La Newsletter di ESO
ISSUE 424

Clima, gli scienziati lanciano l’allarme sui punti di non ritorno

Si aggravano le incognite sugli ecosistemi essenziali come l’Amazzonia e la Groenlandia: l’appello ai decisori politici, in vista della Cop30

ilsole24ore.it

Clima, gli scienziati lanciano l’allarme sui punti di non ritorno

La crisi del clima si fa sentire in Europa con le ondate di calore e i mega-incendi che hanno devastato i Paesi del Nord a giugno e quelli del Sud in agosto. In questo contesto, un gruppo crescente di scienziati si sta focalizzando sulle dinamiche in corso capaci di portare a un punto di non ritorno alcuni ecosistemi essenziali per la stabilità del clima, dall’Amazzonia alla Groenlandia, che fino ad oggi sono state sottovalutate.

 

Lenton: «I decisori politici devono essere pronti»

 

«I decisori politici devono riflettere di più sulle conseguenze del superamento dei punti di non ritorno e su come le società devono prepararsi», ha sostenuto Tim Lenton, esperto mondiale di “tipping points” e professore di Scienze del sistema terrestre nell’università di Exeter, dove si è tenuta nel luglio 2025 la seconda conferenza mondiale sul tema. Nessun governo, con la possibile eccezione dei Paesi nordici, sta considerando scenari come il crollo della calotta glaciale con la stessa serietà riservata ad altri rischi ad alto impatto come le pandemie, sostiene Lenton.

 

I tipping point al centro della Cop30 di novembre

 

Gli organizzatori del convegno (oltre al Global Systems Institute di Exeter, anche il Potsdam Institute for Climate Impact Research e il Max Planck Institute of Geoanthropology) hanno lanciato un appello alla comunità scientifica, ai decisori politici e alle aziende per sensibilizzarli sull’importanza dei “tipping points” e accelerare le azioni di contrasto. Oltre agli scienziati, anche i servizi di emergenza, le assicurazioni e i fondi pensione stanno mostrando un crescente interesse per i punti di non ritorno. Lo stesso vale per gli organizzatori brasiliani della Cop30, che dedicherà molta attenzione al tema, anche perché il vertice si terrà a novembre a Belém, la porta dell’Amazzonia.

 

I rischi per la fusione dei ghiacciai

 

Il problema di fondo è che nessuno conosce l’esatto livello di riscaldamento necessario per innescare un punto di non ritorno specifico. Il clima terrestre è governato da moltissimi processi interconnessi, alcuni dei quali – come le dinamiche che governano la fusione della calotta glaciale o i potenziali effetti degli incendi boschivi – sono scarsamente compresi. A complicare ulteriormente le cose, un punto di non ritorno può innescarne un altro, in un effetto domino. L’acqua dolce rilasciata negli oceani dalla fusione dei ghiacci della Groenlandia, ad esempio, può portare al rallentamento dell’Atlantic Meridional Overturning Circulation (Amoc, meno nota ma più importante della corrente del Golfo), riducendo ulteriormente le precipitazioni sull’Amazzonia, che rischia di trasformarsi in una savana e di rilasciare in atmosfera decine di miliardi di tonnellate di anidride carbonica, riscaldando ulteriormente il pianeta.

 

Lenton sostiene che dall’ultima conferenza sui punti di non ritorno del 2022, le temperature globali sono aumentate, spingendo molti ecosistemi verso un punto di non ritorno, cioè verso un collasso causato da “feedback amplificati”, in un sistema che diventa autopropulsivo: questi processi sono “molto difficili da invertire e potrebbero essere piuttosto bruschi”. I punti di non ritorno che destano maggiore preoccupazione includono la calotta glaciale dell’Antartide occidentale, dove le perdite ormai si autoalimentano, con il rischio di arrivare ad innalzare il livello degli oceani di circa 1,2 metri. C’è anche la calotta glaciale della Groenlandia, che sta perdendo massa a un ritmo accelerato. Poi c’è il permafrost, parti del quale hanno già superato punti di non ritorno localizzati, con ingenti perdite di metano in atmosfera. E c’è lo sbiancamento senza precedenti delle barriere coralline, da cui centinaia di milioni di persone dipendono per il loro sostentamento. Altri ecosistemi vicini a un punto di non ritorno sono l’Amoc, che a sua volta potrebbe innescare punti di non ritorno monsonici in India, e il degrado della foresta pluviale amazzonica, dovuto a una combinazione di cambiamenti climatici e incendi causati dall’uomo.

 

Più vicino il collasso dell’Amoc

 

Sull’Amoc, in particolare, è appena uscito un nuovo studio pubblicato dalla rivista Environmental Research Letters, che ha analizzato l’impatto del riscaldamento climatico in base ai modelli standard utilizzati dall’Ipcc e ha constatato che nella maggior parte dei modelli l’Amoc raggiungerebbe il punto di non ritorno nel giro di pochi decenni. La circolazione atlantica meridionale era già nota per aver raggiunto il suo punto di massima debolezza degli ultimi 1.600 anni a causa della crisi climatica, ma se il rischio di un suo collasso al 2050 è reale, l’Europa dovrebbe attrezzarsi. Gli scienziati avvertono che un collasso dell’Amoc dovrebbe essere evitato “a tutti i costi”, perché farebbe precipitare l’Europa occidentale in un clima devastante, caratterizzato da inverni estremamente freddi (si parla di -20°C a Bruxelles e -50°C a Oslo) con gravissime siccità estive, e sposterebbe la fascia di precipitazioni tropicali da cui dipendono milioni di persone, spazzando via oltre metà delle aree destinate alle colture di base in tutto il mondo.

 

I nuovi risultati sono «abbastanza scioccanti, perché c’era un diffuso consenso su una probabilità inferiore al 10% di un collasso dell’Amoc a causa del riscaldamento globale», spiega Stefan Rahmstorf, del Potsdam Institute for Climate Impact Research, che faceva parte del team di studio. «Ora invece sembra che anche in alcuni scenari intermedi e a basse emissioni, l’Amoc rallenterà drasticamente entro il 2100 e poi si spegnerà completamente». Il rischio di un collasso è dunque molto più concreto e per l’Europa sarebbe un punto di non ritorno con effetti talmente gravi da cambiare il volto del continente.

 

Elena Comelli

 

 

Photo: Visit Greenland

 
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