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In un mondo attraversato da crisi geopolitiche, sociali e ambientali, la green economy si propone come bussola per orientare il futuro. È questo il messaggio emerso dalla Sessione Plenaria Internazionale degli Stati Generali della Green Economy, tenutasi, per la prima volta, interamente in inglese a Ecomondo, Rimini.
Moderata da Amy Kazmin (Financial Times) e Raimondo Orsini (Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile), la sessione ha offerto un viaggio attraverso quattro continenti, con dati, analisi e testimonianze di esperti e rappresentanti istituzionali per discutere di prospettive, strategie e investimenti della green economy nel nuovo contesto globale.
Un mondo in transizione
Raimondo Orsini ha aperto i lavori con una riflessione sul concetto di “Spaceship Earth” di Kenneth Boulding: il pianeta come un’astronave con regole biofisiche precise, oggi violate da un’accelerazione antropica senza precedenti. L’aumento della popolazione, del PIL, dell’urbanizzazione e del consumo di risorse negli ultimi 50 anni ha generato impatti sistemici: deforestazione, acidificazione degli oceani, perdita di biodiversità, aumento delle temperature. “La green economy non è una risposta marginale: è la bussola per affrontare le incertezze del nostro tempo”, ha affermato Orsini.
Le prospettive globali per la green economy
In questo panel esperti da Europa, Asia, USA e Africa hanno analizzato le diverse traiettorie della green economy, tra politiche nazionali, investimenti futuri e leadership emergenti. Per ciascuna delle 4 aree geografiche, Chiara Montanini, Project Manager di Italy for Climate ha tracciato la mappa della transizione globale, con dati su emissioni, target e investimenti per stimolare il dibattito delineando le sfide e le opportunità di ciascuna area.
Download “La mappa della transizione - Italy for Climate - InsightCOP30”Pubblicato il: 10 Nov 2025
Stati Uniti: tra retorica e realtà. Gli USA sono il primo paese per emissioni pro capite (18 tonnellate, tre volte la media globale) e per responsabilità storica. Dal 1990, le emissioni sono diminuite solo del 3,7%, contro il 37% dell’UE. Il mercato dell’e-mobility è in crescita, ma Tesla è stata superata da BYD (Cina). Le previsioni per il 2025 indicano un aumento delle emissioni del 1,8%, trainato dal consumo record di gas e carbone. Oliviero Bergamini (TG1 Rai), ha analizzato l’impatto ideologico dell’amministrazione Trump, che con il progetto “Agenda 2025” mira a smantellare la cultura ambientale. Paradossalmente, la scadenza degli incentivi fiscali ha generato una corsa agli investimenti in rinnovabili. “Il settore privato e gli stati federati stanno reagendo, ma il rischio di rallentamento è concreto”, ha avvertito.
Cina: l’electro-state in corsa. La Cina è oggi il primo emettitore mondiale (12 miliardi di tonnellate di CO₂, 32% del totale) ma allo stesso tempo leader nella produzione di tecnologie verdi: 80% dei pannelli solari, 60% delle turbine eoliche, 50% dei veicoli elettrici. Il consumo elettrico ha raggiunto il 29% del mix energetico, contro il 20% dell’UE e il 24% degli USA. Junming Zhu (Tsinghua University) ha spiegato l’evoluzione del modello cinese: da fabbrica del mondo a laboratorio di transizione verde. Dopo una fase di industrializzazione intensiva, la Cina ha avviato una “guerra all’inquinamento” nel 2014, con risultati tangibili sulla qualità dell’aria. Oggi, la strategia è quella di una trasformazione verde integrata, con innovazioni nell’industria, nell’agricoltura e nei consumi. “La sfida non è tecnologica, ma culturale: cambiare gli stili di vita in una società che si arricchisce”, ha sottolineato.
Europa: leadership sotto pressione. L’UE ha ridotto le emissioni del 37% dal 1990, con una crescita del PIL del 72%. Il 47% dell’elettricità proviene da fonti rinnovabili. Tuttavia, il Consiglio Ambiente ha introdotto una flessibilità del 10% nel nuovo target al 2035, segnale di un rallentamento dell’ambizione. Alessandra Zampieri (JRC, Commissione Europea) ha presentato il monitoraggio del Green Deal: il 25% degli obiettivi è in linea, il 41% richiede accelerazione, il 10% inversione di tendenza. Ha evidenziato il ruolo della bioeconomia, che nel 2023 ha generato 863 miliardi di euro e 17 milioni di posti di lavoro. “La sostenibilità deve andare di pari passo con la competitività”, ha ribadito.
Africa: il continente del futuro. Con 1,5 miliardi di abitanti e solo il 3% delle emissioni storiche, l’Africa è già tra le più colpite dal cambiamento climatico. Ma ha delle potenzialità enormi per la transizione: Il 60% delle migliori risorse solari globali si trova nel continente, insieme a importanti riserve di materiali critici. Davinah Milenge Uwella (African Development Bank) ha illustrato iniziative come Desert to Power, il fondo per l’economia circolare e l’Africa Circular Economy Alliance. “Abbiamo la volontà politica, le risorse e la popolazione: serve un partenariato globale per costruire una nuova economia climatica”, ha dichiarato.
Intervista a Jeffrey Sachs: Europa, svegliati!
La sessione ha proposto un’intervista esclusiva al professor Jeffrey Sachs, economista di fama mondiale e direttore del Center for Sustainable Development della Columbia University.
L’intervista ha toccato anche il tema della leadership tecnologica, con una forte critica agli Stati Uniti, accusati di aver abbandonato il ruolo guida nella transizione energetica e di aver ceduto terreno alla Cina. Sachs ha descritto l’amministrazione Trump come un ostacolo alla decarbonizzazione, incapace di rappresentare la volontà della maggioranza degli americani e degli stati federati, che invece continuano a investire in energie rinnovabili.
Il focus si è poi spostato sull’Europa, che secondo Sachs ha perso slancio nella sua leadership climatica. Se in passato il Green Deal europeo era un modello globale, oggi Bruxelles appare più concentrata su questioni geopolitiche e militari. Sachs ha proposto un cambio di rotta: una cooperazione strategica con la Cina per decarbonizzare l’Eurasia, sfruttando le sinergie tra il Global Gateway europeo e la Belt and Road Initiative cinese.
Guardando alla COP30, Sachs ha espresso fiducia nella possibilità che i paesi presenti possano raggiungere accordi significativi, in particolare sul tema della protezione delle foreste pluviali, con il Brasile in prima linea. Ha concluso ribadendo il ruolo cruciale dell’Europa, che deve tornare a credere nella propria capacità di guidare la transizione verde, rispondendo alle aspettative dei cittadini e investendo in un futuro sostenibile.
Finanza e imprese: il motore concreto della transizione
Nel panel dedicato alla finanza e al ruolo delle imprese nella transizione ecologica, è emersa una visione pragmatica e orientata ai risultati. La direttrice dell’Agenzia europea CINEA, Paloma Aba Garrote, ha illustrato l’impegno dell’Unione Europea nel sostenere la decarbonizzazione attraverso programmi come Horizon Europe, LIFE e Innovation Fund, con oltre 65 miliardi di euro già allocati e un nuovo fondo da 400 miliardi in fase di definizione. L’obiettivo è finanziare tecnologie pulite, economia circolare e progetti ad alto impatto ambientale, anche quando non ancora commercialmente maturi.
Dal mondo della finanza privata, Nino Tronchetti Provera (Ambienta) ha offerto una interessante lettura critica: la green economy è una rivoluzione industriale, non una moda, ma gran parte degli investimenti “verdi” degli ultimi vent’anni (per molti trilioni di dollari) sono stati deviati verso aspetti sociali, mentre le soluzioni tecnologiche realmente efficaci esistono già e vanno scalate con maggiore determinazione e concretezza, investendo in aziende che producono impatti ambientali misurabili e generano profitti, dimostrando che sostenibilità e competitività possono coesistere.
Infine, Marco Duso (EY-Parthenon) ha evidenziato come il mondo delle imprese stia passando da una fase di sperimentazione e compliance a una strategia più strutturata, dove la sostenibilità è vista come leva di valore. Il 90% delle aziende considera la transizione ecologica un’opportunità, ma servono regole chiare, incentivi e una visione industriale. La sfida è vincere in un’economia low-carbon, non solo rispettare obiettivi.
Il messaggio comune è chiaro: la transizione verde non è solo una questione di obiettivi politici, ma di investimenti concreti, innovazione industriale e capacità di generare valore. La finanza e le imprese sono pronte, ora servono politiche coerenti e una governance all’altezza della sfida.
Due realtà italiane – Enel Green Power e Chiesi Farmaceutici – hanno mostrato come le imprese possano essere motori di cambiamento, investendo in tecnologie, territori e filiere sostenibili.
Enel Green Power, attraverso l’intervento di Eleonora Petrarca, ha illustrato il proprio impegno globale nello sviluppo, costruzione e gestione di impianti da fonti rinnovabili. Con una presenza in oltre 20 paesi e un portafoglio che include eolico, fotovoltaico, geotermico e idroelettrico, Enel ha raggiunto nel 2024 una capacità operativa di 65,7 GW e una produzione annua di circa 150 TWh. In Italia, l’azienda è attiva nello sviluppo di nuovi progetti utility scale, con un approccio flessibile che include sia iniziative greenfield che acquisizioni da terzi. Un esempio emblematico è l’impianto fotovoltaico di Tarquinia, nel Lazio, da 170 MW, il più grande attualmente operativo in Italia. La centrale utilizza moduli bifacciali su strutture tracker, con una produzione annua stimata di 280 GWh, sufficiente a coprire il fabbisogno di oltre 110.000 famiglie. Il progetto rappresenta un modello di integrazione tra energia rinnovabile e agricoltura: le attività agricole si svolgono tra le file dei pannelli, gestite da agricoltori locali che sono anche proprietari dei terreni, generando così un doppio beneficio ambientale e sociale.
Chiesi Farmaceutici, con l’intervento di Maria Paola Chiesi, ha raccontato il percorso verso la decarbonizzazione del settore farmaceutico. L’azienda, con sede a Parma e operativa in 30 paesi, ha fissato l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2035. Un traguardo importante è stato raggiunto investendo 400 milioni nello sviluppo di un nuovo spray inalatore a basso impatto climatico, grazie all’introduzione di un propellente innovativo che riduce del 90% le emissioni associate al prodotto. Questo intervento consente una riduzione dell’80% delle emissioni Scope 3, che rappresentano la parte più consistente dell’impronta carbonica dell’azienda. Il progetto, frutto di sette anni di ricerca e investimenti, è stato realizzato in uno stabilimento in Francia, dove è stata appena inaugurata una nuova linea produttiva.
Per la registrazione della sessione e tutti i materiali della sessione, vai sul sito dell’iniziativa www.statigenerali.org
Photo: fondazionesvilupposostenibile.org
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Rassegna del 14 Novembre, 2025 |
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