21/03/2025
L’Unione Europea ha imboccato la strada di una semplificazione normativa sul fronte della sostenibilità aziendale. La Commissione europea ha adottato un pacchetto “Omnibus” di proposte che allenta diversi obblighi previsti da recenti direttive ambientali e sociali, prima fra tutte la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). L’obiettivo dichiarato è creare un contesto normativo più favorevole a crescita e investimenti, concentrando gli obblighi sulle aziende di maggiori dimensioni e riducendo la burocrazia per tutte le altre In concreto, la Commissione stima risparmi amministrativi per oltre 6 miliardi di euro grazie a regole più agili e a portata di piccole e medie imprese. La proposta dovrà ora passare al vaglio del Parlamento europeo e degli Stati membri prima di entrare in vigore, ma segna già una svolta significativa nel percorso del Green Deal europeo, suscitando ampio dibattito tra imprese, esperti e rappresentanti istituzionali.
Nel merito, il “Decreto Omnibus” interviene in maniera decisa sulla CSRD, la direttiva che dal 2024 impone alle aziende di rendicontare dettagliatamente impatti ambientali e sociali. La soglia dimensionale per l’obbligo di reportistica viene alzata da 250 a 1000 dipendenti, limitando l’adempimento alle sole grandi imprese (con fatturato sopra 50 milioni o attivo oltre 25 milioni). Questo esclude circa l’80% delle 50 mila società che sarebbero state coinvolte secondo le regole originali. Rientrano così nell’esonero gran parte delle PMI e delle mid-cap, incluse tutte le PMI quotate che in precedenza avrebbero dovuto adeguarsi entro pochi anni. Parallelamente, Bruxelles propone di posticipare di due anni le scadenze: le aziende che avrebbero dovuto iniziare a rendicontare nel 2026-2027 lo faranno a partire dal 2028, allineando i tempi della CSRD a quelli della futura direttiva sulla due diligence (CSDDD). Viene anche abbandonata l’idea di standard settoriali specifici: gli obblighi saranno uniformi, senza ulteriori complicazioni per settore.
Per le imprese di minori dimensioni che vorranno comunque comunicare le proprie performance ESG, l’Omnibus introduce un approccio su misura. È previsto infatti un standard volontario semplificato per PMI (definito VSME), basato su soli 15 indicatori chiave invece degli 82 indicatori completi degli standard ESRS originari. Grazie a questo schema light, le PMI potranno riferire ogni due anni anziché annualmente e saranno esentate dall’analisi di “doppia materialità”, cioè dal dover valutare e riportare gli impatti ambientali e sociali generati oltre ai rischi finanziari subìti. Ciò riduce sensibilmente i costi e le competenze richiesti per la compliance – la Commissione stima un taglio del 38% dei costi per le PMI che evitano la doppia materialità – ma allo stesso tempo potrebbe lasciare zone d’ombra sui dati di impatto non più raccolti. Per mitigare possibili squilibri nella filiera, la riforma prevede inoltre un meccanismo chiamato “value chain cap”: le grandi aziende non potranno esigere dai fornitori con meno di 1000 dipendenti informazioni aggiuntive rispetto a quelle previste dallo standard semplificato. Questo “freno” dovrebbe evitare che gli oneri scaricati a cascata lungo la catena di fornitura vanifichino l’esenzione delle PMI, proteggendo oltre 23 milioni di piccole imprese europee dal dover sostenere report aggiuntivi per conto dei propri clienti maggiori. La Commissione europea punta a ridurre del 25% gli oneri amministrativi per le aziende (35% per le PMI) grazie al pacchetto Omnibus. La soglia di esenzione dalla rendicontazione di sostenibilità sale a 1000 dipendenti, limitando l’obbligo alle sole imprese più grandi.Il taglio della burocrazia è infatti il cuore politico del pacchetto.
Valdis Dombrovskis, vice-presidente esecutivo della Commissione, ha spiegato che la semplificazione serve a raggiungere gli obiettivi economici, sociali e ambientali dell’UE in modo “più intelligente e meno oneroso”. “Meno burocrazia significa più innovazione e investimenti”, ha dichiarato presentando l’iniziativa, sottolineando che l’intento non è affatto indebolire le ambizioni green ma realizzarle eliminando complicazioni superflue. Lo stesso Dombrovskis ha tenuto a precisare che “questo programma di semplificazione non è deregolamentazione”, rispondendo alle critiche secondo cui Bruxelles starebbe facendo marcia indietro sul Green Deal. I commissari coinvolti – oltre a Dombrovskis, anche la portoghese Elisa Ferreira (Albuquerque), responsabile per Coesione e Riforme – insistono che le nuove misure focalizzano gli obblighi sulle aziende con impatto più rilevante, senza rinunciare alla trasparenza sulle performance climatiche e sociali. In altre parole, “snellire” le regole non significa eliminare i controlli, ma renderli più proporzionati. Il pacchetto Omnibus promette così un alleggerimento del 25% degli oneri amministrativi per il complesso delle imprese europee (e fino al 35% per le PMI), con esenzioni dall’obbligo di rendicontazione di sostenibilità per circa l’80% delle aziende inizialmente coinvolte dalla CSRD. Secondo i dati citati dalla Commissione, oltre il 60% delle imprese dell’UE considera oggi la regolamentazione un freno agli investimenti, e il 55% delle PMI indica gli oneri amministrativi come la sfida maggiore per la propria attività. Di qui la pressione per “tagliare il nastro rosso” della burocrazia e consentire alle imprese di concentrare risorse sull’innovazione e sulla transizione verde, invece che su pratiche e scartoffie.
Le reazioni dal mondo economico sono in larga parte positive. Le associazioni imprenditoriali chiedevano da tempo un riequilibrio delle normative ESG a misura di piccola impresa. Confindustria – che già a inizio febbraio aveva avanzato proposte di modifica alla CSRD in questa direzione – ha accolto con favore l’innalzamento delle soglie di esenzione, evidenziando come l’obbligo di rendicontazione rimarrà così circoscritto alle realtà di maggiori dimensioni. La confederazione degli industriali stima che limitare la platea ai soli gruppi sopra i 1000 dipendenti ridurrà drasticamente costi e complessità per il tessuto produttivo, senza pregiudicare l’accesso alle informazioni di sostenibilità più rilevanti. Anche a livello europeo il mondo delle imprese si è mosso compatto: l’European Business Network e associazioni di categoria settoriali hanno sostenuto l’approccio “one in, one out” della Commissione per contenere i nuovi oneri normativi. In particolare, l’associazione degli armatori europei (ECSA), con il pieno sostegno di Confitarma in Italia, ha ribadito la necessità di obblighi “più chiari e accessibili” legati alla CSRD e alla tassonomia ambientale, chiedendo di evitare “inutili complessità burocratiche” nei criteri tecnici. Proprio nel giorno dell’annuncio del pacchetto, Confitarma e Confindustria hanno incontrato a Bruxelles rappresentanti istituzionali italiani per sollecitare un impegno costante a favore di regole chiare, applicabili e “prive di eccessivi vincoli ideologici”, così da garantire alle aziende un quadro normativo stabile e prevedibile. Anche associazioni del commercio come EuroCommerce hanno elogiato “requisiti di reporting più pratici e procedure di due diligence migliorate”, sottolineando che per migliaia di PMI con filiere globali complesse è fondamentale avere norme proporzionate e coerenti tra loro. La richiesta comune del sistema produttivo è dunque quella di snellire e armonizzare gli obblighi ESG, mantenendo però un impianto di regole condiviso in tutta l’UE (evitando differenze nazionali) per assicurare certezza del diritto e condizioni competitive eque.
Sul fronte opposto, diverse voci della società civile e dell’ambiente esprimono preoccupazione per quella che viene percepita come una retromarcia. La sezione italiana del Global Compact dell’ONU – network di imprese impegnate sulla sostenibilità – ha lanciato un monito dopo quello che definisce il “terremoto (in)sostenibile dell’Omnibus”. In una nota diplomatica ma ferma, il Global Compact Italia riafferma che trasparenza e obbligo di rendicontazione restano elementi chiave per tradurre in realtà gli impegni del Green Deal e dell’Accordo di Parigi. Il cambio di rotta di Bruxelles, seppur motivato da nobili intenti di semplificazione, rischia di “ridimensionare il significato profondo della sostenibilità”, avverte l’associazione, disorientando imprese e investitori. Daniela Bernacchi, direttrice esecutiva del Global Compact Network Italia, ha ricordato che “la sostenibilità non è solo un impegno etico, ma un vantaggio competitivo” e che le aziende dovrebbero continuare a rendicontare le proprie pratiche responsabili per dimostrare trasparenza e accountability verso gli stakeholder.
Critiche ancora più accese giungono da ambienti vicini alle ONG e al Parlamento europeo. Richard Howitt, ex eurodeputato Labour e tra i pionieri del reporting non finanziario, ha avvertito che ridurre l’ambito di applicazione delle regole significa che l’UE rischia di “rinnegare tutti i progressi compiuti nel business sostenibile nell’ultimo decennio”. L’indebolimento della direttiva sulla due diligence, limitando le verifiche ai soli fornitori diretti e alzando soglie di tolleranza, secondo Howitt sarebbe anche in contrasto con i principi guida delle Nazioni Unite su imprese e diritti umani. Sulla stessa linea, Filip Gregor dello studio legale Frank Bold (impegnato in campagne per la trasparenza ESG) ha definito le proposte “un passo indietro” che potrebbe minare il vantaggio competitivo europeo nella transizione sostenibile. “La Commissione UE non può mascherare il fatto che il suo Omnibus, più che semplificare gli obblighi per le imprese, li riapra alla negoziazione politica rischiando di indebolirli gravemente”, sostiene Gregor, paventando uno svuotamento delle norme sotto le pressioni di breve termine.
In Parlamento europeo e tra i governi, il dibattito si preannuncia intenso. Molti ministri delle Finanze UE hanno espresso sostegno alla necessità di ridurre e semplificare gli obblighi di rendicontazione, convinti che ciò aiuterà le imprese europee a restare competitive di fronte a economie come quella statunitense che richiedono meno disclosure. D’altro canto, i Verdi europei e parte dei Socialisti temono che allentare i vincoli invii un segnale sbagliato proprio mentre il cambiamento climatico richiederebbe maggiore impegno, non minore. Alcuni osservatori fanno notare come la Commissione von der Leyen, a un anno dalla fine del mandato, stia cercando un difficile equilibrio tra transizione ecologica e salvaguardia industriale. Le modifiche proposte dovranno comunque essere approvate in co-legislazione: il testo dell’Omnibus sarà negoziato tra Consiglio e Parlamento, dove potrebbero essere introdotti correttivi o paletti per assicurare che la semplificazione non si tramuti in un vuoto normativo. La posta in gioco, come sottolinea il Global Compact, è la credibilità del Green Deal europeo: trovare un punto di equilibrio tra alleggerire gli oneri alle imprese e mantenere alta l’asticella della sostenibilità sarà fondamentale per conciliare competitività e responsabilità nel modello economico dell’UE
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