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26/05/2023

Mario Tozzi: "Clima? I ragazzi ne sanno più di noi"

Accusa tutti - politici, comunità scientifica, poteri economici - per non aver affrontato con più decisione la crisi climatica. E biasima perfino se stesso per non aver urlato più forte che la situazione è gravissima. Mario Tozzi, scienziato, saggista e volto televisivo con 25 anni di esperienza nella comunicazione della crisi ambientale, sente che tutto questo lavoro di divulgazione non è abbastanza. Il suo ultimo libro, Perché il clima sta cambiando? (edizioni EL sotto il marchio Einaudi Ragazzi, euro 12,90) si apre con il paragrafo "Un'accusa fondata" in cui Tozzi (che farà un intervento al Festival di Green&Blue il prossimo 8 giugno) punta il dito contro chi continua a investire nelle fonti fossili, contro i politici che non agiscono per azzerare le emissioni climalteranti, contro gli organi di informazione che danno spazio ai negazionisti e i ricchi che scaricano sui poveri gli effetti peggiori della crisi climatica. Infine, non risparmia neanche se stesso dalle accuse, e tra le altre cose si rimprovera di non aver avuto voglia di sentirsi dire, ancora una volta, "di essere catastrofista".

 

Tozzi, davvero le sembra non basti il suo impegno per una divulgazione corretta?

 

"Mi sento in colpa per non essermi esposto - risponde - per non aver fatto di più in un'epoca in cui il non esporsi è diventato la norma. Proprio per questo, prendere posizione con convinzione è più che mai importante".

 

Gli scienziati si incatenano, gli attivisti si mostrano nudi, o fanno azioni dimostrative sulle opere d'arte. Che altro si può fare?

 

"La pressione su chi continua a utilizzare le fonti fossili e nega la crisi climatica non è mai abbastanza. Le nuove forme di protesta attuate dagli attivisti andrebbero calibrate, perché un conto è gettare carbone vegetale in una fontana, un altro è imbrattare una superficie porosa come i muri di Palazzo Pitti. In ogni caso, ho incontrato questi ragazzi che ammiro per la loro battaglia di grande respiro e perché sono informati, al contrario di quanto qualcuno vuole farci credere. Mostrano agli adulti la loro colpevole inazione e agli adulti non piace avere il dito puntato contro".

 

Sta proponendo di riflettere su forme di protesta eclatanti ma più sostenibili?

 

"Non so se sostenibile sia il termine giusto. In ogni caso la protesta non può allontanare la gente comune, che si trova spesso intrappolata in un sistema di informazioni incomplete. Il problema è che in Italia, forse più che in altri Paesi, il negazionismo climatico è forte, anche per una generale scarsa cultura scientifica".

 

Il suo libro, in cui ogni capitolo risponde a una domanda, vorrebbe colmare queste lacune?

 

"Mi piacerebbe diventasse un punto di partenza per le discussioni nelle scuole, nelle assemblee in cui si discutono possibili strategie di adattamento e mitigazione, che servisse a confutare la paccottiglia negazionista".

 

Ritorna sul troppo spazio dato ai negazionisti. Lei è forte delle sue competenze e percepisce che molti non le hanno?

 

"In Italia la vera divulgazione scientifica televisiva è pressoché assente e troppo spesso in nome del contraddittorio si dà spazio ai negazionisti: se vengo invitato chiedo sempre chi avrò davanti a me e non accetto confronti, né concedo il palcoscenico ai negazionisti. Studio, leggo, rifletto, ho una laurea in geologia, un dottorato di ricerca in Scienze della Terra, sono primo ricercatore all'Istituto di Geologia Ambientale e Geoingegneria del Cnr,  nel 2018 l'Università La Sapienza di Roma mi ha inserito tra i suoi laureati illustri, ho vari incarichi di docenza e di presidenze, il presidente Napolitano mi ha conferito l'onorificenza di Cavaliere al Merito. Insomma, elenco tutto questo perché non può essere applicato il principio di 'uno vale uno', non possono essere messe nel pastone generale persone che parlano con cognizione di causa e altre che esprimono semplici opinioni! In questo, la scienza acclarata non è democratica, ma voglio anche ribadire che il 97% degli scienziati concorda sul fatto che il riscaldamento globale dipende dai sapiens, se ancora abbiamo bisogno di numeri e percentuali".

 

La parola sapiens non è solo il titolo della sua trasmissione tv, ricorre spesso nelle sue trattazioni. Perché?

 

"Mi serve a ribadire che, al contrario del suo significato letterale, non ha una connotazione positiva. Nella mia trasmissione e con la mia attività di saggista cerco appunto di osservare il Pianeta sotto la lente di ingrandimento dei sapiens, che si credono padroni del mondo fino ad aver modificato i suoi equilibri come nient'altro era riuscito a fare".

 

Lei che sapiens è?

 

"Non mi considero diverso dagli altri. Faccio gli stessi errori di tutti, ma cerco di abdicare il meno possibile alla comune essenza animale, perché tali siamo e quanto più cerchiamo di affrancarci dalla nostra natura, tanto meno capiamo il nostro posto nell'universo. Non credo che dovremmo dominare il mondo e non credo che in quanto animali umani abbiamo più diritti di un brachiopode".

 

E come sapiens consapevole della crisi climatica che fa?

 

"Non mangio carne, vado prevalentemente in bici, oppure uso una vetturetta elettrica noleggiata a lungo termine, che ricarico con un pannello che ho montato su casa mia. È uno dei miei pallini in questo momento, diventare autosufficiente dal punto di vista energetico, voglio anche installare una micro turbina eolica".

 

Quando si sente più frustrato da ambientalista?

 

"Quando devo parlare con chi nega la realtà, ma anche con chi avrebbe la possibilità di prendere delle decisioni politiche e non lo fa. Faccio un esempio: sta per scadere il mio incarico di presidente del Parco dell'Appia Antica. Pensavo di poter mettere in pratica quel che teorizzo e in parte ci siamo riusciti, poiché abbiamo dotato il Parco di un piano e ripulito il fiume Almone, tanto che ho promesso che ci farò il bagno (nudo). Però vivo come un fallimento il non essere riuscito a far chiudere al traffico l'Appia Antica, nonostante aver fatto incontri con tre sindaci diversi e aver verificato con l'attuale assessore alla mobilità Patanè che ci sono anche i fondi disponibili. Niente, non riesco a vedere un monumento di 2300 anni fruito solo a piedi e in bici e la frustrazione è enorme, sono deluso da chi ha il potere di chiudere al traffico delle zone e non lo fa".

 

Con questi presupposti, come giudica i grandi consessi internazionali come le Cop?

 

"Molto male. Durano due settimane, la prima la passano a dire quanto è grave la situazione e la seconda a posticipare di 50 anni misure che sono già in ritardo. Gli scienziati non fanno che ribadire la necessità di abbattere le emissioni climalteranti e nelle Cop non si prende una decisione tempestiva che è una, solo fuffa".

 

Nel suo ultimo libro questo è un concetto ribadito spesso: non c'è più tempo. Lo usa anche per smontare l'ipotesi del ritorno al nucleare.

 

"Sì, è un cardine del lavoro, voglio dare l'idea di questa urgenza. Quanto al nucleare spiego punto per punto perché non è un'ipotesi praticabile, ovunque ma soprattutto in Italia, dove non c'è alcun consenso in proposito e servirebbero anni soltanto per decidere dove mettere le scorie, figuriamoci le centrali".

 

Nel libro, come nelle sue trasmissioni, usa termini semplici, un linguaggio diretto, non ha paura di termini dialettali. Eppure dice che il suo modello è stato Piero Angela. È una contraddizione?

 

"Piero Angela è il Mahatma, ci ha ispirato tutti, però è vero che io do meno importanza agli aspetti formali, non giro più volte un servizio per averlo perfetto, voglio dare l'idea che sia una trasmissione dal vivo. Cerco di parlare in modo naturale, lascio fluire il discorso. Sì, trovo che questa sia la mia cifra, anche perché non saprei fare altrimenti".

 

Cristina Nadotti