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ISSUE
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repubblica.it

Con un solo lancio, in meno di due ore, il super razzo di SpaceX e la sua Starship, la navetta con la quale Elon Musk intende colonizzare Marte, inquinano quanto 1.700 auto a benzina in un intero anno. Sono i calcoli del professor Andrew Wilson, della Glasgow Caledonian University. Starship, con il suo gigantesco booster, il Super Heavy, va a metano e ossigeno: le loro emissioni sono 2,72 volte superiori a quelle prodotte dal Falcon 9, della stessa SpaceX. Ma quest’ultimo è il vettore che assomma più lanci di tutti gli altri nel mondo messi insieme, e brucia kerosene, che è molto più inquinante.
L’impatto umano nell’atmosfera
Nonostante questi numeri sembrino mostruosi, le emissioni di CO2 equivalenti dei lanci spaziali sono una frazione quasi trascurabile di quelle globali: ”Migliaia di volte inferiori - spiega a Green&Blue Connor Barker, professore dello University College London, autore, assieme alla collega Eloise Marais, di studi sull’impatto delle attività spaziali - tuttavia, a differenza delle fabbriche e del traffico, quelle spaziali sono immesse in tutta l’atmosfera. E la fuliggine rilasciata negli strati superiori dai lanci dei razzi riscalda 500 volte di più rispetto a quella rilasciata in superficie”.
È emerso soprattutto che i lanci hanno un impatto preoccupante, a lungo termine potenzialmente disastroso, sullo strato di ozono nell’atmosfera: ”I razzi rilasciano gas di scarico lungo tutto il percorso per arrivare nello Spazio - fa presente Patrizia Caraveo, astrofisica dirigente di ricerca dell’Istituto nazionale per l’astrofisica (Inaf) e autrice, tra gli altri, del libro Ecologia spaziale (Hoepli, 2024) – il kerosene dei Falcon 9 di SpaceX produce pulviscolo, in atmosfera altera l’equilibrio termico. I combustibili solidi dei booster (i razzi ausiliari usati al decollo dai vettori europei cinesi e alcuni di quelli americani, ndr), producono fumi che contengono cloro, che è il killer dell’ozono”.
“40 anni perché il buco nell’ozono sia guarito”
Il protocollo di Montreal quasi 40 anni fa mise al bando i clorofluorocarburi, è stato forse il più grande successo planetario nella regolamentazione di sostanze dannose. Ma, avverte Caraveo: "Ci vorranno almeno 40 anni perché il buco nell’ozono sia guarito del tutto. Quindi occorre rivedere il protocollo di Montreal con regole sui combustibili dei razzi oppure limitando il numero dei lanci. Una simulazione pubblicata su Nature dimostra che la soglia da non superare è mille lanci all’anno". Ogni anno, dal 2019, ha visto sbriciolato il record di lanci spaziali fatto segnare in quello precedente. Sono stati 263 nel 2024, nel 2025 il trend è ancora in crescita. Spinto, soprattutto, dall’attività frenetica di SpaceX, impegnata nel posizionare in orbita i propri satelliti della mega costellazione Starlink, oltre a lanciare per la Nasa, la Difesa americana e chiunque compri uno spazio a bordo. Nel 2024 sono decollati 132 Falcon 9, una media di due e mezzo a settimana.
I satelliti Starlink: un rientro controllato
E proprio le grandi costellazioni di comunicazione e di connessione a banda larga pongono ora un ulteriore problema. I satelliti Starlink sono oggetto di ricambio continuo, Elon Musk ne lancia decine per volta perché tanti “nodi” assicurano la resilienza necessaria alla rete. Ma hanno un vita operativa di pochi anni, poi precipitano consumandosi in atmosfera, e vengono sostituiti a un ritmo incessante: "Ogni satellite (bruciando, ndr) deposita nell’atmosfera tutto il materiale di cui è fatto, l’alluminio, il silicio dei pannelli solari, zolfo. Inquiniamo sia quando lanciamo ma sempre di più anche quando li facciamo rientrare, nel caso degli Starlink, anche quattro al giorno", osserva Caraveo. E non c’è nemmeno certezza riguardo a tutti i materiali dispersi: "Questa è l’unica soluzione, attualmente, per ripulire lo Spazio: un rientro controllato - dice a Green&Blue Eloise Marais - ma non abbiamo informazioni dettagliate su tutte le sostanze chimiche contenute in questi satelliti. Nemmeno la stessa SpaceX conosce tutti i materiali coinvolti, perché acquista componenti da altre aziende”.
Alla gigantesca costellazione di Musk (al momento, oltre 8.000 satelliti operativi, con l’obiettivo di raggiungere i 42.000), si aggiungeranno presto quelli della costellazione Kuiper, (3.600 satelliti) di Blue Origin, di proprietà dell’altro miliardario con la fissa per lo Spazio, il fondatore di Amazon Jeff Bezos, e quelle cinesi (tre per oltre 30 mila satelliti in totale).
10 mila basi operative in orbita e i detriti orbitanti
Ora ci sono poco più di 10 mila satelliti operativi in orbita. Potrebbero triplicare entro la fine di questo decennio. Secondo Barker, una soluzione potrebbe essere quella dell’economia circolare: "Riciclare i materiali che sono già in orbita, così che non siano necessari così tanti lanci e rientri”. Significherebbe lanciare altri satelliti per afferrare quelli esistenti e riutilizzarli. Le tecnologie per fare quello che in gergo si chiama in orbit servicing, però, non sono ancora mature.
E così si arriva al terzo grande “problema ambientale” delle nostre attività nello Spazio. In quasi 70 anni, da quando lo Sputnik, il primo oggetto artificiale nello Spazio, fu lanciato dall’Unione Sovietica, (era il 1957), abbiamo abbandonato centinaia di satelliti “morti”, carcasse di razzi e detriti orbitanti. Spazzatura, mentre continuiamo a lanciare a ritmi mai visti. Gli oggetti in orbita bassa, tra i 300 e i 2000 chilometri, sfrecciano a quasi otto chilometri al secondo. Molti nuovi satelliti possono manovrare per evitare i relitti di un passato remoto, quando lo Spazio attorno alla Terra sembrava infinito, e i detriti che in questi decenni si sono originati. Siamo alle prese con un problema che poteva essere risolto molto prima, come la plastica e le emissioni.
"Credo che ciò che distingue questo settore e la sua crescita da altri problemi ambientali sia la possibilità di sviluppare ora strategie di mitigazione e regolamentazione - conclude Marais - non dovremmo trovarci costretti a rimediare in futuro, spendendo molto di più di quanto costerebbe agire subito".
Infrastrutture dove prima non c’era nulla
L’umanità ha preso a espandersi, costruendo infrastrutture dove prima non c’era nulla, lo ha fatto per millenni popolando nuove isole e continenti. Ora diventata una civiltà spaziale e, come è accaduto in passato, il progresso tecnologico ha lasciato un’impronta ecologica. A volte è un graffio, come quelli che gli astronomi trovano sulle immagini scattate da Terra verso lo Spazio profondo: scie luminose lasciate dal passaggio di satelliti che riflettono la luce del Sole, rovinando le osservazioni scientifiche.
"I satelliti sono lì per restare, bisogna cercare un compromesso tra le esigenze degli astronomi e quelle di chi opera in orbita”, riflette Caraveo. Lo stesso compromesso che serve per l’inquinamento elettromagnetico. I radioastronomi che scrutano il cielo lamentano, da molti anni ormai, che i satelliti disturbano le rilevazioni, generano un rumore difficile da ignorare, fari che accecano occhi sensibilissimi.
L’impronta tecnologica
Sulla Terra l’impronta tecnologica ha preso il nome (non ufficiale) di “antropocene”, quello a cui stiamo assistendo ora sembra destinato a diventare un antropocene spaziale. Un aneddoto curioso riguarda la prima foto scattata da un essere umano sulla Luna, Neil Armstrong riprese le zampe del modulo lunare tra le quali spicca un sacchetto bianco, a quanto pare, conteneva pannoloni usati. I moduli Apollo, infatti, non avevano servizi igienici. La prima cosa che fecero gli astronauti appena sbarcati su un nuovo mondo, fu abbandonare la spazzatura.
Matteo Marini
Foto: rupbblica.it
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Rassegna del 24 Ottobre, 2025 |
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