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ISSUE
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repubblica.it

Del fiore giallo del fatu rimangono solo le foto. La pianta si chiama Abutilon pitcairnense e cresceva solo sull’isole Pitcairn, un remoto arcipelago a metà strada tra Nuova Zelanda e America latina. Quando viene scoperta, negli anni trenta del secolo scorso, è già sull’orlo dell’estinzione. Ma nel 2003 viene ritrovato per caso un esemplare solitario sopravvissuto chissà come. Due anni dopo viene reciso per sempre da una frana. Questa volta è finita davvero. Mentre nel 2023 una spedizione di botanici dell’Università di Roma Tre si imbatte in una popolazione di Nymphaea thermarum, una ninfea endemica di alcune sorgenti termali in Ruanda considerata estinta dal 2010.
Sono storie di false partenze e mancati ritorni ma con un denominatore comune: i semi di queste specie sono stati raccolti e oggi sono conservati nella Millenium Seed Bank dei Kew Gardens a Londra che in questi giorni compie un quarto di secolo. Ospita 2,5 miliardi di semi di oltre 40mila specie vegetali selvatiche che sono stati essiccati e riposano in celle frigorifere a venti gradi sotto zero. Per molte piante è l’ultima speranza. Come per il fatu: fino a questo momento i programmi di reintroduzione sono falliti.
"Quasi la metà di tutte le piante da fiore è oggi a rischio di estinzione e i semi offrono soluzioni concrete per mitigare la perdita di biodiversità e l'insicurezza alimentare. - spiega Alexandre Antonelli, Executive Director of Science dei Kew Gardens - Dai semi si possono recuperare piante selvatiche scomparse così come decodificare le basi genetiche della resistenza e dell'adattamento ai cambiamenti climatici. La banca dei semi è una sorta di assicurazione per conservare il mondo vegetale così come lo conosciamo anche per le generazioni future”.
Grazie a questa archivio vivente, il più ricco del mondo per numero di specie, molte piante estinte in natura hanno ricevuto una seconda possibilità. Come nel caso di Clianthus puniceus, un arbusto sempreverde endemico della Nuova Zelanda che produce fiori con una fisionomia simile alle chele di un’aragosta. Gli ultimi esemplari sono stati sradicati nel 2015 da animali al pascolo ma da qualche anno l’arbusto è stato reintrodotto con successo in natura e cresce in numerosi giardini botanici di tutto il mondo. Un discorso diverso vale per la sequoia dell’isola di Sant’Elena (Trochetiopsis erythroxylon), una specie che, malgrado il nome, non ha parentele con i celebri alberi del Nord America. La pianta si è estinta in natura negli anni Cinquanta del secolo scorso per effetto della deforestazione, dell'agricoltura e in seguito all'introduzione di specie animali invasive come le capre. Non è una pianta semplice da coltivare tanto che le uniche popolazioni sopravvivono in ambienti controllati e hanno una scarsa variabilità genetica. I semi di questa sequoia insulare sono in attesa di una tecnica agronomica in grado di riportarla ai fasti di un tempo.
Una delle prime specie estinte in natura poi recuperate dallo storico giardino botanico inglese è Franklinia alatamaha, un albero endemico della valle del Altamaha nel sud degli Stati Uniti ma estinto in natura già a inizio Ottocento. Oggi si trova solo nei giardini o nei parchi pubblici dove sopravvive grazie ai semi raccolti più di due secoli fa. Non tutti i semi sono così pazienti: molti, come quello del castagno o di alcune querce, si chiamano recalcitranti perché non si possono essiccare e devono essere utilizzati entro massimo un paio di settimane.
Una delle aree dove oggi la banca dei semi dei Kew è più attiva è il Madagascar, un hotspot di biodiversità vegetale che ospita ancora diverse piante mai descritte. "Centinaia di disastri si verificano in tutto il mondo causando estinzioni e indebolendo l’ecosistema naturale e agricolo. – aggiunge Charlotte Lusty, responsabile delle collezioni della Millenium Seed Bank – Una raccolta sempre più grande di semi di piante autoctone e utili all’uomo cambierebbe radicalmente il modo in cui ci riprendiamo da queste crisi che non sembrano avere fine".
Fabio Marzano
Foto: RBG Kew
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Rassegna del 24 Ottobre, 2025 |
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