La Newsletter di ESO
ISSUE 427

Le cause climatiche ora puntano il cemento: il caso Holcim

Per la prima volta un’azienda del cemento, Holcim, viene citata in tribunale per danni climatici. Un settore che pesa per l’8% delle emissioni globali

valori.it

Le cause climatiche ora puntano il cemento: il caso Holcim

Non ci sono solo gli Stati o le società dell’industria fossile nel mirino delle climate litigation. Certo, a queste due categorie è riservata una buona fetta delle cause climatiche con cui molti cercano di far avanzare l’azione sul clima, disperatamente lenta e inadeguata. Ma ci sono anche altri settori altamente impattanti su cui occorre fare pressione con le cattive, cioè passando alle vie legali. Perché con le buone si sono ottenuti i bei risultati sotto gli occhi di tutti: la crisi climatica ci è scoppiata in faccia in tutta la sua virulenza.

 

Il caso Holcim: il colosso del cemento sotto accusa

 

Uno di questi settori è quello del cemento. In particolare c’è una causa climatica in corso che autorizza a ipotizzare che le litigation con le grandi aziende del cemento potrebbero rappresentare “the next big thing” nel campo del contenzioso legato al clima.

 

Ai primi di settembre in Svizzera, nel Canton Zugo, è andata in scena l’udienza preliminare di una causa che vede protagonisti da un parte niente meno che Holcim, azienda elvetica leader del settore. Dall’altra un gruppo di residenti nell’isola di Pari, in Indonesia, dall’altra parte del mondo o quasi. E qui si intravede una notevole somiglianza con un’altra causa storica, il caso LLiuya vs Rwe in Germania: anche lì era il “Sud del mondo” (che alcuni iniziano a chiamare forse più correttamente la “Maggioranza globale”, dato che vi risiede la larga maggioranza della popolazione del Pianeta) a citare un giudizio il “Nord del mondo”.

 

Nel caso che coinvolge Holcim, i ricorrenti accusano l’azienda di contribuire con la sua attività al riscaldamento globale. Espressione, anche qui, che si potrebbe iniziare a sostituire con “ebollizione globale” (global boiling), dato l’innalzamento delle temperature cui stiamo assistendo e per allinearsi con quanto il Segretario Generale dell’Onu, António Guterres, dice da almeno un paio d’anni. A Holcim viene infatti attribuita l’emissione, dal 1950, di circa 7 miliardi di tonnellate di CO2.

 

Cosa chiedono i ricorrenti nella causa climatica contro Holcim

 

La richiesta economica avanzata dai ricorrenti al Tribunale di Zurigo, che finora si è pronunciato solo sull’ammissibilità del caso, è di 3.600 franchi svizzeri a testa a titolo di risarcimento per i danni che affermano di aver già subito a causa della crisi climatica, che dichiarano sta minacciando l’esistenza stessa della loro isola. Danni alle abitazioni, contaminazione dei pozzi di acqua potabile, distruzione di allevamenti marini.

 

La seconda richiesta è che Holcim s’impegni a ridurre le emissioni più di quanto non stia facendo, per allinearsi ai target dell’Accordo di Parigi. E qui ecco una nuova somiglianza importante con un’altra climate litigation storica, quella contro Shell, dove i giudici in punta di diritto avevano dato ragione al colosso dell’oil&gas ma avevano comunque sancito di fatto la “giustiziabilità” della materia: cioè che le aziende altamente impattanti sul clima possono essere chiamate a rispondere legalmente per i danni derivanti dalla crisi climatica. Anche da chi vive dall’altra parte del mondo.

 

La risposta di Holcim finora è stata che non ha più da anni attività in Indonesia, che comunque non spetta ai tribunali ma al legislatore pronunciarsi sulle quote di emissione, e che gli obiettivi climatici che si è data in termini di neutralità di emissioni sono convalidati dalla Science Based Targets Initiative (il cui operato tuttavia è criticato non poco).

 

Una prima mondiale: il cemento davanti ai giudici per il clima

 

Come ha sottolineato la Ong EPER-Entraide Protestante Suisse, che segue i quattro cittadini indonesiani che hanno intentato la causa, non era mai successo che un’azienda del settore del cemento venisse portata in tribunale per danni collegati alla crisi climatica. Una prima mondiale, insomma. Il caso è citato anche nell’ultimo rapporto annuale sulle climate litigation della London School of Economics, fra i casi “polluter pays”, dove appunto i ricorrenti chiedono ai convenuti un risarcimento monetario basato sul presunto contributo di questi ultimi ai danni sofferti dai primi a causa della crisi climatica.

 

Del resto un’iniziativa del genere prima o poi doveva arrivare. Perché al settore del cemento viene attribuita la responsabilità di circa l’8% delle emissioni globali di anidride carbonica. Le società del settore, inoltre, sono le uniche a comparire, a fianco di quelle delle fossili, nel famoso database Carbon Majors che come dice il nome analizza le aziende maggiori produttrici di emissioni di CO2.

 

Scienza dell’attribuzione: la prova nelle aule di tribunale

 

Anche questa volta c’è lo zampino, anzi, molto di più, della scienza dell’attribuzione, che permette di collegare in modo sempre più specifico le emissioni climalteranti in capo a singoli attori, Stati o aziende, ad eventi meteorologici estremi la cui intensità, frequenza e durata è influenzata dalla crisi climatica. Il che la rende uno strumento affilatissimo da utilizzare nelle cause climatiche.

 

Lo ha ribadito un recentissimo studio pubblicato su Nature, che ha collegato il fenomeno delle ondate di caldo alle emissioni di 180 carbon majors, inserendo due società del settore del cemento nel ristretto gruppo delle 14 principali carbon majors. Lo studio ha infatti evidenziato come la scienza dell’attribuzione aiuti grandemente a colmare le lacune probatorie di cui non poche climate litigation soffrono, accrescendo quindi la possibilità di essere utilizzata nei contenziosi climatici. Con successo.

 

Andrea Di Turi

 

Foto: Ingolfson/Wikimedia Commons

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