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ISSUE
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valori.it
Quanto contano, se contano, i ministeri delle Finanze e le politiche fiscali degli Stati nella lotta al riscaldamento globale? Tassazione significa incentivi e disincentivi: le leve di cui questi dicasteri dispongono per raggiungere i propri obiettivi. E la domanda non è banale. Soprattutto in un momento in cui tutte le opzioni di intervento devono essere considerate per rientrare nella traiettoria dell’Accordo di Parigi. Ovvero quegli 1,5 gradi di aumento delle temperature rispetto al livello preindustriale che sono già stati superati per la prima volta nel 2024.
Oggi il clima non può più essere considerato un argomento da radical chic. I costi degli eventi meteorologici estremi sono ormai chiari a tutti, e non solo nelle piccole isole del Pacifico (che rischiano di finire sott’acqua) o nel Sahel (dove la desertificazione avanza), ma anche in Europa e negli Stati Uniti, dove è sempre più difficile assicurararsi. Secondo un nuovo rapporto firmato da Greenpeace e presentato a fine ottobre, nel decennio dal 2016 al 2025 le emissioni di anidride carbonica di sei grandi aziende petrolifere e del gas (ExxonMobil, Chevron, Shell, BP, TotalEnergies ed Eni) avrebbero causato oltre 5mila miliardi di euro di danni economici. La stima, spiega la ong, proviene da scienziati indipendenti. Non proprio spiccioli.
Come lavorano davvero i ministeri della Finanze
La questione di come coinvolgere i ministeri delle Finanze ha cominciato a farsi spazio anche a livello multilaterale. Uno studio pubblicato in queste settimane dalla Coalition of Finance Ministers for climate action – gruppo che raccoglie i decisori economici di una novantina di Paesi – fa luce sulle difficoltà che i titolari dei dicasteri che reggono i cordoni della borsa incontrano quando si tratta di inserire le questioni legate al clima nelle proprie strategie fiscali. Il lavoro è stato commissionato e guidato dal ministero delle Finanze danese, e riveste particolare interesse perché si basa su un sondaggio cui hanno risposto oltre cinquanta Paesi (26 economie avanzate e 33 in via di sviluppo o emergenti).
Non capita tutti i giorni di poter gettare un occhio su come lavorano le burocrazie. Che, per dirla con Weber, sopravvivono ai governi. Farlo aiuta a comprendere meglio come vengono gestiti i dossier, e anche le ragioni dell’inazione. Che, a volte, sono meno ideologiche di quanto si creda, e affondano piuttosto le radici – in maniera tutto sommato banale – in questioni organizzative e legate alla gestione quotidiana degli uffici.
Quando le strategie climatiche si scontrano con la realtà
Ma è necessario cominciare dall’inizio. Come si decide una politica nel 2025? Nella migliore delle ipotesi, simulandone gli effetti. Grazie all’informatica e all’utilizzo di modelli previsionali molto potenti oggi è possibile ottenere un discreto grado di approssimazione.
Tutto parte da una fotografia della situazione. L’importanza che rivestono i tool digitali per prendere decisioni informate ed efficaci si evince chiaramente dalle dichiarazioni di un impiegato ministeriale di un Paese africano, riportate nello studio. L’intervistato si lamenta della scarsità di risorse che rende impossibile acquistare i tool. «Non disponiamo di sistemi [per l’analisi del rischio climatico]», afferma. «Così, non possiamo nemmeno comprendere il rischio reale prima che diventi danno. Non abbiamo informazioni a sufficienza, né abbastanza tecnologia che ci informi sulle dimensioni del pericolo».
Poco personale, strumenti non sempre adeguati
Le informazioni raccolte dalla sensoristica devono essere, poi, inserite ed elaborate. Anche dai ministeri delle Finanze, grazie a software costruiti attorno agli assunti di base della teoria economica – programmi in cui è possibile inserire migliaia di variabili, che possono includere quelle climatiche. Ma non basta che certi sistemi siano presenti: bisogna anche saperli usare. L’82% degli intervistati dichiara che il proprio dicastero ha un organico insufficiente. E non sempre i dipendenti effettivamente disponibili sono in grado di far funzionare applicazioni molto complesse.
Non solo. Sono pochi i casi di tool costruiti in house, cioè dagli stessi dicasteri, e modellati sulla base delle reali esigenze del Paese. Nella larga maggioranza dei casi – rileva il rapporto – si fa uso di prodotti acquistati da fornitori esterni, progettati sulla base di assunti che non possono essere modificati, e che non fotografano la natura dell’economia della nazione in questione. In molti casi, questi programmi non tengono conto delle variabili climatiche, e ovviamente non di quelle rilevanti per lo specifico Paese. Tradotto: spesso a mancare non sono le buone intenzioni, ma la capacità di tradurle in realtà. «I ministri delle finanze sono coinvolti nella transizione, interessati e consapevoli», si legge nel rapporto, «ma molti mancano ancora delle competenze analitiche di cui hanno bisogno per guidarla».
Competenze frammentate e ruoli poco definiti
Assumere personale non basta, suggerisce lo studio: è necessaria una pianificazione strategica che tenga conto delle istanze climatiche. Definire con chiarezza i ruoli e inserire in organico figure specificamente dedicate all’ambiente, senza prenderle in prestito da altri uffici, come – invece – accade spesso. Necessaria, sottolineano i ricercatori, anche una certa alfabetizzazione informatica, che consente di parlare con i programmatori richiedendo le funzionalità giuste, gestire gli aggiornamenti, effettuare le manutenzioni.
Infine, suggerisce il rapporto, bisogna assicurarsi che gli output dei modelli informatici vengano comunicati ai soggetti interessati e integrati nel processo di decision making. Sembra scontato ma non lo è: gli investimenti in applicativi restano poco più che un costoso passatempo se i risultati delle analisi vengono ignorati.
La transizione procede a rilento dentro le istituzioni e con conflitti di interesse
Purtroppo, rilevano i curatori dello studio, costruire capacità analitiche è un processo, «lento e non lineare. Miglioramenti sostanziali raramente accadono dall’oggi al domani, e nel frattempo, dall’altra parte, la dedizione dei governi all’azione climatica oscilla». Anche i miglioramenti ottenuti, peraltro, non possono essere considerati permanenti.
C’è da dire che i governi ci hanno messo del proprio: sono molti quelli che hanno risolto il problema esternalizzando alle grandi società di consulenza porzioni crescenti di conoscenza che fino a qualche anno fa erano patrimonio delle burocrazie pubbliche. Un fenomeno descritto in maniera efficace dalle economiste Mariana Mazzucato e Rosie Collington nel volume “Il grande imbroglio” (Laterza, 2023). Il risultato, affermano le autrici, è che oggi molti Stati si trovano infantilizzati e impoveriti di capitale immateriale, ma anche dipendenti da attori che sono in grado di vendere a caro prezzo i propri servizi.
Non solo. Le grandi società di consulenza, scrivono Mazzucato e Collington, lavorano per una pluralità di soggetti dalle priorità concorrenti, e finiscono per fornire suggerimenti interessati. Riuscite a immaginare una Big Four, una delle e quattro maggiori società di revisione e consulenza a livello globale, che vanta tra i clienti storici un gigante delle fonti fossili consigliare, dall’altra parte, a un esecutivo di mettere una tassa sulle emissioni di CO2? Eppure, è proprio quello che accade.
Perché serve più trasparenza nelle decisioni economiche sul clima
Il rapporto della Coalition of Finance Ministers for climate action ha il merito di sottolineare alcune grosse lacune presenti a livello globale, ma anche di evidenziare una volta di più come lo sforzo climatico debba andare olte i soliti noti, coinvolgendo soggetti nuovi. «La capacità di un ministero delle Finanze di rispondere al proprio mandato – promuovere la crescita, l’uso responsabile delle finanze pubbliche e la stabilità macroeconomica – dipende in misura sempre maggiore dalla capacità di affrontare i rischi crescenti che derivano dal cambiamento climatico e la transizione a un’economia verde e resiliente, assieme alle opportunità che essa presenta», scrivono i curatori. C’è da augurarsi che l’indicazione sia seguita.
Antonio Piemontese
Photo: valori.it
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Rassegna del 14 Novembre, 2025 |
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