28/05/2021
Con una circolare del 14/5/2021 il Ministero della Transizione Ecologica affronta le criticità delle disposizioni recentemente modificate.
La nota di chiarimento del dicastero della transizione ecologica (MITE), segnando un’apprezzabile netta inversione di tendenza rispetto alla tradizionale ritrosia del ministero a rispondere pubblicamente ai quesiti posti dalle associazioni e dalle imprese, premette che la corretta qualificazione dei rifiuti urbani e le implicazioni sulla relativa disciplina fiscale sono state trattate nella circolare esplicativa 37259 del 12 aprile 2021.
Analogamente nella nota in esame non sono illustrati gli articoli modificati dal d.lgs. 116/2020 per i quali il dicastero ha ravvisata la necessità di procedere a specifici interventi correttivi.
Ordine di priorità nella gestione rifiuti
L’articolo 179 del D.Lgs. 152/2006 dispone che: “3. Con riferimento a flussi di rifiuti specifici è consentito discostarsi, in via eccezionale, dall'ordine di priorità di cui al comma 1 qualora ciò sia previsto nella pianificazione nazionale e regionale e consentito dall’autorità che rilascia l’autorizzazione”.
La scala di priorità citata è quella, definita dalla Direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) che colloca al primo posto la prevenzione della formazione dei rifiuti, al secondo la preparazione per il riutilizzo, al terzo il riciclaggio, seguito dalle altre forme di recupero di materia e di energia oltre che dalla diverse modalità di smaltimento.
Al ministero è stato chiesto di chiarire se tale disposizione è applicabile solo alle autorizzazioni da rilasciare o anche alla rivisitazione degli atti vigenti.
Il MITE precisa che le amministrazioni e gli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni degli impianti sono tenuti a seguire l’ordine gerarchico previsto, potendo discostarsene soltanto dopo aver effettuato una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione dei rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse.
La deroga alle priorità, così come indicate (prevenzione - preparazione per il riutilizzo – riciclaggio - recupero di altro tipo - smaltimento) può essere, quindi, concessa solo ed esclusivamente se è prevista all’interno dei piani e dei programmi.
Il ministero ritiene che tale nuova previsione incida esclusivamente sui nuovi atti autorizzativi da rilasciare e non su quelli vigenti, “se non in occasione di modifiche sostanziali o non sostanziali che comportino la necessità di riesame o modifica dell’autorizzazione”. L’affermazione è piuttosto preoccupante, se si considera che un impianto di recupero di energia difficilmente potrà essere convertito in un impianto di recupero di materia in occasione di un rinnovo o di una modifica dell’autorizzazione.
Rifiuti urbani
Come noto, la direttiva (UE) 2018/851, tra le altre disposizioni, ha imposto l’introduzione di una nuova definizione di rifiuti urbani, individuandone anche le finalità. In particolare, il considerando 10 della direttiva, chiarisce come, al fine di poter confrontare le performance in materia di riciclaggio dei rifiuti urbani dei diversi Stati Membri (influenzate dal livello di assimilazione dei rifiuti provenienti dalle utenze non domestiche), sia assolutamente indispensabile che la definizione di rifiuto urbano sia armonizzata a livello europeo e che tutti gli Stati Membri includano i medesimi rifiuti in tale definizione. In tal modo non si dovrebbero creare difformità e disparità rispetto al raggiungimento degli obiettivi di riciclaggio dei rifiuti urbani imposti dalla suddetta direttiva.
Secondo il MITE, pertanto, non è possibile alcuna discrezionalità sia a livello nazionale che regionale o comunale nella definizione dei rifiuti che devono essere considerati rifiuti urbani.
Un’affermazione importante, che dovrebbe arginare tutti tentativi – in alcuni casi sostenuti dallo stesso ministero - di classificare come urbani i rifiuti generati da attività che, secondo le disposizioni dell’Unione Europea, sono in grado di produrre solo rifiuti speciali, come ad esempio le attività edili e quelle agricole o connesse all’agricoltura.
Rifiuti abbandonati
Il principio appena esposto – nella classificazione dei rifiuti “non è possibile alcuna discrezionalità sia a livello nazionale che regionale o comunale” – viene immediatamente contraddetto quando la nota afferma con riferimento ai rifiuti abbandonati che: “anche qualora costituiti da rifiuti da C&D – costruzione e demolizione - sono da considerarsi rifiuti urbani, ai sensi dell’art. 183 comma 1 lettera b-ter, punto 4), allorché per gli stessi non sia riconducibile ad alcuno la responsabilità dell’abbandono”. La Direttiva, invece, lo ha ricordato lo stesso ministero in una nota precedente, giunge ad affermare il principio secondo il quale anche i rifiuti derivanti da piccoli interventi edili “fai da te” sono da classificare come rifiuti speciali.
Residui da manutenzione del verde
Tra i residui da manutenzione del verde, ricorda la nota ministeriale, non costituiscono rifiuti soltanto quelli che derivano da buone pratiche colturali, costituiti da paglia e altro materiale agricolo o forestale naturale non pericoloso, sempreché siano riutilizzati in agricoltura e in silvicoltura o per la produzione di energia da biomassa, anche al di fuori del luogo di produzione ovvero con cessione a terzi.
Secondo il ministero, inoltre, è possibile qualificare il residuo come sottoprodotto: “dimostrando la sussistenza delle condizioni previste dall’articolo 184-bis del decreto legislativo n. 152/2006”. Impresa, in realtà, del tutto impossibile se si considera che la prima delle condizioni citate prevede che i rifiuti decadano da un processo produttivo del quale sono parte integrante ma non direttamente desiderata (in questo caso si tratterebbe di prodotti) e, nel caso in esame, è piuttosto difficile considerare il taglio dell’erba o la potatura di una siepe come un processo produttivo, perché il processo produttivo dell’erba o delle piante è la natura e non certo un’attività di servizio come quella garantita dal giardiniere.
Con riferimento alla classificazione dei rifiuti, se derivano da attività di manutenzione del verde pubblico la nota ritiene che si tratti di rifiuti urbani; se sono prodotti da attività di manutenzione del verde privato posta in essere da una impresa secondo il MITE sono rifiuti speciali, “non risultando l’attività in questione ricompresa tra quelle individuate nell’allegato L-quinquies”. L’allegato citato comprende però le attività commerciali di vendita di piante e fiori che, utilizzando il criterio analogico introdotto dalla recente norma, si potrebbero considerare capaci di generare rifiuti simili a quelle dei giardinieri.
Infine, ed era piuttosto difficile avanzare dubbi in proposito, i rifiuti da attività di manutenzione del verde privato “fai da te”, posta in essere da privati devono essere qualificati come rifiuti urbani.
Molto opportuna la precisazione secondo la quale: anche nell’ipotesi di rifiuti speciali, è possibile utilizzare il codice EER 20 02 01, non risultando utile nessuno degli altri codici previsti per i rifiuti speciali.
Paolo Pipere – Consulente giuridico ambientale
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