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Lunedì 10 novembre è ufficialmente cominciata la Cop30, la Conferenza delle Nazioni Unite sul clima. Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva l’ha voluta alle porte dell’Amazzonia «perché il mondo capisca davvero cosa significa proteggere la foresta e chi la abita». Belém, “capitale del mondo” per due settimane, è diventata un simbolo potente. Ma anche il centro di una serie di contraddizioni che hanno accompagnato fin dal principio l’avvio dei lavori, come d’altra parte ampiamente previsto.
La protesta per le navi da crociera che ospitano migliaia di delegati
In una città di 1,4 milioni di abitanti, dove oltre la metà vive in baraccopoli, la carenza di strutture ricettive ha costretto gli organizzatori a soluzioni d’emergenza. Due enormi navi da crociera, ormeggiate nel porto appena ristrutturato, ospitano migliaia di delegati.
Una scelta che non è passata inosservata. Gli ambientalisti ironizzano sul fatto che questi “colossi del mare”, estremamente inquinanti, diventino ora “hotel galleggianti” della conferenza sul clima. Con i motori accesi 24 ore di 24. Le autorità portuali difendono invece l’operazione come un investimento infrastrutturale che «lascerà un’eredità importante alla regione».
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Lula: «Sconfiggiamo i negazionisti del clima». Il presidente della Cop30: «È l’ora dell’attuazione»
Nel suo discorso inaugurale, Lula ha lanciato un appello netto: abbandonare le fonti fossili. E «sconfiggere i negazionisti dei cambiamenti climatici». «Gli oscurantisti – ha affermato – controllano gli algoritmi, diffondono odio e attaccano la scienza. Dobbiamo batterli di nuovo».
Il presidente brasiliano ha anche rivendicato la scelta di portare la Cop vicino alla foresta amazzonica, che con i suoi 50 milioni di abitanti e 400 popolazioni indigene, non è solo un polmone verde ma anche una realtà viva, complessa, abitata.
Lula è stato affiancato dal presidente della conferenza, il diplomatico André Corrêa do Lago, che ha invitato i delegati a trasformare le parole in fatti. «Questa deve essere la Cop dell’attuazione. La Cop delle soluzioni», ha dichiarato, ricordando che dieci anni fa, quando venne raggiunto l’Accordo di Parigi, si temeva un aumento della temperatura globale di 4 gradi centigradi.
Oggi la sfida è mantenere il riscaldamento entro 1,5 gradi centigradi – un obiettivo che però, ha avvertito Jim Skea, presidente dell’IPCC (il Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, massimo organismo scientifico mondiale in materia), «è ormai quasi inevitabile che venga temporaneamente superato». Riduzioni «immediate, profonde e durature» delle emissioni restano l’unica via per riportare la traiettoria sotto controllo.
Le prime indiscrezioni trapelate dai corridoi della Cop30
Cominciano a trapelare intanto le prime indiscrezioni sui negoziati in corso alla Cop30. La presidenza brasiliana ha cercato di raccogliere le intenzioni di tutti i governi o gruppi di Paesi. Nella serata di domenica, i rappresentanti degli Stati insulari e delle nazioni più vulnerabili di fronte agli impatti dei cambiamenti climatici (il gruppo Aosis) hanno chiesto a chiare lettere di lavorare sul fronte della mitigazione.
Per loro è d’altra parte questione di vita o di morte: alcune nazioni rischiano di scomparire letteralmente dalle carte. La richiesta è che Lula e il suo entourage riescano a convincere un numero sufficiente di Paesi a modificare in senso positivo i loro impegni di riduzione delle emissioni.
Un gruppo di Paesi in via di sviluppo – guidati da Cina e India, che ancora sono tali secondo i criteri Onu – ha chiesto invece che ci si concentri sulla questione della finanza climatica e del Meccanismo di aggiustamento della CO2 alle frontiere imposto dall’Unione europea.
Sul primo fronte, la richiesta è che sia il mondo ricco a farsi carico della maggior parte degli oneri (essendo l’Occidente più responsabile delle emissioni climalteranti “storiche”). Il tema unisce l’intero Sud del mondo: alla Cop29 di Baku, a fronte di una richiesta di stanziamenti (pubblici e privati) pari 1.300 miliardi di dollari all’anno, si è arrivati soltanto alla promessa di 300 miliardi. Sulla seconda questione, la richiesta è che non si utilizzi il Meccanismo per gravare sulle aziende dei Paesi in via di sviluppo.
Cos’è il piano Belèm 4x sui “combustibili sostenibili” e perché suscita dubbi
Nel giorno dell’apertura, il Brasile ha anche presentato il piano “Belém 4x”, con cui promette di quadruplicare la produzione di combustibili sostenibili – bioetanolo, biometano, biodiesel e carburanti per l’aviazione. La proposta ha suscitato reazioni immediate. Il Climate Action Network (CAN) ha respinto l’annuncio definendolo «una via non credibile per una transizione giusta».
Hikmat Soeriatanuwijaya, diriente di Oil Change International, ha commentato gli annunci con parole dure: «Il Belem 4X Pledge utilizza il linguaggio della sostenibilità per giustificare il mantenimento dell’uso di combustibili fossili. Le comunità del Sud-Est asiatico conoscono già questo copione. Il Giappone ha promosso iniziative pericolose come la co-combustione di ammoniaca e idrogeno e la cattura e stoccaggio di CO2 in Indonesia con il pretesto della decarbonizzazione».
Al contempo, il think tank italiano ECCO ha avvertito dei rischi di una nuova dipendenza dalla biomassa, con possibili impatti sulla sicurezza alimentare e sulla deforestazione.
I (lenti) passi avanti procedurali
Nel marasma di indiscrezioni e fughe in avanti delle Parti, l’unica cosa certa per ora è quanto concordato nelle sezioni preliminari del negoziato. La presidenza ha annunciato che alcuni dei temi portati al tavolo degli Stati saranno rimandati alla COP31. Si parla di finanziamento a lungo termine, esame periodico dell’obiettivo globale e la tavola rotonda ministeriale prevista dal Protocollo di Kyoto. Presidente Corrêa do Lago ha specificato, in particolare, che il punto relativo al bilancio dell’obiettivo globale è stato ritirato dai proponenti.
La Presidenza brasiliana ha comunque parlato di accordo sui punti che verranno trattati e, come da prassi, ha mostrato ottimismo. Non senza però una stoccata a Stati Uniti ed Unione Europea. «In qualche modo, la riduzione dell’entusiasmo del Nord globale sta dimostrando che il Sud globale si sta muovendo» ha detto Corrêa do Lago.
48 milioni di bambine e bambini colpiti ogni anno da disastri climatici
A ricordare l’urgenza morale e generazionale della crisi è arrivato anche il monito di Save the Children: negli ultimi trent’anni, 48 milioni di bambine e bambini ogni anno sono stati colpiti da disastri climatici. L’organizzazione parla di una «crisi dei diritti dell’infanzia» e chiede che le nuove generazioni vengano ascoltate nei processi decisionali. Gli impegni attuali, avverte, ridurrebbero le emissioni globali solo del 17% entro il 2035 – ben lontano dal 60% necessario per restare entro 1,5 gradi centigradi.
Lula ha chiesto «realismo e umiltà» ai negoziatori. Ma la prima giornata della Cop30 mostra già che serviranno anche coraggio e giustizia per trasformare le promesse in azioni.
Andrea Barolini, Lorenzo Tecleme e Claudia Vago
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Rassegna del 14 Novembre, 2025 |
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