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ISSUE 428

Fine vita dei Pfas: la rivoluzione arriva dai laboratori di Nagoya

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Fine vita dei Pfas: la rivoluzione arriva dai laboratori di Nagoya

Un nuovo studio del Nagoya Institute of Technology apre la strada a un metodo di smaltimento ecologico dei fluoropolimeri come il Teflon e i Pfas, riducendo consumi energetici ed emissioni tossiche e recuperando fino al 97% del fluoro: un passo decisivo verso la chimica circolare

 

In attesa di un divieto europeo o di una regolamentazione più stringente, la gestione a fine vita dei materiali contenenti fluoropolimeri come il politetrafluoroetilene (Ptfe) resta una delle sfide ambientali più complesse per l’industria chimica.

 

La loro resistenza chimica e termica, qualità che ne hanno decretato il successo industriale, ne rende infatti estremamente difficile lo smaltimento.

 

Conosciuto universalmente con il nome commerciale di Teflon, il Ptfe è utilizzato non solo nelle padelle antiaderenti ma anche in tessuti tecnici, guarnizioni industriali e componenti per il settore chimico.

 

Accanto a esso, un’intera famiglia di composti – le sostanze per- e polifluoroalchiliche (Pfas) – è ormai al centro di un acceso dibattito scientifico e politico per l’impatto ambientale e sanitario associato alla loro persistenza negli ecosistemi.

 

Un problema globale di smaltimento

 

Attualmente, lo smaltimento del Ptfe avviene quasi esclusivamente attraverso incenerimento ad alta temperatura o conferimento in discarica, due soluzioni tutt’altro che sostenibili.

 

Il primo comporta un forte consumo energetico e il rilascio di acido fluoridrico, un gas altamente corrosivo; il secondo contribuisce all’accumulo di contaminanti che non si degradano nel tempo.

 

Per ridurre tali impatti, da anni la ricerca studia la cosiddetta defluorizzazione, ovvero la conversione del polimero nei suoi composti costitutivi di fluoro, con l’obiettivo di recuperarne le risorse e ridurne la pericolosità.

 

Tuttavia, i metodi tradizionali richiedono temperature superiori ai 500°C o reagenti complessi per operare a temperature più basse, senza garantire un recupero efficiente del fluoro.

 

L’innovazione del Nagoya Institute of Technology

 

Un team guidato dal professor Norio Shibata del Nagoya Institute of Technology in Giappone ha annunciato nel luglio 2025, su Nature Communications, un metodo di defluorizzazione innovativo in grado di degradare il Ptfe e recuperare fino al 98% dello ione fluoruro in condizioni blande, a temperatura ambiente e con un consumo energetico ridotto.

 

Il processo sfrutta una dispersione di sodio in tetraidrofurano (Thf), che agisce come agente reattivo per decomporre il materiale in circa 12 ore, generando fluoruro di sodio (NaF). Le analisi spettroscopiche hanno confermato che il nuovo metodo consente di recuperare il fluoro in forma utile, evitando il rilascio di gas tossici.

 

Oltre al Ptfe, la tecnica è risultata efficace anche per altri composti fluorurati – tra cui acido perfluorottanoico (Pfoa) e acido trifluoroacetico (Tfa) – con un’efficienza di recupero del 97%.

 

Il risultato apre la strada a una possibile circolarità dei materiali fluorurati, che diventerebbero così fonte di fluoro riutilizzabile per la produzione di nuovi materiali o processi industriali.

 

Secondo Shibata, il metodo rappresenta un approccio ecologico e non energivoro, con ridotte emissioni di gas tossici, capace di migliorare l’uso delle risorse di fluoro e ridurre la dipendenza dalla fluorite (CaF2), minerale da cui deriva la maggior parte del fluoro industriale, è oggi estratta in grandi quantità in Cina e Messico, generando impatti ambientali rilevanti.

 

La possibilità di riciclare il fluoro dai rifiuti fluoropolimerici avrebbe dunque implicazioni non solo ambientali ma anche geopolitiche, riducendo la dipendenza europea da fornitori esteri e contribuendo a un modello di chimica sostenibile e circolare.

 

L’urgenza di una regolamentazione europea

 

Il nuovo metodo si inserisce in un contesto normativo in evoluzione. La Commissione europea ha proposto nel 2023 una restrizione generale sull’uso dei Pfas nell’ambito del Regolamento Reach, mentre diversi Stati membri – tra cui Germania, Paesi Bassi e Svezia – spingono per un divieto progressivo entro il 2030.

 

Tuttavia, i materiali fluoropolimerici come il Ptfe restano ancora fuori da un divieto totale, poiché considerati essenziali in alcuni settori industriali strategici.

 

Il lavoro del team di Nagoya dimostra che l’innovazione tecnologica può fornire strumenti concreti per gestire in modo sostenibile queste sostanze, anticipando l’arrivo di una normativa europea più stringente e aprendo la via a nuove filiere di recupero del fluoro.

 

Aurora Magni

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