo statunitense e brasiliano.
Aurora Magni
Photo: Sze Yin Chan su Unsplash
Rassegna del 30 Agosto, 2025 |
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