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ISSUE
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ilsole24ore.com

Un credito di carbonio è un attestato di riduzione o cattura della CO2 equivalente, riconosciuto a un progetto. Tuttavia non tutti quelli che riducono e catturano emissioni sono automaticamente eleggibili per diventare crediti. Devono soddisfare dei criteri minimi: la riduzione o la cattura deve essere permanente, reale, misurabile, il progetto deve presentare un’addizionalità normativa (quindi non rispondere semplicemente a un obbligo di legge) e un’addizionalità economica. Deve cioè dimostrare che la vendita del beneficio ambientale è il suo fondamentale sostentamento.
I crediti di carbonio servono per bilanciare le emissioni di gas serra di un soggetto che le produce, azienda o Paese. Questo, acquistandoli, finanzia i progetti che riducono, evitano o rimuovono le emissioni dall’atmosfera. I crediti sono emessi da enti terzi e certificati da organismi specializzati. L’International Emissions Trading Association custodisce un elenco degli standard riconosciuti a livello internazionale come i più affidabili. Un credito equivale a una tonnellata di CO2 equivalente evitata o rimossa dall’atmosfera. Nell’acquisto risponde alle regole del mercato.
Le soluzioni
«I crediti di carbonio hanno origine nel Protocollo di Kyoto, adottato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005. Con l’obiettivo di tagliare le emissioni, si è pensato di ottimizzare le risorse, premiando - tra tutte le tecnologie disponibili - la soluzione al minor costo marginale di abbattimento della CO2. Un meccanismo che implica progetti semplici, a prezzi bassi iniziali, che cresceranno all’ampliamento della domanda, permettendo l’ingresso di tecnologie più costose», spiega Andrea Ronchi, fondatore e ad della società di consulenza CO2 Advisor.
Qualche esempio di progetti che generano crediti di carbonio: «Sono basati sulla natura o sulla tecnologia», risponde Ronchi: «Si va dalla prevenzione della deforestazione, per esempio, e dalla conservazione delle zone umide, che sono soluzioni a basso costo, a carburanti sostenibili, energia rinnovabile, mobilità elettrica, a rimboschimento e ad azioni di ripristino della natura, fino ad attività quali agricoltura generativa, carbon capture and storage (Ccs) e biochar, cioè carbone vegetale da stoccare al suolo. Tutte queste soluzioni non devono godere di incentivo statale, dato per avere un beneficio ambientale, che non può essere conteggiato due volte».
La storia
I crediti di carbonio trovano un primo inquadramento nell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi del 2015, che stabilisce meccanismi di cooperazione volontaria tra Paesi per raggiungere gli obiettivi climatici, tra cui il mercato del carbonio e altre soluzioni non basate sul mercato. Alla Cop29 di Baku viene approvata una versione che definisce regole più precise, «alla Cop30, che si apre a Belém in Brasile il 10 novembre, ci aspettiamo un’ulteriore implementazione, con uno schema di riferimento utilizzabile da tutti i Paesi per fare gli accordi. Tanto più dopo la recente decisione del Consiglio Ambiente Ue che amplia per i Paesi membri l’utilizzo dei crediti per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione con una quota del 5% per l’Europa più un ulteriore 5% per ogni Paese, sempre rispetto ai livelli del 1990», sottolinea Ronchi.
Le prospettive
Quali le conseguenze? «Ci sarà un salto di scala della domanda, al momento bassa», risponde l’ad di CO2 Advisor : «Alle condizioni di oggi, la potenziale domanda globale è 14 volte l’offerta attuale, ci troviamo con un mercato molto corto. Ci sarà dunque un rialzo dei prezzi, con le stime a prevedere un aumento che potrebbe superare i 150 dollari per credito già entro il decennio 2030-2040. Da una parte questo permetterà alle tecnologie più onerose di entrare nel meccanismo. Dall’altra sarà un problema per le aziende, che si troveranno ad affrontare costi aggiuntivi».
Sara Deganello
Foto: Chris Leboutillier - unsplash
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Rassegna del 14 Novembre, 2025 |
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