La Newsletter di ESO
ISSUE 414

Perché la società civile dice no al Corridoio Sud dell’Idrogeno

ReCommon e 86 organizzazioni di tutto il mondo si oppongono al Corridoio Sud dell’Idrogeno, opera chiave di Snam e del Piano Mattei

valori.it

Perché la società civile dice no al Corridoio Sud dell’Idrogeno

Una coalizione di 87 organizzazioni e reti della società civile internazionale ha rilasciato nei giorni scorsi una dichiarazione congiunta che chiede di non realizzare il Corridoio Sud dell’Idrogeno, una infrastruttura di 3.300 chilometri che dal Nord Africa dovrebbe arrivare in Germania, passando per l’Italia. Il Corridoio è una delle opere chiave del Piano Mattei per l’Africa, fortemente voluto dal governo Meloni.

 

La dichiarazione è stata lanciata cinquanta giorni dopo un documento congiunto dei ministri dell’Energia di Italia, Austria, Germania, Tunisia e Algeria in cui si sostiene la costruzione del gasdotto a idrogeno e nelle ore in cui il Consiglio europeo dell’Energia discute il Clean Industrial Deal, che include l’idrogeno come fonte energetica chiave. Per la coalizione di organizzazioni internazionali, il Corridoio Sud dell’Idrogeno è una pericolosa estensione dell’economia dei combustibili fossili.

 

Cos’è e a cosa serve il Corridoio Sud dell’Idrogeno

 

Il Corridoio, sostenuto da Snam, dalla tedesca BayerNet e dalle austriache TAG e Gas Connect Austria, è elencato tra i Progetti di interesse comune e di mutuo interesse della Commissione europea e del Global Gateway 2025, il grande piano europeo per rilanciare le infrastrutture su scala globale. È inoltre in linea con la politica RePowerEU che inquadra le infrastrutture per il trasporto di idrogeno come necessarie per la sicurezza energetica europea. Concetto che lo statement internazionale mette in discussione.

 

«Il Corridoio Sud dell’Idrogeno è la più grande infrastruttura energetica promossa dal governo italiano nell’ambito del cosiddetto Piano Mattei. Tuttavia, non si tratta di sicurezza energetica per le popolazioni europee o africane, ma di garantire una lunga vita alle infrastrutture di trasporto del gas e sussidi pubblici alle società di combustibili fossili come Snam per la loro costruzione e manutenzione. È funzionale a permettere il greenwashing di un modello neocoloniale ed estrattivista che rischia di aumentare il debito dei Paesi africani e di distogliere le risorse pubbliche da una transizione energetica giusta per tutte e tutti», ha dichiarato Elena Gerebizza, ricercatrice e campaigner per l’energia e le infrastrutture di ReCommon.

 

Perché questa mega infrastruttura per l’idrogeno non è realmente sostenibile

 

L’Unione europea e la lobby fossile promuovono l’idrogeno verde come soluzione sostenibile e vantaggiosa sia per l’Ue che per i Paesi del Continente africano. Tuttavia la coalizione mette in guardia sul fatto che non c’è alcuna garanzia che il corridoio trasporti esclusivamente idrogeno verde o che la sua catena di produzione sia socialmente e ambientalmente sostenibile. Inoltre, il progetto rischia di esacerbare la scarsità d’acqua in regioni già vulnerabili. Potrebbe mettere in difficoltà vari Paesi africani, scatenando l’instabilità sociale e sottraendo risorse ai servizi pubblici essenziali.

 

«Ci opponiamo alla produzione di idrogeno verde e allo sviluppo di infrastrutture a esso collegati a causa della sua estrema inefficienza. Per la sua produzione sono necessari alti volumi di elettricità e acqua a basso costo. Questo perpetua modelli estrattivisti che equivalgono a un greenwashing per conto delle industrie dei combustibili fossili, che distolgono gli sforzi nei Paesi dalla scalata critica dell’energia rinnovabile locale e di proprietà delle comunità, verso obiettivi di esportazione a beneficio dei Paesi dell’Unione europea che ignorano i bisogni energetici locali», ha dichiarato Siphesihle Mvundla, Campaigner per la giustizia climatica ed energetica di GroundWork, Friends of the Earth Sudafrica.

 

Un modello estrattivista che ostacola la transizione energetica

 

L’obiettivo dell’Unione europea per il 2030 è di 20 milioni di tonnellate di idrogeno, di cui 10 milioni di tonnellate dovrebbero essere importate dall’esterno. Il Corridoio Sud dell’Idrogeno è il primo di altri cinque corridoi europei simili che verranno sviluppati e, secondo i promotori, dovrebbe consentire il trasporto di 4 milioni di tonnellate di idrogeno. Il suo costo stimato non è chiaro, secondo Snam il costo previsto per la sola dorsale italiana sarà di circa 4 miliardi di euro.  Le società di trasporto del gas dell’Unione europea che promuovono la costruzione dei cinque corridoi di importazione verso l’Europa stimano un costo complessivo tra gli 80 e i 130 miliardi di euro.

 

Le 87 organizzazioni firmatarie della dichiarazione chiedono ai governi, all’Unione europea e alle istituzioni africane di fermare gli investimenti in progetti di idrogeno su larga scala che ostacolano una transizione energetica equa e democratica per le comunità in Europa e in Africa.

 

«Mega-progetti come il Corridoio Sud dell’Idrogeno e l’ELMED (l’interconnessione elettrica tra Tunisia e Italia ndr) sono schemi neocoloniali che esternalizzano la responsabilità della decarbonizzazione sul Sud globale. Questi progetti rischiano di imprigionare i Paesi esportatori in un modello dipendente dalle emissioni di CO2. E di spostare i costi socio-ecologici, le ingiustizie collegate all’accesso a terra e acqua e le violazioni dei diritti umani sulle comunità della periferia. Nel frattempo, i profitti e le risorse fluiscono verso i centri industriali, perpetuando un sistema ingiusto ed estrattivo», ha dichiarato Saber Ammar, North Africa Program Assistant del Transnational Institute (TNI).

 

 

Photo: freepik

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